Mostri e spiriti inquieti nella tradizione giapponese

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    Se in Italia abbiamo il fantasma formaggino, in Francia hanno Belfagor e Oscar Wilde scriveva sul fantasma di Canterville, anche i giapponesi non si fanno mancare una buona dose di spiriti nella loro cultura folkloristica! Che siano poi spettri realmente esistenti, questo lo possono sapere solo loro!
    Vediamo di seguito un'approfondita introduzione, per poi analizzare nel dettaglio tutte le tipologie di mostri e spiriti!

    CITAZIONE
    da http://www.tuttogiappone.eu/mostri-e-spiri...onese/#more-837

    MOSTRI E SPIRITI INQUIETI NELLA TRADIZIONE GIAPPONESE



    I mostri dell’immaginario popolare giapponese, generalmente noti come yōkai o “apparizioni misteriose”, sono indicati oggi anche con il più recente termine bakemono, traducibile con “creature trasformiste”, riferendosi alla loro capacità di celare o mutare il proprio aspetto. Essi sono di varia natura: alcuni si confondono con il mondo degli spettri (yūrei), mentre altri sono più simili alle manifestazioni dei kami, e collegati quindi a spiriti elementali e ancestrali.Lo studioso di linguistica Inoguchi Shōji ha compilato un’interessante classificazione sui tipi di apparizioni mostruose, sulla quale ci baseremo per il nostro studio. Egli ha istituito la classe dei reikai (“spiriti mostruosi”) che comprende diverse categorie tra cui quella dei reii (“spettro”), composta da entità che causano possessione e malattie come ad esempio i mononoke e i goryō; la classe costituita dagli yōkai.
    Le figure mostruose sono considerate forme degenetate di culti religiosi dei kami, e rappresentano da sempre una parte importante della tradizione giapponese.
    Si dice che in Giappone esistano otto milioni di dèi e spiriti che risiedono ovunque: in cielo e in terra, tra le montagne e nei corsi d’acqua, negli alberi, nelle rocce e anche nel focolare domestico. Non tutte queste creature sono benevole, anzi, i racconti popolari descrivono spesso figure pericolose come demoni (oni), fantasmi (yūrei) e animali dotati di poteri oscuri, tutti derivanti dalla mescolanza di elementi folcloristici buddhisti e taoisti integrati nel sistema di credenze autoctono dello Shintō. Molte leggende sono state poi importate dalla tradizione popolare cinese, insieme a creature immaginarie come i tengu, simili alle arpie occidentali, e Shōki, il Cacciatore di Demoni. In questo modo, esseri soprannaturali di varie origini hanno sempre circondato i Giapponesi ovunque essi fossero, tenendo un comportamento che rifletteva la condotta degli uomini nei loro confronti.
    I protagonisti delle favole e delle leggende giapponesi sono spesso animali magici che racchiudono in sé un lato oscuro e uno compassionevole. Nella maggior parte dei casi, essi giocavano brutti scherzi agli uomini per imbrogliarli, trasformandosi facilmente in ciò che volevano, ma accadeva anche che cercassero di sdebitarsi con loro per qualche favore ricevuto. Le trasformazioni diventavano possibili quando questi animali vivevano una vita eccezionalmente lunga, oppure se il loro aspetto o il comportamento erano inusuali: nel primo caso, essi diventavano creature soprannaturali benevole, mentre nella seconda ipotesi tendevano a trasformarsi in spiriti maligni. I fantasmi, invece, nascevano dalle emozioni umane più potenti, e anche oggi si crede che quando una persona muore al culmine dell’ira o della gelosia, il suo spirito non trovi pace e ritorni ai luoghi e alle persone conosciute per trovare la sua vendetta. Generalmente, il defunto si trasforma in uno spirito che prende il nome di aramitama (spirito impuro), e deve essere purificato durante un periodo di trentatré anni, mediante rituali officiati appositamente a determinati intervalli di tempo. Esso diviene infine sorei, uno spirito ancestrale che si va ad unire agli antenati protettori della famiglia. Gli spiriti dei morti di recente, però, fluttuano tra i due livelli di esistenza, e possono diventare pericolosi se cercano di tornare nel mondo dei vivi in forma di fantasma, solitamente per rivendicare preghiere e offerte che gli sono state negate, apportando catastrofi e disgrazie di vario genere. Questo genere di racconti ha giocato un ruolo molto importante nel folclore giapponese in passato, ispirando numerose rappresentazioni di teatro nō e kabuki, ma anche opere di letteratura e d’arte, attraverso cui possiamo conoscere il modo in cui i Giapponesi interpretano gli avvenimenti soprannaturali, creando un proprio ordine logico che aiuti a sentirsi più al sicuro in un cosmo ostile.
    In Giappone, le credenze sugli spiriti che abitano la natura sono sempre state fortementi presenti, soprattutto nei momenti di crisi sociale, anche se solo alcune di queste sopravvivono ancora, mentre altre sono state dimenticate quando non se ne è più avvertita la necessità. Sembra che lo Shintō originario non prevedesse rappresentazioni delle divinità, fino all’avvento del Buddhismo, che con la sua infinita varietà di icone contribuì anche alla creazione di un numero sempre crescente di opere d’arte con soggetti soprannaturali, tra cui gli spiriti inquieti dei morti. Nel Kojiki, si descriveva un universo diviso in tre parti: takama ga hara (Piana Celeste), la dimora degli dèi celesti, naka no kuni (Piana Centrale), dove vivevano gli dèi terrestri, e yomi no kuni, il mondo sotterraneo, regno dei defunti, un luogo nebuloso e impuro dove tutti, indistintamente, si dovevano recare alla morte, e che non comportava punizioni per i malvagi o ricompense per i buoni. Il mondo degli uomini era abitato da una miriade di spiriti che si mescolavano costantemente ai vivi, in forma visibile o meno, esercitando un potente influsso su di loro.
    Con l’introduzione del Buddhismo, però, venne acquisita anche una diversa interpretazione del cosmo, ripartito nel mondo dei vivi, quello dei defunti, che divenne l’inferno (jigoku), luogo di tortura e punizione governato dal Re Enma e dai suoi attendenti oni, e il paradiso dei Buddha, dove si poteva trovare la salvezza. Queste immagini si diffusero, mescolandosi ai temi del folclore locale in tutto il paese, e favorendo la nascita di nuovi miti ricavati anche dagli avvenimenti recenti, in cui l’immaginazione di cantastorie e artisti descriveva mostri e demoni utilizzandoli spesso per esorcizzare le paure scatenate da avvenimenti incomprensibili. Sotto l’impatto delle nozioni acquisite dal continente, la massa di spiriti senza forma che popolavano il mondo dei Giapponesi vennero classificati più precisamente in varie forme di demoni e mostri, che potevano anche essere controllati grazie a un sistema di incantesimi e formule magiche di origine per lo più buddhista o taoista.Le antiche tradizioni dello Shintō rimasero però come substrato. In passato, l’estetica dominava le arti e non permetteva di prendere in considerazione soggetti grotteschi, se non sporadicamente: prima del 646 e nel periodo Nara (646-794), si parlava delle gesta degli dèi Susanoo e Amaterasu; nell’epoca Heian (794-1185), la cultura dominante era quella di una corte raffinata, che attribuiva i fenomeni misteriosi agli spiriti vendicativi dei defunti o ai demoni delle malattie, che potevano manifestarsi in forme visibili, come il fulmine o udibili, come il tuono. Si diceva inoltre che persone ancora vive potessero divenire spettri per assassinare inconsciamente i rivali, soprattutto nel caso di morti violente o malattie gravi. Questa cultura si dissolse poi a favore dell’élite guerriera di Kamakura e Muromachi (1185-1573), creando un intervallo di tempo in cui furono prodotti alcuni rotoli dipinti con soggetti mostruosi, ma in seguito l’ascesa dell’estetica Zen tese a oscurare tali rappresentazioni artistiche. Tuttavia, le credenze sulle apparizioni di fantasmi e di animali magici continuarono a diffondersi, e a queste si aggiunsero le leggende dell’epoca Momoyama(1573-1600) sugli oggetti inanimati che trasformandosi in esseri viventi acquisivano grandi poteri. Gli oggetti molto antichi erano infatti frequentemente considerati una potenziale dimora di spiriti ostili, e venivano di conseguenza trattati con il massimo rispetto, oltre ad essere purificati alla fine dell’anno nella cerimonia del susuharai, rituale che rendeva inoffensivi gli attrezzi e gli utensili della casa.
    L’interesse per il soprannaturale raggiunse il culmine durante il periodo Edo (1600-1867), soprattutto nel medio e tardo diciannovesimo secolo, probabilmente a causa dei grandi sconvolgimenti a livello sociale in corso. Si stava infatti affrontando l’apertura del paese dopo due secoli di isolamento, con il passaggio da una struttura feudale alla modernizzazione su modello occidentale, costellata da episodi molto violenti. Quest’epoca fu caratterizzata dalla morale molto repressiva dello shogunato Tokugawa sostenuto dall’etica confuciana, perciò le rappresentazioni del soprannaturale si diffusero soltanto nel momento in cui il governo entrò in crisi, verso la metà del diciannovesimo secolo. Vi si esprimeva l’angoscia che la popolazione provava, non sentendosi più al sicuro sotto una guida forte e determinata. La crisi si trascinò anche nel periodo Meiji (1868-1912), e la risposta degli artisti, portavoce dei cittadini, fu la stessa. Essa si manifestò attraverso la rappresentazione di mostri, demoni e fantasmi, soprattutto negli ukiyoe, nelle sculture e nei rotoli dipinti, riportando alla luce credenze sopite ma ancora fortemente presenti nella mente dei Giapponesi.
    La modernizzazione su modello occidentale, infatti, non diminuì la popolarità e il fascino che il soprannaturale esercitava sulla popolazione che si focalizzò infine sui poteri della mente umana e sugli stretti legami tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti. Potremmo dunque dire che il soprannaturale abbia acquisito in Giappone, con l’andare del tempo, una funzione sociale, diventando il mezzo per ritrovare la propria identità dopo grandi stravolgimenti, quando le certezze cadono e non resta che rifugiarsi nelle antiche tradizioni. Nel Giappone contemporaneo, nonostante lo sviluppo tecnologico e il conseguente materialismo, il fascino delle leggende sul soprannaturale rimane, e non soltanto nelle aree rurali, dove tende comunque ad essere più forte, ma anche nei centri urbani, celebrato dai mass media. Anche le menti più razionali, infatti, non negano del tutto l’esistenza di creature bizzarre e pericolose, rinnovando le tradizioni del passato nella società industriale, dove ancora oggi gli oni, i tengu e i tanuki fanno saltuarie apparizioni.
    Si continua dunque a credere in queste creature, cercando così di stabilire un modo di interpretare le origini della vita del proprio paese e della propria gente, distinguendo tra ciò che è umano e ciò che lo trascende, per comprendere meglio se stessi. Il fatto che i Giapponesi credano anche in dèi benevoli ha aumentato la loro fiducia nella vita, mentre il timore di una possibile punizione divina da parte degli spiriti degli antenati trascurati impedisce loro di violare le norme culturali. L’omissione di un solo individuo, infatti, può provocare a tutta la comunità gravi problemi come terremoti o tifoni, che da sempre si abbattono con ferocia su questo territorio. Dunque le immagini di demoni e fantasmi che incarnano i mali del mondo hanno continuato ad essere rielaborate e trasmesse in Giappone nel corso delle generazioni, attraverso il folclore, l’arte, il teatro e la letteratura. Questi ultimi costituiscono interessanti testimonianze dei cambiamenti nel background socioculturale giapponese nel susseguirsi dei periodi storici, ognuno con il suo bisogno di dare un ordine al caos, per combattere ansie e paure e riuscire a sopravvivere in questo mondo, creandosi una speciale protezione dal male a cui poter credere con fiducia.

    Autore : Barbara Mafrin (sintesi di tesi di laurea)

    Di seguito vedrete in modo dettagliato tutti gli spiriti sopra elencati.

    (articolo in aggiornamento...)
     
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    CITAZIONE
    da: http://it.wikipedia.org/wiki/Y%C5%8Dkai

    YOKAI



    Gli yōkai (妖怪?) — da “yō”, “maleficio, fattucchieria” e da “kai”, “manifestazione inquietante”, nome talvolta traslitterato anche "youkai" o "yokai", traducibile con "apparizioni", "spiriti", o "demoni" — sono un tipo di creatura soprannaturale della mitologia giapponese.

    Caratteristiche
    Ci sono molte tipologie di yōkai: si va dal malvagio oni (鬼?) alle ingannatrici kitsune (狐?) e alla signora della neve yuki-onna (雪女?); alcuni posseggono parti animali e parti umane, ad esempio il kappa (河童?), il tengu (天狗?) e la nure-onna (濡女?). Gli yōkai spesso hanno poteri soprannaturali; sono quasi sempre considerati pericolosi per gli esseri umani, e le loro azioni hanno ragioni oscure. Alcune storie moderne raccontano di yōkai che si mescolano agli esseri umani, generando gli han'yō (半妖? o "mezzi-yōkai"); nella tradizione solo le kitsune ne erano capaci.
    Alcuni yōkai semplicemente evitano gli esseri umani, e abitano aree selvagge molto lontano dai centri abitati; altri invece scelgono di vivere vicino ad essi, attratti dal calore delle case o dai fuochi. Gli yōkai sono tradizionalmente associati al fuoco, alla direzione nord-est, e all'estate, stagione nella quale il mondo degli spiriti è vicino a quello umano. Gli Yōkai, come gli altri obake (お化け?), esseri in grado di cambiare forma anche detti bakemono (化け物?), sono spesso rappresentati con tratti tra il grottesco e il terrificante.
    C'è un'ampia varietà di yōkai nella mitologia giapponese: yōkai è un termine vago che può arrivare a comprendere virtualmente tutti i mostri e gli esseri sovrannaturali, perfino creature della mitologia occidentale.

    Yōkai animali
    In Giappone, di molti animali si pensa che posseggano poteri magici: molti di questi sono henge (変化?), mutaforma, che spesso assumono sembianze umane, generalmente al fine di giocare brutti tiri agli esseri umani. In molti casi la trasformazione da animale a yōkai avviene quando raggiungono un'età veneranda, mentre a volte la figura mitologica si è discostata notevolmente dall'animale reale (è il caso del baku e del mujina), e in altri reca solo alcune caratteristiche residue dell'animale originario (è il caso del tengu).

    Tra i più noti esempi di yōkai animali citiamo i seguenti, in ordine alfabetico:

    Bakeneko (化け猫?) e Nekomata (猫又?), gatto
    Baku (獏?), tapiro
    Kitsune (狐?), volpe
    Mujina (貉, 狢?), tasso
    Tanuki (狸?), cane procione
    Tengu (天狗?), uccello (o mezzo uomo, mezzo uccello) per lo più corvo
    Tsuchigumo (土蜘蛛?), ragno
    Yatagarasu, corvo sacro
    Yosuzume (nella prefettura di Kōchi), passero della notte o Suzumeokuri (nella prefettura di Wakayama), passero guida

    Il cane (犬 inu?), poteva invece diventare un kami — per la precisione uno shikigami (式神?) — ed era chiamato Inugami (犬神?). Inoltre l'ormai estinto lupo grigio del Giappone (狼 Ōkami?) era considerato un messaggero dei kami della montagna.

    Yōkai umanoidi

    Molti yōkai erano inizialmente esseri umani, trasformati in qualcosa di grottesco e orrendo spesso da qualche stato emotivo; la futakuchi-onna (二口女?), "donna con due bocche", per esempio, ha una bocca in più dietro la testa, su cui i capelli fungono da tentacoli: questa trasformazione è generalmente causata dall'ossessione per il proprio aspetto fisico. Altri esempi di trasformazioni di umani o di yōkai umanoidi sono i rokuro-kubi (ろくろ首?), umani il cui collo si allunga durante la notte).

    Yōkai oggetti

    Un'altra classe di yōkai sono gli tsukumogami, oggetti di uso comune che prendono vita dopo cento anni; il più famoso, considerato un mostro non spaventoso, è il karakasa, generalmente rappresentato come un parasole con un occhio solo e un piede calzato in un geta (sandalo tipico giapponese) al posto del manico. Altri esempi sono i bakezōri (sandali di paglia), kameosa (otri di sake), morinji-no-kama (teiere), chabukuro (sacchetto del tè) e il fusuma (sorta di kimono che si indossa di notte per andare a dormire, qualcosa fra il pigiama e la vestaglia).

    Altri yōkai

    Ci sono altri yōkai che non rientrano in nessuna delle precedenti categorie; ad esempio gli amikiri, creature che esistono al solo scopo di forare le zanzariere.


    da http://it.wikipedia.org/wiki/Oni_(folclore)

    ONI



    Gli oni (鬼?) sono creature mitologiche del folklore giapponese, simili ai demoni e agli orchi occidentali. Sono personaggi popolari dell'arte, della letteratura e del teatro giapponesi.

    Aspetto

    I ritratti degli oni variano notevolmente tra loro, ma normalmente vengono descritti come creature giganti e mostruose, con artigli taglienti, capelli selvaggi e due lunghe corna che crescono dalla loro testa.
    Sono fondamentalmente umanoidi, ma occasionalmente sono ritratti con caratteristiche innaturali, come molti occhi o dita delle mani e dei piedi extra. La loro pelle può essere di colori diversi, ma quelli più comuni sono rosso, blu, nero, rosa e verde. Il loro aspetto feroce viene spesso accentuato dalla pelle di tigre che tendono ad indossare e dalla mazza ferrata da loro favorita, detta kanabō (金棒?). Questo modo di immaginarli ha generato l'espressione oni con la mazza ferrata (鬼に金棒?), cioè "invincibile" o "imbattibile". Può anche essere usata nel senso di "forte oltre i forti" o in quello di migliorare o incrementare le proprie capacità naturali mediante l'uso di un attrezzo.

    Origini del comportamento

    Nelle prime leggende gli oni, come per esempio la ragazza del pozzo, erano creature benevole ritenute capaci di tenere alla larga spiriti maligni, malvagi e malevoli e di punire i malfattori.
    Durante l'era Heian il Buddhismo giapponese, che aveva già importato una parte della demonologia indiana (rappresentata da figure come i kuhanda, gaki e altri), incorporò queste credenze chiamando queste creature aka-oni ("oni rosso") e ao-oni ("oni blu") e facendone i guardiani dell'inferno o torturatori delle anime dannate. Alcune di queste creature erano riconosciute come incarnazioni di spiriti shinto.
    Con il passare del tempo la forte associazione degli oni con il male contagiò il modo in cui venivano percepite queste creature e vennero a essere considerate come portatori o agenti delle calamità. I racconti popolari e teatrali iniziarono a descriverli come bruti stupidi e sadici, felici di distruggere. Si disse che gli stranieri e i barbari fossero oni. Oggigiorno sono variamente descritti come spiriti dei morti, della terra, degli antenati, della vendetta, della pestilenza o della carestia. Non importa quale sia la loro essenza, gli oni odierni sono qualcosa da evitare e da tenere a bada.
    Fin dal X secolo gli oni sono stati fortemente associati con il nord-est (kimon), particolarmente nella tradizione detta onmyōdō di origine cinese. I templi sono spesso orientati verso questa direzione per prevenirne gli influssi nefasti e molti edifici giapponesi hanno indentazioni a forma di "L" in questa direzione per tenere lontani gli oni. I templi Enryakuji, sul Monte Hiei a nord-est del centro di Kyōto e Kaneiji, che erano collocati a nord-est delle dimore imperiali, ne sono un esempio. La capitale giapponese stessa fu spostata verso nord-est da Nagaoka a Kyōto nell'VIII secolo.
    Alcuni villaggi tengono cerimonie annuali per tenere lontani gli oni, specialmente all'inizio della primavera. Durante la festa del Setsubun la gente scaglia fagioli di soia fuori dalle case gridando «Oni wa soto! Fuku wa uchi!» ("Oni fuori! Fortuna dentro!")[1]. Secondo un'altra tradizione di origine taoista si ritiene che alcuni oni possano fare delazioni alle divinità sui peccati dell'uomo, perciò la nota rappresentazione delle tre scimmie che «non vedono, non sentono e non parlano» (con un gioco di parole in giapponese: «mizaru, kikazaru, iwazaru») ha valore talismanico perché impedirebbe a questi spiriti di agire malevolmente. Rimangono comunque alcune vestigia dell'antica natura benevola degli oni. Per esempio uomini in costume da oni conducono spesso le parate giapponesi per tenere lontana la sfortuna. Gli edifici giapponesi a volte includono tegole del tetto con la faccia da oni per tenere lontana la sfortuna, in maniera simile ai gargoyle della tradizione occidentale. Nella versione giapponese del gioco nascondino il giocatore che sta sotto è invece chiamato "l'oni".

    Le radici storiche degli oni

    È stato ipotizzato che gli oni non siano altro che una trasposizione degli Ainu, antica popolazione europoide del Nord del Giappone, che tuttora sopravvive nell'isola settentrionale di Hokkaidō. Si sa che i giapponesi consideravano gli Ainu esseri animaleschi a causa delle caratteristiche fisiche differenti e della forte pelosità, che ancora oggi manifestano. Nelle leggende infine gli oni furono sconfitti, un'eco nell'iconografia popolare delle guerre di sterminio che i giapponesi condussero per secoli contro gli Ainu.


    YOKAI ANIMALI



    da http://it.wikipedia.org/wiki/Kitsune

    KITSUNE



    Kitsune (狐? [kitsɯne]) è la parola giapponese per "volpe". Le volpi sono un soggetto ricorrente e un elemento di particolare importanza nel folclore giapponese; in italiano, kitsune si riferisce ad esse in questo contesto. Secondo la mitologia giapponese la volpe è un essere dotato di grande intelligenza, in grado di vivere a lungo e di sviluppare con l'età poteri soprannaturali: il principale tra questi ultimi è l'abilità di cambiare aspetto ed assumere sembianze umane, infatti esse appaiono spesso con l'aspetto di una bella donna. In alcuni racconti esse utilizzano queste abilità per ingannare il prossimo — come sovente avviene nel folclore comune — mentre altri le ritraggono come guardiani benevoli, amiche, amanti e mogli. Più una kitsune è vecchia, saggia e potente, più code possiede, fino a un massimo di nove.
    Le kitsune sono strettamente accomunate alla figura di Inari, il kami shintoista della fertilità, dell'agricoltura e del riso: esse sono al suo servizio col ruolo di messaggere, e tale veste ha rafforzato il significato soprannaturale della volpe. Come conseguenza dell'influenza che esercitano sulle persone e dei poteri loro attribuiti, vengono venerate come fossero a tutti gli effetti delle divinità.
    L'origine storica del ruolo centrale della volpe nel folclore giapponese è da ricercare nella sua armoniosa convivenza con gli esseri umani nel Giappone antico, da cui derivano i vari miti e leggende su queste creature.

    Origini

    L'origine dei miti sulla kitsune sono attualmente oggetto di dibattito, ma vi è comunque la certezza che numerosi racconti sulle volpi possano essere ricondotti a Paesi quali Cina, Corea, India e Grecia; molte di queste prime storie sono contenute nel Konjaku Monogatarishū, una raccolta di narrazioni cinesi, indiane e giapponesi dell'XI secolo.[1] I racconti popolari cinesi parlano di spiriti-volpi chiamati huli jing (kyūbi no kitsune in giapponese) che posseggono nove code quale peculiare caratteristica. In Corea vi è la figura del kumiho (letteralmente "volpe a nove code"), una creatura mitologica in grado di vivere cento o mille anni;[2][3] essa è vista come un essere maligno, a differenza della sua controparte giapponese. Secondo alcuni studiosi le caratteristiche comuni presenti in ognuna di queste figure sarebbero da ricondurre a opere indiane quali Hitopadesa (XII secolo) e Pañcatantra (III secolo a.C.), le quali a loro volta avrebbero tratto ispirazione dalle Favole di Esopo (Grecia, VI secolo a.C.), che si diffusero successivamente in Cina, Corea e infine in Giappone.[4]
    Il principale elemento di discussione riguardo ai miti sulla kitsune è quindi la difficoltà nell'individuare la loro origine precisa. Alcune correnti di pensiero ipotizzano che tali miti siano esclusivamente di origine straniera, mentre alcuni folcloristi nipponici ritengono il mito della kitsune una credenza indigena giapponese risalente al V secolo a.C.. Uno di questi, Kiyoshi Nozaki, è convinto che le kitsune fossero già diffuse e considerate un personaggio dai connotati positivi nella cultura popolare già dall'inizio del IV secolo; gli elementi importati dalla Cina o dalla Corea sarebbero unicamente le caratteristiche negative.[5] Egli afferma che, secondo un libro del XVI secolo chiamato Nihon Ryakki, le volpi e gli uomini avrebbero convissuto nel Giappone antico, dando origine alle leggende giapponesi su queste creature.[6] La ricercatrice Karen Smyers, interessata agli studi sul dio Inari (nume fortemente legato ai miti sulla kitsune), ritiene che la figura della volpe e la sua concezione negativa come seduttrice e portatrice di sventura, strettamente connessa ai miti sulle kitsune del Buddhismo, siano state introdotte nel folclore giapponese attraverso i racconti popolari cinesi, sostenendo tuttavia che alcuni dei miti contengano elementi unicamente giapponesi.[7]

    Etimologia

    Secondo Nozaki la parola kitsune ha origini onomatopeiche.[6] Il termine kitsu in passato veniva usato per indicare il verso della volpe, diventando successivamente la parola che identifica l'animale stesso. La parola ne è traducibile in "stato d'animo affettuoso", che Nozaki presenta quale ulteriore prova delle sue affermazioni, ovvero che nella tradizione originale del folclore giapponese le volpi fossero esseri benevoli.[5] Oggi il termine kitsu è caduto in disuso; nel giapponese moderno è stato infatti sostituito da kon kon o gon gon.
    Uno dei più antichi racconti sui miti delle kitsune fornisce un'etimologia popolare del termine, in seguito smentita.[8] A differenza di molti racconti di kitsune nei quali esse si trasformano in donne, questo non termina tragicamente:[1][9]

    (EN)
    « Ono, an inhabitant of Mino (says an ancient Japanese legend of A.D. 545), spent the seasons longing for his ideal of female beauty. He met her one evening on a vast moor and married her. Simultaneously with the birth of their son, Ono's dog was delivered of a pup which as it grew up became more and more hostile to the lady of the moors. She begged her husband to kill it, but he refused. At last one day the dog attacked her so furiously that she lost courage, resumed vulpine shape, leaped over a fence and fled.
    "You may be a fox", Ono called after her, "but you are the mother of my son and I love you. Come back when you please; you will always be welcome".
    So every evening she stole back and slept in his arms. »

    (IT)
    « Ono, un abitante di Mino (come narra un'antica leggenda giapponese del 545 d.C.), impiegò molto tempo per trovare il suo ideale di bellezza femminile. Una sera trovò la donna perfetta in una vasta palude decidendo quindi di sposarla. Contemporaneamente alla nascita del primo figlio anche il cane di Ono ebbe un cucciolo, che crescendo divenne sempre più ostile verso la donna delle brughiere. Ella pregò il marito di ucciderlo, ma lui si rifiutò. Un giorno il cane l'attaccò terrorizzandola tanto che lei tornò alla sua originale forma volpina e scappò via.
    "Sarai anche una volpe" le diceva poi Ono "ma sei la madre dei miei figli e io ti amo. Torna quando ti pare; sarai sempre benvenuta".
    Così ogni sera ella tornava e dormiva tra le sue braccia. »
    (Sunto del racconto Torna e dorme scritto dal monaco Kyoukai nel tardo VIII secolo o all'inizio del IX secolo[8])
    Poiché ella tornava ogni notte dal marito sotto forma di donna, ma tutte la mattine se ne andava come volpe, fu chiamata kitsune. In giapponese classico kitsu-ne significa "torna e dorme", mentre la variante ki-tsune significa "torna sempre"
    .[9]

    Caratteristiche

    Le kitsune sono conosciute per possedere una grande intelligenza, poteri magici e per essere in grado di vivere a lungo. Esse sono un tipo di yōkai, ovvero un'entità spirituale, e la parola kitsune è spesso tradotta in "spirito di volpe". Tuttavia ciò non significa che le kitsune siano dei fantasmi, né che siano fondamentalmente diverse dalle normali volpi: in questo contesto la parola "spirito" è usata per riflettere uno stato di conoscenza o illuminazione, quindi tutte le volpi longeve sono in grado di acquisire abilità soprannaturali.[7]
    Vi sono due principali tipi di kitsune. Le zenko (善狐? letteralmente "volpi buone") sono volpi celestiali e benevole, associate al culto del dio Inari; talvolta sono dette semplicemente "volpi Inari". Le yako (野狐? letteralmente "volpi di campo", chiamate anche nogitsune), invece, posseggono un carattere malizioso e intenzioni malvagie.[10] Le tradizioni locali prevedono ulteriori tipi di kitsune:[11] una ninko (人狐? "volpe umana"), per esempio, è uno spirito di volpe invisibile, capace di interagire con gli esseri umani attraverso la pratica della possessione. Altre tradizioni suddividono le kitsune in tredici classi distinte, ognuna delle quali possiede uno specifico potere soprannaturale.[12][13]
    La principale caratteristica fisica che contraddistingue le kitsune è la grande quantità di code che esse possiedono. Maggiore è l'età di una volpe, maggiore sarà il numero delle code cui essa potrà disporre, fino a un massimo di nove.[14] Di conseguenza, un gran numero di code sta a indicare una volpe più anziana e potente; alcuni racconti popolari narrano che solo le volpi ultracentenarie possano ambire al numero massimo di code.[15] I miti più conosciuti narrano di volpi a una, cinque, sette, o nove code.[16] Quando una kitsune ottiene la sua nona coda, il suo manto diviene di colore bianco o oro.[14] Queste kyūbi no kitsune (九尾の狐? volpi a nove code) acquisiscono anche l'abilità di vedere e sentire qualsiasi cosa accada in ogni parte del mondo (onniscienza), e altri racconti attribuiscono loro infinita saggezza.[17]

    Abilità mutaforma

    Tra le abilità della kitsune vi è quella di mutare in forma umana, assumendo le sembianze di giovani ragazze e belle donne.
    Tra le capacità delle kitsune vi è la possibilità di cambiare aspetto e di assumere sembianze umane, un'abilità che la volpe può apprendere una volta raggiunta una determinata età, solitamente 50 o 100 anni.[15] Per poter compiere tale trasformazione la volpe deve posare sulla propria nuca delle canne, una foglia di grande dimensioni o un teschio.[18] Le forme comunemente assunte dalle kitsune includono uomini anziani, belle donne o giovani ragazze; questi ultimi due esempi sono le trasformazioni più conosciute delle kitsune. Nel Giappone medioevale si credeva infatti che ogni donna vista aggirarsi senza meta, specialmente al crepuscolo o di notte, fosse una volpe.[19] Il termine kitsune-gao (狐顔? "faccia da volpe") viene usato per descrivere i lineamenti umani del viso delle donne, caratterizzato da una forma affilata e occhi ravvicinati, sopracciglia sottili e zigomi alti. Tradizionalmente questa forma del viso è considerata attraente, e in alcuni racconti le volpi assumono tale fisionomia.[20] In alcune varianti dei suddetti racconti le kitsune mantengono dei tratti volpini, come ad esempio una leggera peluria sul corpo, un'ombra o un riflesso che mostri la loro vera natura.[21] Le volpi che possiedono questa capacità possono comunque trasformarsi in qualsiasi persona, senza limiti di età o di genere.[7][22]
    Un buon metodo per scoprire la vera natura delle kitsune è cercarne la coda, in quanto esse hanno difficoltà a nasconderla quando assumono forma umana.[23] Una persona particolarmente leale, in alcuni casi, può essere anche capace di percepire la vera natura di una volpe e di smascherarne il travestimento.[24] Mentre sono in forma umana, le kitsune mostrano astio e ostilità verso i cani, tanto da esserne terrorizzate ed essere costrette in alcuni casi a ritornare in forma volpina e fuggire (come ad esempio avviene nel racconto Torna e dorme di Kyoukai).
    Tale imperfezione nella trasformazione in forma umana delle kitsune è raccontata all'interno di un racconto popolare che ha come protagonista Koan, un personaggio storico che si credeva avesse grande saggezza e magici poteri di divinazione. Secondo il racconto egli si trovava a casa di uno dei suoi devoti quando si ustionò i piedi a causa di un pediluvio con acqua troppo calda. Poi, si legge nel racconto, «per il dolore corse fuori dal bagno nudo. Quando la gente della casa lo vide, si stupirono nel vedere che Koan avesse gran parte del corpo ricoperto da pelliccia e una coda da volpe. A quel punto Koan si trasformò di fronte a loro, tramutandosi in un'anziana volpe e scappando via».[25]
    Altre abilità in possesso delle kitsune sono la possessione spirituale, la capacità di sputare fuoco o fulmini dalla bocca o dalle code (conosciuta come kitsunebi), il potere di entrare nei sogni, l'invisibilità, la capacità di volare e di creare illusioni complesse ed elaborate.[18][21] Le kitsune vengono descritte anche come dotate di poteri ancora maggiori, come modificare il tempo e lo spazio, rendere le persone folli, oppure assumere altre forme oltre a quelle umane, come un albero d'incredibile altezza o una seconda luna nel cielo.[26][27] Altre kitsune hanno caratteristiche simili ai vampiri o ai succubi, nutrendosi dell'energia vitale degli esseri umani, generalmente attraverso un contatto sessuale.[28]

    Kitsunetsuki

    Kitsunetsuki (狐憑き / 狐付き? anche trascritto kitsune-tsuki) significa letteralmente "posseduto dalla volpe": si credeva che una volpe fosse in grado di entrare nel corpo delle sue vittime, generalmente giovani donne, attraverso un'unghia o il petto, nutrendosi così della loro forza vitale e vivendo all'interno del corpo senza relazione con l'anfitrione.[29] In alcuni casi sembra che i tratti del viso del posseduto cambiassero leggermente, in modo da ricordare le fattezze di una volpe. Infine, secondo la tradizione giapponese, gli analfabeti, una volta posseduti, acquisivano temporaneamente la capacità di leggere e scrivere.[30]
    Il folclorista Lafcadio Hearn (1850-1904) descrive questa condizione nel suo libro Glimpses of Unfamiliar Japan:

    (EN)
    « Strange is the madness of those into whom demon foxes enter. Sometimes they run naked shouting through the streets. Sometimes they lie down and froth at the mouth, and yelp as a fox yelps. And on some part of the body of the possessed a moving lump appears under the skin, which seems to have a life of its own. Prick it with a needle, and it glides instantly to another place. By no grasp can it be so tightly compressed by a strong hand that it will not slip from under the fingers. Possessed folk are also said to speak and write languages of which they were totally ignorant prior to possession. They eat only what foxes are believed to like — tofu, aburagé, azukimeshi, etc. — and they eat a great deal, alleging that not they, but the possessing foxes, are hungry. »
    (IT)
    « Strana è la follia di coloro posseduti da un demone volpe. Talvolta corrono nudi gridando per le strade. Talvolta dormono o con la bava alla bocca, ululano come volpi. E su alcune parti del corpo del posseduto compare sotto pelle una protuberanza che si muove, che sembra avere vita propria. Se lo si punge con un ago, immediatamente si sposta in un altro posto. Per far sì che si fermi occorre bloccarlo saldamente sotto una mano, facendo pressione affinché non scivoli via dalle dita. La gente posseduta si dice che parli e scriva in lingue fino allora sconosciute. Mangiano solo ciò che sembra piacere alle volpi - tōfu, aburaage e azukimeshi - e ne mangiano una gran quantità, come se non essi, ma la volpe che li possiede, fosse affamata.[31] »

    Hearn fa poi notare che, una volta liberata dallo stato di kitsunetsuki, la vittima si rifiuterà di mangiare tōfu, azukimeshi e altri cibi che piacciono alle volpi.

    (EN)
    « Exorcism, often performed at an Inari shrine, may induce a fox to leave its host. In the past, when such gentle measures failed or a priest was not available, victims of kitsunetsuki were beaten or badly burned in hopes of forcing the fox to leave. Entire families were ostracized by their communities after a member of the family was thought to be possessed. »
    (IT)
    « L'esorcismo, spesso effettuato in un santuario di Inari, può indurre la volpe a lasciare il corpo nella quale è ospitata.[32] In passato, quando questa soluzione falliva o non era disponibile un sacerdote, il posseduto veniva malmenato o bruciato vivo nella speranza di costringere la kitsune ad andarsene.[33] Intere famiglie sono state ostracizzate dalla loro comunità a causa di un familiare che si pensava fosse stato vittima di kitsunetsuki.[31] »

    In Giappone, il kitsunetsuki incominciò a essere trattato alla stregua di una malattia dal periodo Heian (794-1185), venendo indicato come diagnosi comune di infermità mentale fino al XX secolo.[34][35] Lo stato di possessione veniva utilizzato come spiegazione per il comportamento anormale mostrato dagli afflitti da disturbi mentali. Nel tardo XIX secolo, il dottor Shunichi Shimamura dichiarò che le malattie fisiche responsabili dell'insorgenza di febbre erano spesso ricondotte allo stato di kitsunetsuki.[36] È indubbio che la maggior parte di tali storie di possessione a opera di volpi siano influenzate dalle credenze popolari, ma ciò nonostante esse continuano a verificarsi anche in tempi più recenti, come ad esempio le insinuazioni fatte ai danni dei membri del nuovo movimento religioso Aum Shinrikyo, accusati di essere posseduti.[37][38]
    In medicina, il kitsunetsuki è considerata una sindrome culturale unica della cultura giapponese. Coloro che soffrono di questa malattia (i più colpiti sono uomini con poca cultura, religiosi e donne) credono di essere posseduti da una volpe.[39] I sintomi includono ossessione per riso e fagioli rossi dolci, apatia, irrequietezza e avversione al contatto visivo. Il kitsunetsuki è simile alla licantropia clinica, ma si distingue da essa sotto alcuni aspetti.[40]

    Hoshi no tama

    Nelle rappresentazioni artistiche le kitsune vengono spesso raffigurate a fianco di punti luminosi di forma sferica conosciuti come hoshi no tama (ほしのたま? letteralmente "sfere stellate"): questi punti, in alcuni racconti, vengono descritti come globi incandescenti, e in questo caso prendono il nome di kitsunebi (狐火? "fuoco di volpe").[41] Vengono rappresentate anche sotto forma di perle o gioielli dotati di poteri magici:[42] questi oggetti sono uno dei simboli peculiari associati alla figura del dio Inari, e le rappresentazioni delle sacre volpi di Inari senza le proprie hoshi no tama sono assai rare.[43] Le kitsune, quando assumono la loro forma naturale, trasportano la propria sfera tenendola tra le fauci o trasportandola sulla coda.[15]
    Una convinzione popolare narra che, quando una kitsune cambia forma, parte del suo potere magico si trasferisce all'interno della hoshi no tama. Un'altra tradizione vuole che la perla rappresenti l'anima della kitsune, perciò, se la volpe dovesse rimanere troppo tempo separata da questa, finirebbe per morire. È possibile anche sottrarre la sfera alla kitsune, in modo da chiedere delle ricompense in cambio della restituzione.[44] Un racconto del XII secolo narra della disavventura di una volpe che si vede sottrarre la hoshi no tama da un uomo:

    (EN)
    « "Confound you!" snapped the fox. "Give me back my ball!" The man ignored its pleas till finally it said tearfully, "All right, you've got the ball, but you don't know how to keep it. It won't be any good to you. For me, it's a terrible loss. I tell you, if you don't give it back, I'll be your enemy forever. If you do give it back though, I'll stick to you like a protector god." »
    (IT)
    « "Maledizione!" sbottò la volpe. "Restituiscimi la mia sfera!" Ma l'uomo la ignorava finché ella non cominciò a piangere. "Va bene - disse - hai rubato la mia sfera, ma non ha idea di cosa farne. Non ne trarrai nulla di buono per te. Per me invece, è una perdita terribile. Io ti dico che, se tu non me la dovessi restituire, sarò tuo eterno nemico. Se invece me la restituissi, ti starò a fianco come un dio protettore." »

    Il racconto si conclude con l'uomo che, attaccato da una banda di rapinatori armati, viene salvato dall'intervento della volpe, alla quale in cambio restituisce la sfera magica.[45]

    Rappresentazioni

    Messaggere di Inari

    Le kitsune sono strettamente legate alla figura del dio Inari, la divinità shintoista del riso e dell'agricoltura.[46] Quest'ultimo, secondo la tradizione, nei periodi invernali risiedeva in montagna, per poi scendere a valle in primavera durante la stagione agricola. Finito il periodo del raccolto, Inari sarebbe tornato ancora una volta nella sua residenza invernale. Ogni stagione le volpi si avvicinavano alle abitazioni degli umani allo stesso modo, venendo col tempo riconosciute come naturali messaggere del dio.[47] Tale legame ha contribuito a rafforzare l'essenza soprannaturale della volpe,[48] tanto che essa è stata per lungo tempo venerata come kami.[49] La kitsune è sovente raffigurata quale serva o messaggera di Inari, ma la linea di demarcazione tra i due si è ormai talmente assottigliata che talvolta lo stesso dio è ritratto come una volpe. Allo stesso modo, interi santuari sono dedicati alle kitsune, dove i devoti erano soliti offrire fette di tōfu fritto chiamate aburaage, di cui gli spiriti-volpi si dice fossero particolarmente ghiotti.[11] Tale pietanza di conseguenza ha influenzato la preparazione e la diffusione di piatti a base di pasta chiamati kitsune udon e kitsune soba. Inoltre l‘inarizushi è un tipo di sushi che deve il nome al dio Inari e che consiste in delle polpette di riso rivestite di aburaage.[50]
    Le kitsune di Inari sono bianche, colore considerato di buon auspicio,[11] caratteristica che in passato valse loro il titolo nobiliare di myōbu.[53] Esse possiedono il potere di allontanare il male, e talvolta agiscono da spiriti guardiani. Oltre a proteggere i santuari di Inari, esse proteggono le persone del posto fungendo da spauracchio contro le malvagie nogitsune, gli spiriti-volpi che non sono a servizio di Inari. Le volpi nere e le volpi a nove code sono altresì considerate come portafortuna.[23]
    Secondo i credi tramandati dalla geomanzia cinese (feng shui), il potere delle volpi sul male è tale che un amuleto o una semplice statua raffigurante una kitsune è sufficiente ad allontanare il kimon (鬼門?), termine stante a identificare quell'energia responsabile di indurre le persone in tentazione, e liberamente traducibile in "cancello dei demoni a nord-est" o "creature che giungono da nord-est". Secondo le credenze popolari cinesi la direzione nord-est è considerata particolarmente infausta e tale convinzione ha finito per influenzare le tradizioni giapponesi. Parecchi jinja di Inari, come il famoso santuario di Fushimi Inari-taisha a Kyoto, posseggono statue di kitsune poste a nord-est, le quali interpretano il ruolo di guardiano avente il compito di impedire l'ingresso dell'energia demoniaca nel mondo terreno.
    La figura della kitsune non compare unicamente nella tradizione shintoista, ma è legata anche alla religione buddhista attraverso Dakini, spirito sovente raffigurato come controparte femminile di Inari. Dakini è ritratta come una donna bodhisattva brandente una spada e in sella a una volpe volante di colore bianco.[54]

    Affabulatrici e vendicative

    Le kitsune spesso adottano comportamenti tipici dei trickster (traducibile in "ingannatore"), ovvero esseri spirituali abili nell'imbroglio e caratterizzati da una condotta amorale, capaci di compiere azioni che variano dalla semplice malizia fino alla vera e propria malevolenza. I racconti narrano di kitsune che truffano samurai eccessivamente orgogliosi, mercanti avidi o persone vanitose, mentre quelle più crudeli abusano di contadini e poveri commercianti o di devoti monaci buddhisti. Per esempio, si pensa che le kitsune usino i kitsunebi a mo' di fuoco fatuo nel tentativo di far smarrire la strada ai viaggiatori.[55][56] Altri trucchi utilizzati dalle kitsune ingannatrici includono sedurre la vittima, confonderla con illusioni e visioni, il furto di cibo, l'umiliazione dei vanagloriosi e la vendetta. Le loro vittime sono di solito uomini; le donne invece vengono possedute.[19]
    Un gioco tradizionale giapponese chiamato kitsune-ken (狐拳? letteralmente "pugno della volpe") fa riferimento a tali poteri, dando una chiara idea di come fossero visti e temuti dalle persone del tempo. Il gioco è simile alla morra cinese, ma le tre posizioni delle mani sono "volpe", "cacciatore" e "capo villaggio". Il "capo villaggio" batte il "cacciatore", perché lo supera di grado; il "cacciatore" batte la "volpe", poiché in grado di sparare col suo fucile; la "volpe" batte il "capo villaggio", stregandolo.[57][58]
    Queste rappresentazioni ambigue, unite alla reputazione di esseri vendicativi, motivarono le persone a cercare di scoprire le cause del comportamento problematico delle volpi. Per esempio, Toyotomi Hideyoshi, daimyō che unificò il Giappone alla fine del XVI secolo scrisse una lettera al dio Inari:

    (EN)
    « To Inari Daimyojin,
    My lord, I have the honor to inform you that one of the foxes under your jurisdiction has bewitched one of my servants, causing her and others a great deal of trouble. I have to request that you make minute inquiries into the matter, and endeavor to find out the reason of your subject misbehaving in this way, and let me know the result.
    If it turns out that the fox has no adequate reason to give for his behavior, you are to arrest and punish him at once. If you hesitate to take action in this matter I shall issue orders for the destruction of every fox in the land. Any other particulars that you may wish to be informed of in reference to what has occurred, you can learn from the high priest of Yoshida. »

    (IT)
    « A Inari Daimyojin,
    Mio signore, ho il dovere di informarla che una delle volpi sotto la sua giurisdizione ha stregato una delle mie serve, causando a lei e alle altre una grande quantità di problemi. Devo chiederle di fare minuziose indagini sulla questione, e cercare di scoprire le ragioni del comportamento del soggetto, mettendomene a conoscenza appena possibile.
    Se scopre che la volpe non ha ragioni sufficienti per motivare il proprio comportamento, la prego di fermarla e di punirla. Se esita nell'intervenire in questa vicenda, io darò ordine di sterminare tutte le volpi del Paese. Per qualsiasi altra questione relativa o in riferimento a quanto accaduto, può consultare il sommo sacerdote di Yoshida.[59] »


    Le kitsune sono note per mantenere ciò che promettono e si sforzano di restituire qualsiasi favore; può capitare che esse si stabiliscano nell'abitazione di una persona o di una famiglia, provocando ogni sorta di male. In un racconto del XII secolo, solo la minaccia del proprietario dell'abitazione di sterminarle, le volpi si convincono ad andarsene. La volpe capofamiglia, tuttavia, appare nei sogni dell'uomo:

    (EN)
    « My father lived here before me, sir, and by now I have many children and grandchildren. They get into a lot of mischief, I'm afraid, and I'm always after them to stop, but they never listen. And now, sir, you're understandably fed up with us. I gather that you're going to kill us all. But I just want you to know, sir, how sorry I am that this is our last night of life. Won't you pardon us, one more time? If we ever make trouble again, then of course you must act as you think best. But the young ones, sir — I'm sure they'll understand when I explain to them why you're so upset. We'll do everything we can to protect you from now on, if only you'll forgive us, and we'll be sure to let you know when anything good is going to happen! »
    (IT)
    « Mio padre visse qui prima di me, signore, e ora io ho molti figli e nipoti. Compiono molte monellerie, me ne dispiaccio, e cerco sempre di fermarli, ma non mi prestano attenzione. E adesso, signore, lei è comprensibilmente stanco di noi. Ma io voglio solo che lei sappia, signore, quanto mi dispiaccia che questa sia la nostra ultima notte di vita. Non vuole perdonarci, solo per questa volta? Se mai creeremo altri problemi, poi, naturalmente, lei agirà come meglio crede. Ma i giovani, signore, sono sicuro che capiranno quando spiegherò loro perché lei è così arrabbiato. Faremo tutto il possibile per proteggerla da ora in poi, ma solo se ci perdona, e stia certo che le faremo sapere quando qualcosa di buono sta per accadere![60] »

    Altre kitsune usano la magia a beneficio dei loro compagni o padroni finché questi le trattano con rispetto. Essendo yōkai, tuttavia, le kitsune non condividono la moralità umana, e può capitare che una volpe stabilitasi in una casa, per esempio, vi porti all'interno denaro e altri oggetti rubati a vicini; come conseguenza, le famiglie in cui si pensa alloggi una kitsune sono trattate con diffidenza e sospetto.[61] Tra i più sospettati di ospitare una kitsune vi erano i samurai, ma in questo caso le volpi erano classificate come zenko e la possibilità di usufruire dei loro poteri magici era considerato un segno di prestigio.[62] Le case abbandonate erano generalmente considerate luogo di ritrovo per le kitsune.[19] Un racconto del XII secolo narra di un ministro che decise di trasferirsi in un vecchio palazzo, trovandovi all'interno una famiglia di volpi che vi abitava: inizialmente esse provarono a spaventarlo, poi sostennero che la casa apparteneva loro da molti anni; però l'uomo non cedette, e le volpi furono costrette ad andarsene e a trasferirsi in un terreno nelle vicinanze.[63]
    Infine è noto che dalle kitsune non bisogna accettare ricompense che includano denaro o beni materiali, in quanto questi diverranno carta, foglie, rami, pietre o altri oggetti senza valore, mascherati precedentemente da oggetti preziosi grazie alla magia.[64][65] Le ricompense delle kitsune sono solitamente beni immateriali come protezione, conoscenza e lunga vita.[65]

    Mogli e amanti

    Le kitsune sono generalmente rappresentate come amanti, di solito in storie che coinvolgono un giovane maschio umano e una kitsune sotto forma umana.[66] La kitsune è nota per la sua indole tentatrice e seduttrice, ma queste storie sono sovente di natura romantica.[67] In genere, quando il giovane uomo sposa la volpe, non è a conoscenza della sua vera natura, in quanto ella si dimostra essere una moglie devota. Se il marito eventualmente scoprisse la vera identità della kitsune, allora ella sarebbe costretta a lasciarlo e fuggire. In questo caso il marito si sveglia come da un sogno, sporco, disorientato e lontano da casa. Una volta fatto ritorno egli deve fare i conti con la famiglia che ha disonorato con il proprio comportamento.
    Altre leggende narrano di volpi che, una volta andate in moglie a un umano, partoriscono dei figli. Questi hanno la possibilità di ereditare speciali qualità fisiche o soprannaturali che sovente perpetuano a loro volta ai propri figli.[23] Una di queste leggende racconta la storia di Abe no Yasuna (安倍保名?), il quale passando un giorno presso un tempio dedicato a Inari vide una volpe inseguita dai cacciatori, e impietositosi decise di salvarla fornendo agli uomini false indicazioni. Alcuni mesi dopo sposò un bella donna di nome Kuzunoha la quale gli diede anche un figlio. Tre anni dopo, Kuzunoha scappò via lasciando un biglietto nel quale confessava al marito di essere la volpe salvata così generosamente anni addietro.[68] La leggenda vuole che il figlio dei due sia il famoso astronomo e occultista Abe no Seimei (安倍 晴明? 921-1005), dotato di potenti poteri magici ereditati dalla madre kitsune.[69]
    Anche lo scrittore Stephen Turnbull, in Nagashino 1575: Slaughter at the barricades, racconta la storia del coinvolgimento del clan Takeda con una donna-volpe. Nel 1544 il signore della guerra Shingen Takeda, durante una campagna di conquista nella provincia di Shinano, sconfisse in battaglia un daimyō locale noto come Yorishige Suwa, costringendolo al suicidio. Successivamente obbligò la figlia quattordicenne di questi a sposarlo. Egli era talmente ossessionato dalla ragazza che i suoi seguaci si convinsero che ella fosse l'incarnazione dello spirito della volpe bianca del santuario di Suwa, che lo aveva stregato al fine di ottenere vendetta. Quando il figlio dei due, Katsuyori Takeda, guidò alla disfatta il clan nella battaglia di Nagashino i «vecchi saggi annuirono, ricordando le circostanze infelici della sua nascita e delle voci sui poteri della madre».[70]
    I racconti riportano anche matrimoni tra le stesse kitsune. Quando piove ma nel frattempo il cielo è limpido (pioggia a ciel sereno) si dice avvenga un "matrimonio di volpi" (狐の嫁入り kitsune no Yomeiri?) in riferimento a una leggenda che descrive una cerimonia matrimoniale tra due kitsune avvenuta in tali condizioni climatiche.[71] L'evento è considerato di buon auspicio, ma nessuno è autorizzato ad assistere al matrimonio, in caso contrario si scatenerebbe la vendetta della kitsune,[72] come descritto nel film Sogni di Akira Kurosawa.[73]


    da http://it.wikipedia.org/wiki/Kappa

    KAPPA



    Il kappa (河童?), chiamato anche Kawatarō (川太郎? "ragazzo-di-fiume") o Kawako (川子? "figlio-del-fiume"), è una creatura leggendaria giapponese, uno yokai, uno spirito del folklore e della mitologia giapponese che abita in laghi, fiumi e stagni.
    Nello shintoismo sono considerati uno dei tanti suijin (水神? "dei-acquatici"). Una variante di kappa coperti di peli sono chiamati Hyōsube (ひょうすべ?).
    I kappa sono simili ai Nix o Nixie inglesi, ai Näkki della Scandinavia, ai Neck della Germania ed ai kelpie scozzesi, e sono stati usati in tutte queste culture per spaventare i bambini nei confronti del pericolo di ciò che si nasconde nelle acque.

    Aspetto

    La maggior parte delle descrizioni dipinge i kappa come umanoidi delle dimensioni di bambini, sebbene i loro corpi siano più simili a quelli delle scimmie o a quelli delle rane piuttosto che a quelli degli esseri umani. Alcune descrizioni dicono che le loro facce sono gorillesche, mentre secondo altre hanno un viso con un becco simile a quello delle tartarughe. Generalmente i disegni mostrano i kappa con spessi gusci simili a quelli di una tartaruga e con la pelle scagliosa in colori nell'intervallo che va dal verde, al giallo o al blu.[5][6][7]
    I kappa abitano i laghi e i fiumi del Giappone e sono dotati di diverse caratteristiche che li aiutano in questo ambiente, come mani e piedi palmati.[8] Si dice alle volte che puzzino di pesce e certamente sanno nuotare bene. L'espressione kappa no kawa nagare ("un kappa che si fa portar via dalla corrente") significa che anche gli esperti possono sbagliare.[9]
    La caratteristica principale del kappa è comunque la depressione piena d'acqua in cima alla testa. Questa cavità è circondata da ispidi e corti capelli, che hanno dato nome al taglio di capelli okappa atama. Il kappa trae la sua forza incredibile da questo foro pieno d'acqua e chiunque ne affronti uno può sfruttare questa debolezza semplicemente facendo in modo che il kappa rovesci l'acqua dalla sua testa; un metodo sicuro è di appellarsi al profondo senso di etichetta del kappa, dato che questo non può non ricambiare un profondo inchino, anche se questo significa rovesciare l'acqua dalla testa, una volta vuotata la riserva d'acqua infatti, il kappa è seriamente indebolito e rischia anche di morire; altri racconti dicono che quest'acqua permette ai kappa di muoversi sulla terra ed una volta svuotata la creatura è immobilizzata. I bambini testardi sono incoraggiati a seguire il costume di inchinarsi con la scusa che sia una difesa contro i kappa.

    Comportamento

    I kappa sono combinaguai maliziosi. I loro scherzi vanno dal relativamente innocente, come rumorose flatulenze o guardare sotto al kimono delle donne, fino ai più problematici, come rubare il raccolto, rapire bambini o stuprare donne. Infatti i piccoli bambini sono uno dei pasti preferiti dei kappa, sebbene siano anche disponibili a mangiare adulti. Si nutrono delle loro vittime inermi, succhiando fuori le interiora (o il sangue, il fegato o la "forza vitale", secondo la leggenda) attraverso l'ano, succhiando il loro shirikodama (尻子玉?), una mitica sfera che vi si troverebbe.[10][11] Avvisi che mettono in guardia dai kappa appaiono sui corsi d'acqua di alcune città e villaggi giapponesi. Si dice che i kappa abbiano anche paura del fuoco e alcuni villaggi tengono festival di fuochi d'artificio ogni anno per spaventarli e tenerli lontani.
    Un tempo si credeva che se si affrontava un kappa, c'era solo un modo per uscirne vivi: i kappa, per qualche ragione, sono ossessionate dall'etichetta, così se la persona avesse fatto un profondo inchino al kappa, quest'ultimo avrebbe sicuramente ricambiato con un altro inchino, versando inavvertitamente l'acqua contenuta nella boccia a forma di foglia di ninfea sopra la propria testa, quindi se una persona fosse riuscita a ingannare il kappa e farlo inchinare, quest'ultimo sarebbe stato reso incapace di lasciare la posizione dell'inchino, fino a quando la boccia-foglia di ninfea sulla sua testa non fosse stata riempita di nuovo con l'acqua del fiume o dello stagno dove viveva; nel caso fosse stato un umano a riempirla, si credeva che il kappa l'avrebbe servito per l'eternità.[12]
    I kappa non sono comunque interamente antagonisti degli esseri umani; sono curiosi della civilizzazione umana e possono comprendere e parlare il giapponese, per questo a volte sfidano chi incontrano a batterli in test di abilità, come lo shogi (un gioco simile agli scacchi popolare in Giappone) o un incontro di sumo.[2] Possono anche stringere amicizia con esseri umani in cambio di doni e offerte, specialmente cetrioli, il solo cibo che i kappa apprezzino più dei bambini umani. Alle volte i genitori giapponesi scrivono i nomi dei loro bambini (o i loro propri nomi) su cetrioli e li lanciano nelle acque infestate di kappa per placare la creatura e permettere alla famiglia di fare il bagno. Esiste anche un tipo di sushi ripieno di cetriolo, chiamato appunto kappamaki.[12]
    Una volta stretta amicizia con il kappa, si dice che questo esegua diversi tipi di compiti per gli esseri umani, come aiutare i contadini ad irrigare i campi. Sono anche gran conoscitori della medicina e una leggenda afferma che hanno insegnato agli esseri umani come guarire le fratture.[12] A causa di questi aspetti benevoli alcuni santuari shintoisti, detti jinja, sono dedicati all'adorazione di un kappa particolarmente benevolo.
    I kappa possono anche essere truffati nell'aiutare le persone. Il loro profondo senso del decoro non permette loro, per esempio, di rompere un giuramento, quindi se si riesce ad obbligare un kappa a promettere aiuto, il kappa non ha alcuna scelta che di mantenere la parola data.

    Origini

    Ci sono diverse teorie sull'origine dei kappa nel mito giapponese. Una possibilità è che si siano sviluppati dall'antica pratica giapponese di far galleggiare i feti di bambini nati morti lungo i fiumi e torrenti.[13]
    Il nome "kappa" potrebbe essere derivato dal termine per la "veste" usata dai monaci portoghesi arrivati in Giappone nel XVI secolo; questi chiamavano il loro abito capa e l'aspetto dei monaci non è dissimile da quello di questi spiriti giapponesi, dal mantello sciolto, simile ad un guscio, alla tonsura dei capelli.[14]
    L'etimologia più antica del nome giapponese tuttavia fa pensare che in origine il termine significasse "creature o uomini dei corsi d'acqua" (è attestata infatti anche la versione kawappa).


    da http://it.wikipedia.org/wiki/Tengu

    TENGU



    I tengu (天狗?) sono un tipo di creature fantastiche della iconografia popolare giapponese, a volte considerati kami e a volte yōkai. Sono spesso associati ad altre creature fantastiche, gli oni.

    Aspetto e varianti

    I tengu assumono varie forme, ma generalmente sono rappresentati come uomini-uccello, dotati di un lungo naso prominente o addirittura di becco, con ali sulla testa e capelli spesso rossi; quelli meno potenti, karasu tengu (烏天狗?), kotengu (小天狗?) o konohatengu (木の葉天狗?) sono ritratti come più simili agli uccelli. La faccia può essere rossa, verde o nera, e le loro orecchie e capelli sono generalmente umani; sono dotati di ali che battono rapidamente come quelle di un colibrì; ali e coda sono piumate, e talvolta lo è tutto il corpo. Possono portare un pastorale buddhista con anelli in cima detto shakujo, che serve a combattere o a difendersi dalla magia oscura.
    Gli yamabushi tengu (山伏天狗?), ōtengu (大天狗?) o daitengu sono più umani dei loro cugini karasu: sono alti con pelle e faccia rossa, ma hanno un naso incredibilmente lungo. Spesso sono usati nelle storie per parodiare il buddhismo; portano un bastone (bō) o un martellino. Anche loro talvolta hanno caratteristiche aviarie, come ali o un mantello di piume; secondo alcune leggende hanno dei ventagli hauchiwa, fatti con piume o foglie di Aralia japonica, e li usano per controllare la lunghezza del naso o scatenare fortissime raffiche di vento.
    Dei tengu atipici sono il guhin, simile a un cane, e lo shibatengu, simile a un kappa.
    I tengu possono trasformarsi in animali (uccello, volpe, o cane procione - nota che questi ultimi due sono a loro volta capaci di fare lo stesso: vedi kitsune e tanuki) o esseri umani, anche se generalmente mantengono alcune caratteristiche del loro aspetto, come un naso particolarmente lungo o una costituzione simile ad un uccello.
    I tengu sono quasi sempre ritratti vestiti come eremiti di montagna (yamabushi), monaci buddhisti o sacerdoti shintoisti. Anche se sono dotati di ali e possono volare, generalmente sono anche in grado di teletrasportarsi magicamente.

    Abitudini

    I tengu abitano le montagne del Giappone, e preferiscono fitte foreste di pini e crittomerie; sono specialmente associati ai monti Takao e Kurama. La terra dei tengu è anche chiamata Tengudō, che può corrispondere ad una locazione geografica, una parte di un regno demoniaco, o semplicemente un nome per ogni accampamento di tengu.
    Le leggende spesso descrivono la società dei tengu come gerarchica: i karasu fungono da servi e messaggeri degli yamabushi, e in capo a tutti c'è un re dai capelli bianchi, Sōjōbō, che vivrebbe sul monte Kurama. Inoltre, molte aree del Giappone si dicono infestate da tengu con altri nomi, spesso anche venerati nei templi. Sebbene siano sempre raffigurati come maschi, i tengu depongono uova.
    I konoha-tengu sono associati a Sarutahiko, il dio Shintō degli incroci, dei sentieri e del superamento degli ostacoli; l'associazione nasce probabilmente dal lungo naso del dio simile ad una proboscide. Secondo altri studiosi però i tengu deriverebbero dal dio Susanoo; le loro caratteristiche aviarie li avvicinano inoltre anche ai garuda della mitologia buddhista.
    I tengu sono creature capricciose, e le leggende li descrivono a volte benevoli e a volte malvagi; talvolta si divertono a giocare scherzi pesanti, come appiccare fuochi a foreste o porte di templi, o addirittura mangiare le persone (molto raro). I tengu amano camuffarsi da viandanti umani, assumendo forme amichevoli, come eremiti itineranti; dopo aver guadagnato la fiducia della vittima (nelle leggende spesso monaci buddhisti), i tengu ci giocano, ad esempio facendola volare o immergendola in un'illusione, che sono esperti a creare. Oppure, i tengu la rapiscono, pratica nota come kami kakushi o tengu kakushi — rapimento divino o da tengu. Le vittime spesso si svegliano molto lontano senza alcuna memoria del tempo trascorso; le sparizioni di bambini sono spesso attribuite ai tengu, soprattutto se sono poi ritrovati in stato confusionale. I tengu possono anche comunicare con gli umani per telepatia, e sono talvolta accusati di possessione demoniaca o controllo della mente. Grazie ai loro scherzi malvagi, la gente talvolta lascia loro delle offerte (generalmente riso o pasta di fagioli), per ingraziarseli.
    I tengu sono orgogliosi, vendicativi, facili all'ira, particolarmente intolleranti verso gli arroganti, i blasfemi, coloro che abusano del loro potere e della loro conoscenza per tornaconto personale, e coloro che arrecano danno alle foreste in cui essi abitano; questa particolarità li spinge a provocare monaci e sacerdoti, e in epoca antica samurai (secondo alcune tradizioni gli arroganti si reincarnano in tengu). Talvolta gli si attribuisce un istinto politico, e si immischiano negli affari dell'umanità per impedirle di diventare troppo potente o pericolosa. Nonostante la loro intolleranza verso questo attributo, i tengu sono noti per essere egoisti, da cui la locuzione tengu ni naru ("diventare un tengu"), cioè fare il vanitoso; in almeno una leggenda si afferma che i tengu che si comportano altruisticamente possono reincarnarsi in esseri umani.
    I tengu non sono immortali, ma un tengu gravemente ferito può trasformarsi in un uccello (spesso corvo o rapace) e volare via. I tengu sono esperti di arti marziali, tattica, e ottimi armaioli: talvolta insegnano parte del loro sapere ad esseri umani, ad esempio l'eroe Minamoto no Yoshitsune imparò il kenjutsu (tirar di scherma con la katana) dal re dei tengu, Sōjōbō. In realtà non è necessario che lo studente incontri il tengu di persona, perché il tengu può insegnare nei sogni. La maschera nera indossata dai ninja è chiamata tengu-gui proprio per l'associazione dei tengu con il combattimento.

    Origini

    Il mito dei tengu è stato probabilmente importato dalla Cina: il loro nome è scritto con gli stessi kanji del cinese Tiangou (天狗sempl., Tiāngǒupinyin, letteralmente ""cane del cielo""), il nome di Sirio nell'astrologia cinese, e forse il nome dato a una meteora dalla coda di cane che precipitò in Cina nel VI secolo a.C. Di fatto, in Cina si sviluppò un'intera classe di demoni di montagna chiamati tiangou, molto simili ai tengu giapponesi nel loro comportamento maligno; questi tiangou furono probabilmente introdotti in Giappone dai primi buddhisti nel VI-VII secolo, e lì si fusero con gli spiriti indigeni dello Shinto. Le prime leggende di tengu parlano solo dei karasu, quasi invariabilmente maligni; diventano sempre più umanoidi col passare del tempo, e anche meno malvagi. I tengu simili a monaci sono quelli più spesso rappresentati nell'arte, ma questa è una delle varianti più recenti, probabilmente nata dalla fusione di storie di yamabushi dotati di poteri magici e di tengu di montagna.
    Durante l'epoca feudale giapponese, la corruzione dilagò tra il clero buddhista; fu durante questo periodo che i tengu cominciarono a punire i blasfemi, e questa associazione li rese i protagonisti ideali per gli autori del periodo Kamakura che volevano criticare in sicurezza i vizi del clero; i monaci di montagna (yamabushi) erano visti dal popolo come un baluardo alla corruzione, e questo spiega come i tengu assunsero il loro attuale aspetto yamabushi.
    Durante il periodo Edo, i mercanti olandesi erano gli unici europei a cui era consentito entrare in Giappone, ed è stato suggerito che i tengu yamabushi, con occhi grandi e nasi lunghi, possano aver avuto origine dai contadini che pensavano che quegli stranieri dall'aspetto inconsueto fossero mostri travestiti. Alla fine dell'epoca Edo, ufficiali governativi affiggevano avvisi in cui intimavano ai tengu di lasciare la zona prima di ogni visita dello shogun.
    Una favola molto nota parla di due tengu seduti in cima ad una montagna che possono estendere il loro naso a grandi distanze, seguendo gli allettanti odori provenienti dal villaggio sottostante. Un gran numero di storie prevede un ventaglio, ricevuto in dono o comprato da un tengu, sventolando il quale è possibile cambiare la lunghezza del proprio o dell'altrui naso, magicamente ma non permanentemente.


    da http://it.wikipedia.org/wiki/Bakeneko

    BAKENEKO



    Il bakeneko (化け猫? "gatto mostruoso") è uno yokai, una creatura soprannaturale della mitologia giapponese, evolutasi da un gatto ed in possesso di abilità metamorfiche simili a quelle di kitsune e tanuki. Spesso viene confuso con il "cugino" nekomata in cui il tradizionale legame tra gatto e defunti risulta più forte, in generale però la distinzione tra i due è molto sfumata.
    Tradizionalmente un gatto può diventare un bakeneko se raggiunge un'età molto avanzata o un peso particolarmente elevato (si parla di esemplari che, una volta uccisi, raggiungevano il metro e mezzo di lunghezza), tuttavia vi sono racconti su gatti trasformatisi dopo essere stati nutriti in una casa per diversi anni o per l'attaccamento al proprio padrone.
    Solitamente un bakeneko ha l'aspetto di un comune gatto ma di dimensioni molto maggiori, ha la capacità di camminare sulle zampe posteriori, di creare spettrali sfere di fuoco e di assumere sembianze umane (spesso mantenendo tratti felini); nel caso si trasformi in una donna viene solitamente chiamato nekomusume (猫娘? "donna gatto"). A volte, può persino arrivare a divorare una persona per sostituirsi ad essa.
    Come molti yōkai poi, il bakeneko ha la tendenza a rubare l'olio dalle lampade delle case: questa caratteristica potrebbe fondare le sue radici nel fatto che gli Andon (tradizionali lampade giapponesi di carta) erano spesso alimentati con olio di sarde.

    Il mito

    In un famoso racconto il vecchio gatto di un uomo di nome Takasu Genbei scomparve improvvisamente. Nello stesso periodo la madre dell'uomo cambiò completamente carattere, diventando schiva e scontrosa al punto da consumare i suoi pasti sempre da sola rinchiusa nella propria stanza. Quando i familiari, preoccupati, decisero di spiarla, non videro un essere umano ma un mostro dalle sembianze feline che mangiava su una carcassa animale. Ripugnato, Takasu decise allora di uccidere la creatura dalle sembianze di sua madre, che, trascorso un giorno, riprese l'aspetto del vecchio gatto di cui non aveva più notizie. Successivamente, sotto al tatami della stanza furono ritrovate le ossa sbiancate dell'anziana donna.
    Un altro racconto dell'era Anei parla di un certo Hirase di Sakai (città dell'odierna prefettura di Osaka). Di notte, mentre era intento a leggere un libro nella sua stanza, sentì aprirsi all'improvviso la porta alle sue spalle e, prima che potesse fare qualsiasi cosa, da essa entrò un braccio mostruoso che lo afferrò per i capelli. Spaventato, Hirase riuscì a colpire il braccio con la propria katana, facendo fuggire il proprietario. Il mattino dopo, in giardino, Hirase ritrovò l'arto che l'aveva attaccato, constatando che aveva l'aspetto di un enorme zampa felina.
    Da altri racconti, invece, emerge il rapporto che i bakeneko hanno con il mondo dei morti ed il forte legame coi propri padroni, conservato anche dopo la trasformazione. Secondo uno di questi, durante un corteo funebre apparve un mostro d'aspetto felino che, scendendo dal cielo, trafugò il cadavere per poi sparire con esso. In seguito si scoprì che era il gatto appartenuto al defunto che si era trasformato in bakeneko. Potrebbe basarsi su questo fatto l'abitudine popolare di non far uscire di casa o, come accade a Tsushima, di rinchiudere in apposite gabbie i gatti il cui padrone sia morto recentemente.

    Influenza culturale

    Nella maggior parte delle opere moderne, siano esse romanzi, film, manga, anime o videogiochi, il ruolo mitologico del bakeneko è stato assorbito nella figura della più popolare kitsune. Tuttavia la nekomusume gode di una popolarità particolare nella cultura giapponese moderna, dove il costume con attributi felini, detto nekomimi (猫耳? "orecchie da gatto"), è una delle forme di cosplay più popolari, fino ad essere ormai considerato tra gli otaku un'autentica fantasia erotica.


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Nure-onna

    NURE-ONNA



    Nella mitologia giapponese la nure-onna (濡女 Donna bagnata?) è uno yōkai caratterizzato da un aspetto draconico o anfibio, la cui principale peculiarità è il corpo simile ad un enorme serpente e la testa di una giovane donna[1][2].
    Esistono diverse varianti della storia, a seconda del posto in cui essa viene raccontata. A Tsushima, nella Prefettura di Nagasaki, viene chiamato nure-onago, e ha le sembianze di una bambina. Nella Prefettura di Kagoshima, esiste uno yōkai simile chiamato iso-onna[3].

    Caratteristiche

    La nure-onna sfrutta principalmente la bellezza del suo viso e i suoi bei capelli per attirare ignari bagnanti o pescatori per farne le sue prede. Si aggira prevalentemente la notte lungo le spiagge o, nonostante la sua lunghezza, in piccole pozze d’acqua[1]. Per attirare le sue vittime fa emergere solamente il suo viso, lasciando galleggiare i lunghi capelli in superficie e, come raccontato in alcune versioni, agita le braccia apparendo in tutto e per tutto una donna che sta affogando. Quando il malcapitato si tuffa per salvarla, la nure-onna riemerge all'improvviso, afferrandolo con gli artigli e trascinandolo nelle profondità delle acque[1]. In un'altra versione, una volta individuata la sua preda, emerge dall'acqua e paralizza la sua vittima con lo sguardo. Infine utilizza i suoi lunghi denti da serpente per succhiare il sangue dal corpo del malcapitato[1]. In un un'ulteriore versione, si aggira in solitudine portando con sé ciò che sembra un bimbo in fasce, che utilizza per attirare le sue prede. Se un benintenzionato si offre di tenere il bimbo per lei, la nure-onna lo risparmia. Al contrario, se qualcuno cerca di scoprire ciò che nasconde il fagotto, quest'ultimo diventa pesantissimo impedendogli di fuggire, e a quel punto viene attaccato e ucciso[2][3]. In altri racconti la nure-onna viene descritta semplicemente come una donna sola che passa il suo tempo a lavarsi i capelli, diventando pericolosa solo se viene disturbata.


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Nekomata

    NEKOMATA



    Il nekomata (猫又? "gatto a due code") è uno yōkai, una creatura soprannaturale della mitologia giapponese evolutasi da un gatto e caratterizzata dalla presenza di una coda biforcuta o addirittura di una seconda coda e dalla capacità di camminare sulle zampe posteriori.
    Come per il "cugino" bakeneko e la kitsune, la trasformazione avviene solitamente quando il gatto raggiunge un'età avanzata (10 anni, secondo alcuni racconti): per questo motivo, fino al XVII secolo ai gatti spesso veniva mozzata la coda, secondo la credenza che questo avrebbe impedito la loro trasformazione in nekomata; tale superstizione potrebbe col tempo aver contribuito all'allevamento del bobtail giapponese, una razza di gatti privi di coda.
    Tradizionalmente, la distinzione tra nekomata e bakeneko è molto sfumata, tanto che secondo alcuni racconti l'uno potrebbe trasformarsi nell'altro avanzando ancora con l'età oppure per aiutare una persona cara. In ogni caso, diversamente dal bakeneko, nel nekomata il legame col mondo dei morti è molto forte, tanto che si dice si nutra di carogne e possegga poteri necromantici e sciamanici come la capacità di far muovere i morti a proprio piacimento, semplicemente agitando le sue code, un po' come un marionettista fa coi suoi pupazzi. Di solito usa questo potere esclusivamente per il proprio divertimento, tuttavia, essendo estremamente vendicativo, è solito rianimare i parenti defunti di coloro che l'hanno maltrattato per perseguitarli e rivalersi di ciò che ha subito fino a che non venga placato con offerte in cibo, scuse e attenzioni.
    Un'altra caratteristica che, secondo alcune leggende relativamente più recenti, avvicina i nekomata ai bakeneko, sarebbe quella di possedere la capacità di trasformarsi in donne umane — nekomusume (猫娘? "donna gatto"). Rispetto ai bakeneko però, essi appaiono come donne più mature, meno raffinate e circondate da un'atmosfera tetra e malsana, in grado di indurre malattie in chi rimane loro accanto troppo a lungo.

    Il Mito

    Si racconta che secoli fa, nella casa di un samurai dell'Echigo di punto in bianco cominciarono a verificarsi inspiegabili fenomeni notturni: una strana fiammella vagava a qualche centimetro dal pavimento e fuggiva verso gli alberi dei vicini quando si cercava di prenderla, il filatoio prendeva a girare da solo, oggetti venivano trovati lontano da dove erano stati lasciati...
    Un giorno il padrone di casa, che non si era lasciato impressionare da nessuna di quelle stranezze, notò un grosso gatto rossiccio che, comodamente appollaiato sul grande albero in giardino, si guardava intorno con circospezione. Convintosi che esso fosse in qualche modo collegato a quanto accadeva la notte in casa sua, decise di porre fine al tutto prendendo il proprio arco e scagliando una freccia contro l'animale. Il colpo fu preciso e per l'animale, nonostante qualche frenetico tentativo di liberarsi del dardo, non ci furono speranze. Accorso ad esaminare il corpo del gatto, il samurai notò che aveva dimensioni enormi, forse raggiungeva il metro e mezzo di lunghezza, ma soprattutto aveva due code.
    Fatto sta che da quel giorno nella casa del samurai non si verificò più nulla di anomalo.


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Baku_(mitologia)

    BAKU



    Il Baku (獏 o 貘? letteralmente "tapiro") è uno yokai, una creatura leggendaria della mitologia giapponese, originaria della mitologia cinese (pinyin mú o mò).

    Aspetto

    Probabilmente legato ad un significato mitologico del tapiro, condivide con esso il nome e molte caratteristiche fisiche; è però spesso rappresentato in termini chimerici. Una popolare rappresentazione lo vorrebbe dal corpo di orso, zampe di tigre, coda di bue e occhi di rinoceronte; un'antica descrizione cinese gli attribuisce invece l'aspetto di una capra con nove code, quattro orecchie e occhi sul dorso.

    Caratteristiche

    Il baku è considerato una creatura benigna, a cui in Cina si attribuisce la capacità di allontanare il male, ma è soprattutto conosciuto per la sua capacità di divorare gli incubi degli esseri umani e la sfortuna che li accompagna. In alcune zone è d'uso che una persona che si risveglia da un incubo reciti tre volte la frase "cedo il mio sogno al baku perché lo mangi", o varianti della frase. Le immagini della creatura (o il suo ideogramma) erano considerate ornamenti di buon auspicio per gli arredamenti delle camere da letto, e anticamente venivano cuciti in oro sui cuscini delle famiglie nobili.
    Il baku è anche considerato capace di divorare gli spiriti cattivi che causano le epidemie, e dormire sulla sua pelliccia preverrebbe le malattie e la malasorte.


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Mujina

    MUJINA



    Il termine mujina (貉 o 狢?) è il nome giapponese del tasso, ma a seconda delle regioni può riferirsi anche al tanuki o alla civetta delle palme mascherata; ad accrescere la confusione, in alcune regioni i tassi ed altri animali simili sono chiamati mami, e in una parte della prefettura di Tochigi i tassi sono chiamati tanuki e i tanuki mujina. A causa di una storia di Lafcadio Hearn, poi, in alcuni paesi di lingua inglese la parola è sinonimo di noppera-bō.

    Il Mujina nel folklore

    I mujina giapponesi hanno, come volpi (kitsune) e cani procione (tanuki), connotazioni mitologiche, principalmente come mutaforma che sfruttano questa loro abilità per ingannare gli umani.


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Tanuki

    TANUKI



    Il Tanuki (狸 , katakana タヌキ?) è una creatura del folklore giapponese, basata sul cane procione (Nyctereutes procyonoides); quest'ultimo è un animale originario dell'Estremo Oriente, simile al tasso e al procione, ma a differenza di questi appartiene alla famiglia dei canidi. I cani procione che si trovano in Giappone sono divisi in due sottospecie, N. p. viverrinus, il cane procione giapponese più comune, e N. p. albus, la varietà bianca che vive in Hokkaidō.

    Caratteristiche

    I tanuki sono parte della mitologia del Giappone sin da tempi antichi; si ritiene che siano maliziosi e scherzosi, maestri del travestimento e mutaforma, ma in qualche modo ingenui e distratti.
    L'attuale divertente immagine del tanuki si è probabilmente sviluppata durante l'epoca Kamakura. Il tanuki selvatico ha testicoli insolitamente grandi, caratteristica spesso esagerata nelle rappresentazioni artistiche della creatura; i tanuki sono talvolta rappresentati con i testicoli poggiati su una spalla come un sacco, o mentre li usano come tamburo. I tanuki sono inoltre generalmente rappresentati con una pancia molto grande; talvolta usano anche questa come tamburo, specialmente nei disegni dei bambini. Una filastrocca molto comune in Giappone fa esplicito riferimento alle sue caratteristiche più appariscenti: Tan Tan Tanuki no kintama wa / Kaze mo nai no ni / Bura bura bura ("Del Tan Tan Tanuki le palle stan / Seppure il vento soffiando non sta / Girando girando girando."[1]
    Durante le epoche Kamakura e Muromachi, alcune storie cominciarono a parlare di tanuki più sinistri; la storia di Kachi-kachi Yama, compresa nell'Otogizōshi, parla di un tanuki che picchia a morte una vecchia e la serve a tavola al marito inconsapevole come "zuppa di vecchia". Altre storie parlano di tanuki come indifesi e produttivi membri della società. Diversi templi hanno storie di sacerdoti che erano in realtà tanuki travestiti. Secondo alcune tradizioni i tanuki sono incarnazioni degli oggetti usati per più di cento anni.
    Una popolare storia conosciuta come Bunbuku chagama narra invece di un tanuki che inganna un monaco trasformandosi in una teiera. Un'altra parla di un tanuki che inganna un cacciatore camuffando le sue braccia come ramoscelli, finché non allarga entrambe le braccia insieme e cade dall'albero. Si dice che i tanuki ingannino i mercanti con foglie camuffate da banconote. Alcune storie raccontano che le foglie facciano parte integrante del modo in cui il tanuki cambia aspetto.
    In metallurgia, spesso si usava pelle di tanuki per raffinare l'oro. Di conseguenza, si cominciò ad associare i tanuki alle miniere e alla lavorazione dei metalli, e li si vendeva come decorazione e portafortuna per la prosperità.
    Oggi statue di tanuki si possono trovare davanti a molti templi e ristoranti giapponesi; in queste spesso indossa un grande cappello a forma di cono e porta una bottiglia di sake. Le statue di tanuki hanno sempre una grande pancia, mentre sculture moderne possono anche non avere i grandi testicoli: questi attributi esagerati sono simbolo di abbondanza e prosperità.


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Tsuchigumo

    TSUCHIGUMO



    Gli tsuchigumo (土蜘蛛? "ragni di terra") sono creature leggendarie (yōkai) della mitologia giapponese, descritti come ragni intelligenti e dalle dimensioni enormi.

    Origini

    Sembra che gli tsuchigumo mitologici siano basati su un'antica popolazione dalle abitudini cavernicole che abitò in passato alcune regioni montuose del Giappone; dal punto di vista dei giapponesi i loro arti erano sproporzionatamente lunghi rispetto al corpo e il loro carattere violento, suggerendo l'associazione mitica con i ragni[1]. Questa interpretazione tradizionale è però contestata da alcuni studiosi[2].

    Mito

    Il mito più noto che ha per protagonista uno tsuchigumo è quello associato all'eroe epico Minamoto no Yorimitsu, meglio conosciuto come Minamoto no Raikō. Del mito esistono più versioni: in alcune il demone si presenta con le sembianze di una splendida donna che seduce l'eroe, in altre come un ragazzo che entra al suo servizio, in altre come un monaco buddhista. In ogni caso, l'eroe non si accorge della vera natura della creatura, mentre la sua salute peggiora sempre più rapidamente; divenuto ormai sospettoso dell'ospite, lo attacca all'improvviso, e mentre la creatura fugge le illusioni da lei create si dissolvono, rivelando una tela di ragno intorno a Raikō, che con l'aiuto dei suoi uomini si libera e parte all'inseguimento. La scia di sangue della creatura ferita li conduce ad una grotta. Secondo alcune versioni gli uomini trovano il ragno già morto a causa del colpo infertogli da Raikō, secondo altre nella tana della creatura ha luogo un'ultima battaglia che vede l'eroe e i suoi compagni emergere vittoriosi.
    L'associazione tradizionale degli tsuchigumo con una popolazione realmente esistita ha condotto alcuni a speculare che il demone del mito possa rappresentare un gruppo di banditi che l'eroe avrebbe affrontato e sconfitto[3].


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Corvo_a_tre_zampe

    YATAGARASU



    L'uccello dotato di tre zampe è una creatura che appare frequentemente nella mitologia dell'Asia, dell'Asia Minore e del Nord Africa. Spesso, questo uccello impersona o rappresenta il sole.
    Le più antiche rappresentazioni di questa creatura fantastica si trovano nelle pareti di templi e piramidi dell'antico Egitto o sulle monete della Licia e della Panfilia.[1]

    Nella mitologia giapponese, questa creatura è un corvo imperiale o un corvo indiano chiamato Yatagarasu (八咫烏), uccello di proprietà della dea del Sole Amaterasu. Lo Yatagarasu compare in antichi documenti giapponesi, come il Kojiki (古事記), in cui si narra anche che abbia combattuto e ucciso una bestia intenzionata a divorare il Sole, e che sia altresì il protettore dell'imperatore Jimmu. In molte occasioni, nell'arte giapponese questa creatura viene rappresentata con tre zampe, sebbene nel Kojiki non venga mai affermato che lo Yatagarasu ne abbia più di due. Oggi, la versione a tre zampe dello Yatagarasu è utilizzata come simbolo della federazione calcistica del Giappone.


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Yosuzume

    YOSUZUME



    Yosuzume (夜雀 "passero della notte"?) è una leggenda popolare di un uccello yōkai giapponese.
    Secondo la leggenda, se si è fuori a mezzanotte e si incontra un passero che canta "Chin Chin", è un segnale che avverte che presto si incontrerà un lupo o cane randagio. Si dice che se si cattura il passero della notte si soffrirà di una grave cecità notturna.

    da: http://yokai.com/yosuzume/ (traduzione mia)

    Aspetto

    The yosuzume is a rare bird yokai found on Shikoku and in neighboring prefectures. As their name suggests, they are nocturnal, appearing on remote mountain passes and forested roads late at night. Like ordinary sparrows, they are usually found in large flocks, and are very noisy.

    "Lo Yosuzume è un uccello yokai raro che è stato ritrovato sull'isola di Shikoku e nelle vicine prefetture. Come suggerito dal loro nome, sono creature notturne, che appaiono nei remoti passi di montagna e nei sentieri delle foreste a notte fonda. Come i normali passeri, si muovono generalmente in grossi stormi e sono molto rumorosi"

    Il Mito

    Yosuzume appear to travelers at night, swirling around them in a creepy, unnatural swarm. By themselves they don’t do any particular harm other than startling people; however they are a sign of very bad luck and are thought to bring terrible evil to those whom they swarm around. Because of this, many locals have superstitious chants which one is supposed to say at night to keep the yosuzume away. Roughly translated, one of them goes: “Chi, chi, chi calls the bird / maybe it wants a branch / if it does, hit it with one.” Another one goes, “Chi, chi, chi calls the bird / please blow soon / divine wind of Ise.”

    In some places, yosuzume are known as tamoto suzume, or “sleeve sparrows,” and their appearance was a sign that wolves, wild dogs, or other yokai were nearby. Their call is mysteriously only ever heard by a single individual, even when traveling in groups. It was considered very bad luck if a tamoto suzume should jump into one’s sleeve while walking, and so travelers would hold their sleeves tightly shut when traveling in areas inhabited by these birds.
    In other areas, yosuzume are not seen as bad omens, but as warning signs that a more dangerous yokai, the okuri inu, is nearby. For this reason, the yosuzume is also known as the okuri suzume, or “sending sparrow,” and its call is said to be a reminder to travelers to watch their footing on the dangerous mountain paths and to not fall down.

    " Lo Yozume appare di note ai viaggiatori, turbinando intorno ad essi in uno sciame inquietante (potrebbe essere tradotto anche come "fastidioso") e innaturale. Da soli non causano particolari danni all'infuori di allarmare le persone, nonostante ciò sono considerati un presagio di sfortuna e si crede che portino disgrazie a coloro ai quali sciamano intorno. A causa di ciò alcune popolazioni locali hanno ideato delle cantilene superstiziose da cantare la notte per tenere lontani gli Yozume. Tradotta grosso modo una di essere sarebbe così: "Chi, chi, chi canta l'uccellino/forse vuole un ramo/se è così colpiscilo con uno di questi". Un'altra fa: "Chi, chi, chi canta l'uccellino/ ti prego soffia presto/ vento divino di Ise"
    In alcuni posti gli Yozume sono conosciuti come Tamoto Suzume, o "passeri manica", e la loro apparizione era un segno della vicinanza di lupi, cani randagi o altri yokai. Il loro canto viene udito misteriosamente solo da un singolo individuo, anche se si sta viaggiando in gruppo. Era considerata una vera sfortuna se un tamoto suzume saltava in una manica mentre si stava camminando, perciò i viaggiatori dovevano tenere strette e chiuse le loro maniche quando viaggiavano in aree abitate da questi uccelli.
    In altre zone, gli yozume non sono visti come un cattivo presagio, ma come un segnale d'allarme che nelle vicinanze è presente uno yokai più pericoloso, l'okuri inu. Per questa ragione lo yozume è anche conosciuto come l' okuri suzume o "passero messaggero", e il suo canto sembra essere un promemoria per i viaggiatori di stare attenti a dove mettono i piedi sul pericoloso sentiero di montagna in modo da non cadere"



    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Inugami

    INUGAMI



    Il cane (犬 inu?), poteva invece diventare un kami — per la precisione uno shikigami (式神?----->https://it.wikipedia.org/wiki/Shikigami) — ed era chiamato Inugami (犬神?).
    Nella mitologia giapponese gli inugami (犬神 inugami?, "Cane Divino") sono una classe di shikigami (numi tutelari evocati da un onmyoji) dall'aspetto di, e spesso nati da, un cane, generati generalmente con scopi di vendetta o come guardiani da parte di un inugami-mochi (犬神持ち? "possessore di inugami"). Una volta generati, però, gli inugami sono esseri completamente indipendenti e possono rivoltarsi contro il loro possessore o usare i loro poteri per scopi diversi da quelli previsti. Sono inoltre capaci di possessione demoniaca.

    Generazione

    La credenza comune è che per creare un inugami occorra seppellire un cane fino al collo e porre del cibo che non possa raggiungere; ci vorranno giorni perché il cane muoia, e durante questo tempo il padrone ripete al cane come la sua sofferenza sia insignificante in confronto alla propria. Quando il cane muore, il suo spirito rinasce come inugami, e poiché il suo ultimo desiderio sarà stato quello di mangiare, il cibo posto intorno al suo corpo servirà a placarlo e a renderlo obbediente.[1][2]
    Secondo una leggenda un'anziana donna, in cerca di vendetta, seppellì il suo cane lasciando la testa fuori, e dicendo "se hai un'anima, fai la mia volontà e io ti venererò come un dio" gli segò la testa con una sega di bambù (terribilmente doloroso); il cane rinacque come inugami ed eseguì i suoi comandi, ma per vendicarsi della sua morte dolorosa perseguitò la donna.[3]
    Molti piccoli villaggi giapponesi hanno almeno un'anziana donna che si pensa possieda il potere di inugami-mochi.

    Caratteristiche

    Come nella gran parte delle culture, anche in Giappone il cane è generalmente visto come un compagno gentile e fedele, feroce verso i nemici del suo padrone; nel folklore giapponese, i cani stessi sono considerati creature magiche, e secondo una leggenda un tempo sapevano parlare, ma persero questa abilità. Secondo gli Ainu di Hokkaidō, però, i cani sono creature selvagge, pericolose, ma in qualche modo simili agli umani.
    Nelle isole Oki, gli inugami rivestono il ruolo che nel resto del Giappone si attribuisce alle kitsune; si crede che a un inugami-mochi siano concessi grande fortuna e successo, e che i favori che fanno gli siano restituiti con gli interessi. Però, gli inugami-mochi sono temuti dalle altre persone, e hanno difficoltà a sposarsi; devono anche stare molto attenti a non offendere i loro inugami, perché questi potrebbero infuriarsi e rivoltarsi contro di loro.

    Possessione Demoniaca

    Per diventare un kami, un inugami deve abbandonare il suo originale corpo canino, e questo lentamente si deteriora e infine va in putrefazione come ogni comune cadavere; se quando la sua missione è conclusa l'inugami non può tornare a occupare il proprio corpo cercherà di trovarne un altro, non di rado quello del suo padrone.
    Si dice che essere posseduti da un inugami renda molto forti, fisicamente più robusti e in buona salute, curando ogni malattia precedente; però il posseduto in genere si comporta come un cane.

    Inoltre l'ormai estinto lupo grigio del Giappone (狼 Ōkami?) era considerato un messaggero dei kami della montagna.



    YOKAI UMANOIDI



    Molti yōkai erano inizialmente esseri umani, trasformati in qualcosa di grottesco e orrendo spesso da qualche stato emotivo; la futakuchi-onna (二口女?), "donna con due bocche", per esempio, ha una bocca in più dietro la testa, su cui i capelli fungono da tentacoli: questa trasformazione è generalmente causata dall'ossessione per il proprio aspetto fisico. Altri esempi di trasformazioni di umani o di yōkai umanoidi sono i rokuro-kubi (ろくろ首?), umani il cui collo si allunga durante la notte).

    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Futakuchi-onna

    FUTAKUCHI-ONNA



    La futakuchi-onna (二口-女?) è uno yōkai, una creatura soprannaturale della mitologia giapponese. Come suggerisce il nome (due (二 futa?), bocca (口 kuchi?) e donna (女 onna?): donna dalle due bocche) è caratterizzata dalla presenza, oltre a quella "normale", di una seconda bocca nascosta tra i capelli della nuca, dove il cranio della donna si apre, presentando labbra, denti e una lingua.
    Come se questo non bastasse, la bocca posteriore borbotta e sputacchia, continuando a chiedere cibo e, se non viene adeguatamente sfamata, inizia a strillare in modo osceno e a provocare alla donna un tremendo dolore. Addirittura, in una particolare versione del mito, anche i capelli della donna si animano e, muovendosi come serpenti, iniziano a portare cibo alla vorace bocca.
    Nella mitologia e nel folklore giapponesi, le futakuchi-onna appartengono allo stesso tipo di miti delle rokurokubi, delle kuchisake-onna e delle yamanba: donne trasformate in yōkai da maledizioni o malattie soprannaturali. In questi racconti, la natura soprannaturale delle donne rimane solitamente nascosta fino all'ultimo minuto, quando la verità viene rivelata.

    Il Mito

    La futakuchi-onna era una matrigna che, non amando il figlio di primo letto del marito, sfamò solo i propri figli, lasciando invece morire di fame il figliastro. Qualche tempo dopo, mentre un taglialegna spaccava la legna in giardino, accidentalmente ruppe la propria ascia che andò a ferire la cattiva matrigna alla nuca. Lo spirito del figliastro trascurato, allora, entrò nel corpo della donna impedendo per vendetta alla ferita di rimarginarsi. Col tempo la ferita sanguinante si trasformò in una bocca che cominciò a chiedere continuamente cibo alla donna e a ripeterle instancabilmente di chiedere perdono per ciò che aveva fatto.
    Secondo un altro racconto popolare molto famoso invece, la futakuchi-onna era una donna che non mangiava mai e che per questo fu presa in moglie da un uomo molto avaro. Poco tempo dopo però l'uomo si accorse che, nonostante la donna non toccasse cibo, le scorte continuavano a diminuire. Spiandola, infatti, scoprì che quando era sola i suoi capelli si animavano e portavano in continuazione decine di polpette di riso ad una seconda bocca posta sulla nuca della sua testa. Sembra che quella seconda bocca fosse "nata" dal desiderio di cibo che la donna reprimeva costantemente in pubblico.


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Rokurokubi

    ROKURO-KUBI



    I rokurokubi (ろくろ首 rokuro-kubi?) sono un tipo di yōkai, creature della mitologia e del folclore giapponese; di giorno hanno l'aspetto di comuni donne, mentre di notte acquisiscono la capacità di allungare incredibilmente il collo. A differenza di una creatura simile, il nukekubi, con cui in occidente sono spesso confusi a causa di un errore dello scrittore Lafcadio Hearn[1], non sono generalmente aggressivi nei confronti degli esseri umani.

    Caratteristiche

    Durante le ore diurne, i rokurokubi agiscono come comuni esseri umani e si integrano perfettamente nella società, talvolta legandosi a uomini mortali. A causa della loro natura dispettosa, però, spesso non resistono alla tentazione di usare i loro poteri per spiare o terrorizzare gli esseri umani, e per tutelare la propria vita umana si rivelano solo a persone prive di credibilità, ubriachi o sciocchi, oppure davanti a dormienti o ciechi. In alcune storie compaiono invece dei rokurokubi che non sono nemmeno consapevoli della propria condizione e si considerano umani; talvolta l'allungamento del collo è un fenomeno inconsapevole che avviene durante la notte, e il rokurokubi si ricorda solo di aver sognato di guardare la stanza e il proprio corpo da angoli umanamente impossibili. In altre storie, infine, compaiono rokurokubi che non mostrano alcuna timidezza nell'usare i loro poteri, e si rivelano improvvisamente nella notte buia all'ignaro passante.
    In alcuni racconti di origine buddhista, i rokurokubi sono esseri umani condannati dal loro karma per aver infranto importanti precetti della religione; questi rokurokubi "demoniaci" sono più sinistri, e spesso mangiano o succhiano il sangue delle loro vittime, tipicamente altre persone che hanno infranto precetti della fede.
    Interpretare la parte di un rokurokubi è inoltre uno degli scherzi preferiti dai tanuki.


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Han%27y%C5%8D

    HAN'YO



    Gli Han'yō (半妖? lett. "per metà soprannaturale") sono creature del folklore giapponese originate dall'unione tra uno yōkai (creatura "completamente" soprannaturale) ed un essere umano e spesso considerati, per disprezzo o per timore, dei reietti da entrambe le razze.Sono analogamente paragonabili (seppur lontanamente) alle semi-divinità greche,figlie di dei ed umani. Il termine viene tradotto in italiano come "mezzo demone" o anche "mezzo spettro".

    Il Mito

    La figura dello han'yō è relativamente recente ed ha conosciuto una notevole diffusione soprattutto grazie a manga, anime e videogiochi.
    Nella tradizione più antica tali figure erano rarissime in quanto si riteneva che la maggior parte degli yōkai si cibasse degli esseri umani e quindi un figlio nato dalla loro unione era poco probabile. A questo fanno però eccezione creature come i tanuki e le kitsune, ritenute yōkai relativamente innocui e capaci di assumere sembianze umane, rendendo quindi plausibile la generazione di mezzosangue, solitamente in possesso di poteri sovrannaturali e tratti demoniaci che incutevano timore e li rendevano invisi alla società umana. Molti personaggi storici famosi come "maghi" erano quindi considerati discendenti di una kitsune e di un uomo, come ad esempio Abe no Seimei, un famoso onmyōji dell'epoca Heian.



    YOKAI OGGETTI



    Un'altra classe di yōkai sono gli tsukumogami, oggetti di uso comune che prendono vita dopo cento anni; il più famoso, considerato un mostro non spaventoso, è il karakasa, generalmente rappresentato come un parasole con un occhio solo e un piede calzato in un geta (sandalo tipico giapponese) al posto del manico. Altri esempi sono i bakezōri (sandali di paglia), kameosa (otri di sake), morinji-no-kama (teiere), chabukuro (sacchetto del tè) e il fusuma (sorta di kimono che si indossa di notte per andare a dormire, qualcosa fra il pigiama e la vestaglia).


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Tsukumogami

    TSUKUMOGAMI



    Lo Tsukumogami (付喪神? lett. "Kami degli oggetti") è un tipo di yōkai Giapponese [1] che raggiunse la sua massima popolarità alla fine del X secolo[2], usato nella diffusione del Buddhismo Shingon.[2] Attualmente, il termine è in genere applicato nel folklore a qualsiasi oggetto che abbia raggiunto il centesimo compleanno e così sia divenuto vivo e senziente.[3][4][5] Tuttavia poiché l'espressione è stata attribuita a parecchi differenti concetti nella mitologia nipponica, c'è una certa confusione su ciò che essa significhi realmente.

    Tsukumogami nel folklore giapponese

    Tsukumogami fu il nome di un barattolo da tè animato che Matsunaga Hisahide avrebbe usato per negoziare la pace con Oda Nobunaga.[8]
    Come per molti concetti del folclore giapponese ci diversi "strati" di definizioni utilizzate quando si parla di Tsukumogami.[9] Per esempio, dal X secolo, i miti sugli Tsukumogami furono usati per incrementare la diffusione delle “dottrine del Buddhismo Shingon Esoterico ad un pubblico vario, dai colti ai meno sofisticati, valorizzando le preesistenti credenze spirituali nello Tsukumogami.”[10] Tali “preesistenti credenze spirituali” erano, come spiega Noriko Reider:

    "Gli Tsukumogami sono oggetti di uso domestico animati. Una otogizōshi (“storia in compagnia”) intitolataTsukumogami ki (“Raccolta di Kami degli oggetti”; del periodo Muromachi) spiega che dopo una vita di servizio durata quasi cento anni, gli utsuwamono o kibutsu (contenitori, attrezzi e strumenti vari) ricevono un'anima. Mentre si fa spesso riferimento a quest'opera come un'importante fonte per la definizione di tsukumogami, insufficiente attenzione è stata dedicata all'effettivo testo di Tsukumogami ki"

    Dal XX secolo gli Tsukumogami sono entrati nella cultura popolare giapponese a tal punto che i residui di insegnamenti buddhisti ancora presenti in essi sono definitivamente andati persi[11]. Oggigiorno quindi si pensa che, in generale, gli Tsukumogami sarebbero innocui ed al massimo tenderebbero a giocare scherzi occasionali, anche se sarebbero rancorosi e capaci di unirsi per vendicarsi di coloro che li gettarono via sconsideratamente credendoli inutili. Per evitare ciò, in alcuni santuari scintoisti si officiano cerimonie apposite per consolare oggetti rotti ed inutilizzabili.

    Tipi di Tsukumogami

    *Abumi-guchi – Una creatura pelosa formata dalla staffa di una montatura di una comandante militare.
    *Bakezōri – Uno zōri (tradizionali sandali di paglia) posseduto.
    *Biwa-bokuboku – Un Biwa animato.
    *Boroboroton – Un Futon posseduto.
    *Chōchinobake – Una lanterna animata, anche conosciuta come Burabura.
    *Ittan-momen – Un rotolo di cotone.
    *Jatai – Stoffe drappeggiate con paraventi pieghevoli.
    *Kameosa – Un otre posseduto.
    *Karakasa – Un ombrello di carta animato. Anche conosciuto come Kasa-obake.
    *Kosode-no-te – Un kimono posseduto.
    *Koto-furunushi – Un koto animato.
    *Kurayarō – Una sella animata.
    *Kyōrinrin – Fogli e pergamene posseduti.
    *Menreiki – Una creatura spirituale composta da 66 maschere.
    *Minowaraji- Un mantello di paglia animato.
    *Morinji-no-okama – Una teiera posseduta. Un altro nome è Zenfushō
    *Shamichoro – Uno shamisen animato.
    *Shirouneri – Una zanzariera animata.
    *Shōgorō – Un gong animato.
    *Ungaikyō – Uno specchio posseduto.
    *Yamaoroshi – Una grattugia posseduta.
    *Zorigami – Un orologio animato.


    ALTRI YOKAI



    Ci sono altri yōkai che non rientrano in nessuna delle precedenti categorie; ad esempio gli amikiri, creature che esistono al solo scopo di forare le zanzariere.

    da: http://yokai.com/amikiri/ (traduzione mia)

    Aspetto

    Amikiri are small, crustacean-like yokai which resemble shrimp or lobsters. They have a long body, a red, segmented shell, a bird-like beak, and two scissor-like claws on their forearms. They fly through the air as a fish swims in water, and are quite shy, rarely appearing before humans.

    "Gli Amikiri sono piccoli yokai simili a dei crostacei come i gamberi o le aragoste. Hanno un corpo lungo, un guscio rosso e segmentato, un becco come quello degli uccelli, e due chele simili a forbici negli avambracci. Volano in aria come un pesce nuoterebbe nell'acqua e sono molto timidi, raramente appaiono davanti agli umani"

    Carattere

    Amikiri don’t interact with humans very much, except for one particular activity which is the reason that they are called “net cutters.” For some strange reason, amikiri love to cut nets, whether it be a fishing net, a screen door or window, or a kaya — a Japanese hanging mosquito net. While they are not directly harmful, this mischief is not entirely benign either: the life of a fisherman is tough, and a fisherman whose nets have been shredded by an amikiri could find his livelihood ruined.

    "Gli Amikiri non interagiscono molto con gli umani, eccetto per una particolare attività che è il motivo per cui vengono chiamati "tagliatori di reti". Per qualche strana ragione, gli Amikiri amano tagliare le reti, siano esse reti da pesca, zanzariere per porte e finestre, o kaya - una rete giapponese per far restare impigliate le zanzare. Sebbene non siano direttamente dannosi, questa bravata non è del tutto innocua: la vita di un pescatore è dura, e un pescatore le cui reti sono state strappate da un Amikiri potrebbe veder rovinato il suo sostentamento"

    Origini

    It’s unclear where amikiri come from, although they bear a very strong resemblance both in name and shape to an arthropod-like yokai called kamikiri. Stories about amikiri are rare, and their name and shape may actually be a pun; the word ami means net in Japanese, but it also is the name of a type of tiny shrimp.

    "Non è chiaro da dove provengano gli Amikiri, anche se mostrano una grande somiglianza sia nel nome che nell'aspetto ad uno yokai simile ad un artropode chiamato Kamikiri. Le storie sugli Amikiri sono rare, e il loro nome e aspetto potrebbe in realtà essere un gioco di parole; la parola "ami" significa "rete" in giapponese, ma è anche il nome di un tipo di piccolo gambero"

    Il Mito

    A story from Yamagata prefecture tells of a fisherman who one day found that his fishing net had been shredded to the point of worthlessness. He suspected the work of an amikiri. The next day, he took special care to hide his nets at his home where they could not be found by any wandering yokai. That night, however, the amikiri snuck into his room while he slept and cut up the kaya covering his bed. The man woke up with his entire body covered in painful, itchy mosquito bites.

    "Una leggenda della prefettura di Yamagata racconta di un pescatore che un giorno trovò la sua rete da pesca lacerata in modo irreparabile, tanto da renderla inutilizzabile. Sospettò che fosse l'operato di un amikiri. Il giorno dopo nascose con cura le sue reti in casa sua, dove nessuno yokai errante potesse trovarle. Quella notte, ad ogni modo, l'amikiri si intrufolò nella sua stanza mentre dormiva e tagliò la zanzariera che copriva il suo letto. L'uomo si svegliò con il corpo ricoperto da dolorose e pruriginose punture di zanzara"



    In generale gli Yokai sono tantissimi, queslli che abbiamo visto sono i principali e più conosciuti. Se siete curiosi di conoscerne altri vi consiglio questo bellissimo sito: http://yokai.com/
    Vi basta cliccare su una lettera dell'alfabeto e vi darà la spiegazione di tutti gli yokai che iniziano per tale lettera! E' in inglese ma di facile comprensione ( nel caso ci fosse qualcosa che non è chiaro e voleste una traduzione su un particolare yokai non esitate a contattarmi e la farò molto volentieri ;) ).

    (in aggiornamento...)

    Edited by Placebogirl7 - 8/8/2015, 22:57
     
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    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Y%C5%ABrei

    YUREI



    Gli yūrei (幽霊?) sono i fantasmi della tradizione giapponese. Il nome è composto dai kanji yū (幽? "flebile", "evanescente", ma anche "oscuro") e rei (霊? "anima" o "spirito"). Sono talvolta chiamati anche bōrei (亡霊? "spiriti dei caduti"), shiryō (死霊? "spiriti dei morti"), o anche con i più generici nomi di yōkai (妖怪?) e obake (お化け?).
    Come per le controparti occidentali, si tratta di anime dei defunti che sono incapaci di lasciare il mondo dei vivi e raggiungere in pace l'aldilà.

    Origine

    Secondo la tradizione giapponese, tutti gli esseri umani hanno uno spirito/anima o reikon (霊魂?); quando muoiono, il reikon lascia il corpo e resta in attesa del funerale e dei riti successivi, prima di potersi riunire ai propri antenati nell'aldilà. Se le cerimonie sono svolte nel modo appropriato, lo spirito del defunto diventa un protettore della famiglia, a cui torna a far visita ogni anno ad agosto durante la festa Obon, nella quale i vivi porgono ai defunti i propri ringraziamenti.
    Tuttavia, nel caso di morti improvvise e violente, o se i riti funebri non sono stati effettuati, o ancora se lo spirito è trattenuto al mondo dei vivi da forti emozioni, il reikon può trasformarsi in yūrei ed entrare in contatto con il mondo fisico. Non tutti gli spiriti che si trovano in queste condizioni però si trasformano in yūrei, perché agire sul mondo fisico dal mondo spirituale richiede una grande forza mentale o emotiva.
    Lo yūrei può infestare un oggetto, un posto o una persona, e può essere scacciato solo dopo aver celebrato i riti funebri o risolto il conflitto emotivo che lo tiene legato al mondo dei vivi, anche se sono presenti delle forme di esorcismo.

    Aspetto

    All'inizio, la tradizione non attribuiva agli yūrei un aspetto differente da quello dei comuni esseri umani.
    Nel tardo XVII secolo, durante il periodo Edo, si diffuse il gioco del Hyakumonogatari Kaidankai, molto popolare ancora oggi, che consiste nel raccontare a turno una storia dell'orrore (kaidan, termine non più in voga, sostituito nel giapponese moderno dall'inglese horror) e poi spegnere una luce; si credeva che quando l'ultima luce si fosse spenta uno yūrei si sarebbe manifestato. I kaidan divennero oggetto di letteratura, opere teatrali e dipinti, e gli yūrei cominciarono ad assumere degli attributi che permettevano al pubblico di identificarli immediatamente tra i personaggi.
    Il primo esempio dell'aspetto ormai canonico di uno yūrei è Il fantasma di Oyuki, un ukiyo-e di Maruyama Ōkyo.

    *Veste bianca - Simile al folkloristico lenzuolo bianco dell'immaginario collettivo occidentale, gli yūrei sono vestiti di un ampio abito bianco, che ricorda il kimono funerario in uso durante il periodo Edo; il kimono può essere un katabira (una semplice veste bianca) o un kyokatabira (simile al precedente ma decorato di sutra buddhisti).

    *Hitaikakushi - Un altro elemento di vestiario che li contraddistingue, ma soprattutto in alcune opere teatrali o di carattere comico, e reso popolare principalmente da anime e manga; è un fazzoletto avvolto intorno alla testa che assume una forma triangolare (con la punta rivolta verso l'alto) sulla fronte.

    *Capelli lunghi e neri - Gli yūrei hanno generalmente i capelli lunghi, neri e scompigliati. Si credeva che i capelli continuassero a crescere dopo la morte, e inoltre tutti gli attori nel kabuki indossavano parrucche.

    *Mani morte e mancanza della parte inferiore del corpo - Le mani dello yūrei penzolano senza vita dai polsi, che sono generalmente portate in avanti con il gomito all'altezza dei fianchi. La parte inferiore del corpo è del tutto assente, e lo yūrei fluttua nell'aria. Queste caratteristiche comparvero dapprima negli ukiyo-e del periodo Edo, e vennero poi fatte proprie dal kabuki, nel quale per nascondere la parte inferiore del corpo si usava un kimono molto lungo o si sollevava l'attore da terra con delle corde.

    *Hitodama - Gli yūrei sono spesso accompagnati da una coppia di fuochi fatui (hitodama) in sfumature tetre di blu, verde o viola; queste fiammelle sono considerate parte integrante dello spirito. Le hitodama sono entrate a far parte anche della simbologia di anime e manga, in cui oltre a seguire un fantasma compaiono intorno a persone dall'aria funebre o stati emotivi fortemente depressi.

    Tipologie

    *Jibakurei (自縛霊?): spettro, spesso di una persona morta suicida o con dei rimpianti, che infesta un particolare luogo.
    *Hyōirei (憑依霊?): uno spettro che si impossessa del corpo di un vivente.
    *Onryō (怨霊?): spiriti vendicativi che tornano a perseguitare chi li ha maltrattati in vita.
    *Ubume (産女?): spiriti di madri morte nel dare alla luce un figlio, o senza sapere cosa sia accaduto ad essi; sono generalmente innocui e desiderano solo incontrare i propri figli.
    *Goryō (御霊?): spiriti di aristocratici morti per intrighi di palazzo o traditi dai propri servitori, che tornano a esigere vendetta.
    *Funayūrei (船幽霊?): spiriti di marinai morti in mare; se vengono lasciati salire su una nave la fanno affondare.
    *Zashiki-warashi (座敷童?): fantasmi di bambini, generalmente dispettosi.
    *Gaki (餓鬼?): nati e diffusi nell'ambito della tradizione buddhista (sono presenti in tutte le culture influenzate dal Buddhismo: sono chiamati preta in sanscrito, peta in pāli, yidak in tibetano ed 餓鬼 egui in cinese), sono fantasmi di persone morte nella pratica ossessiva dei propri vizi, e che sono state condannate perciò ad una sete e fame insaziabili di particolari oggetti, generalmente ripugnanti e umilianti.
    *Jikininki (食尸鬼?): una variante del precedente, anche questa di ambito buddhista; la loro condanna è cibarsi di cadaveri.
    *Ikiryō (生霊?): una particolare forma di fantasma che si materializza quando la persona è ancora in vita; se questa infatti prova un forte desiderio di vendetta l'anima può separarsi in parte dal corpo e andare a perseguitare il nemico, oppure se è molto malata o in coma può manifestarsi accanto ai familiari.
    *Fantasmi di samurai: veterani della guerra di Genpei morti in battaglia; compaiono quasi esclusivamente nel teatro Nō.
    *Fantasmi seduttori: in taluni casi lo spettro di una donna o un uomo cerca di avere una storia d'amore con un vivente.

    Esorcismi

    Il modo più semplice per liberarsi di uno yūrei è soddisfare il suo desiderio, eliminando la sua ragione per restare in questo mondo; spesso significa trovare i suoi resti e dargli la dovuta sepoltura. Nel caso di onryō questo però significa dar seguito alla sua vendetta, cosa non sempre possibile, e inoltre le loro emozioni sono sufficientemente forti da sopravvivere anche dopo che lo scopo sia stato raggiunto. In questo caso è necessario un esorcismo, del quale però esistono diversi tipi. Nel buddhismo i monaci possono celebrare dei riti volti a facilitare il passaggio dello spirito nella sua prossima reincarnazione. Nello shintoismo è possibile recitare un norito (una preghiera rituale) con lo stesso scopo oppure usare un ofuda, un foglio con impresso il nome di un kami del quale assorbe il potere, che vengono premuti sulla fronte del posseduto o sparsi nell'area infestata. In almeno un caso, per placare uno spirito vendicativo lo si è deificato: dopo la morte in esilio di Sugawara no Michizane si verificarono epidemie e carestie, mentre la capitale subì tempeste e inondazioni, diversi fulmini colpirono il palazzo imperiale e morirono alcuni dei figli dell'Imperatore Daigo, che, su consiglio della corte convinta che Michizane fosse diventato un goryō, per placarlo bruciò l'ordine di esilio, deliberò che fosse venerato con il nome Tenjin (天神? "kami del cielo") e eresse in suo onore il tempio di Kitano a Kyōto.


    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Onry%C5%8D

    ONRYO



    Onryō (怨霊) è un tipo di yurei, un fantasma giapponese in grado di ritornare nel mondo dei vivi per cercare vendetta.
    Benché esistano onryō di sesso maschile, la maggior parte di quelli rappresentati nel teatro kabuki sono di sesso femminile. Indifesi da vivi, questi spettri hanno sofferto in vita per via del proprio marito o amante. Una volta morte, le onryō diventano potentissime e cercano il proprio riscatto.

    Origini

    Secondo la tradizione giapponese il mondo dei morti (Yomi) è separato da quello dei vivi da una sorta di purgatorio, una specie di area di attesa in cui transitano le anime dei defunti prima di trasferirsi definitivamente nello Yomi. Le anime che si trovano in questo stato, animate da emozioni forti come amore, odio, gelosia o dolore possono comparire nuovamente nel mondo dei vivi, per scagliare la propria maledizione su chi, in vita, le ha tormentate.

    Vendetta

    Benché mossi dal senso di vendetta, gli onryō molto difficilmente seguono la filosofia occidentale della "vendetta giustificata", o più semplicemente del bene e del male, e spesso la loro collera finisce per colpire irrazionalmente, non solo quindi l'effettivo oggetto della vendetta, ma chiunque si trovi ad avere a che fare con esso.
    Uno degli esempi più famosi di onryō nel folklore giapponese è la storia di Oiwa, tratta dallo Yotsuya Kaidan. In questa storia il marito rimane assolutamente illeso, benché continui ad essere vittima del tormento psicologico della defunta moglie, ritornata sotto forma di onryō.

    Aspetto

    Normalmente, gli onryō, ed i fantasmi in generale, non hanno un aspetto canonico nella cultura giapponese. Tuttavia il frequente ricorrere del kabuki a queste figure del folklore, durante il periodo Edo ha finito per stabilire dei tratti piuttosto comuni agli onryō di sesso femminile.
    Normalmente le onryō sono vestite con il classico kimono bianco delle funzioni funerarie. Tratto ancora più distintivo sono i lunghissimi capelli scuri, tenuti sciolti e disordinati, davanti al viso, pallidissimo, a cui spesso in scena veniva aggiunto un leggero trucco indaco (aiguma).

    (in aggiornamento...)

    Edited by Placebogirl7 - 8/8/2015, 23:07
     
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    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Yama-uba

    YAMA UBA



    Yama-uba (山姥?), Yamamba o Yamanba sono i termini con cui si indica una Yōkai del folklore giapponese[1].
    Yama-uba ha le sembianze di una mostruosa strega, con lunghi capelli spettinati e un kimono sporco e stracciato[2], che si nutre di carne umana[3]. In una storia si narra di una madre incinta che, sulla strada per il suo villaggio, si trovò costretta a dare alla luce il figlio in una vecchia capanna sulle montagne, assistita da un'anziana donna del luogo che soltanto dopo scoprirà essere Yama-uba, la quale divorerà il piccolo appena nato. Secondo un'altra leggenda, la vecchia strega sarà colei che crescerà l'orfano Kintaro, eroe guerriero del folklore giapponese[4]. Secondo altre leggende Yama-uba viene descritta come una futakuchi-onna, ovvero una donna con una bocca sulla nuca nascosta dai capelli[5], oppure come una donna maledetta che ha come unica debolezza un fiore segreto che contiene la sua anima[6]

    da: http://wsimag.com/it/cultura/6321-yamauba-...-delle-montagne

    Solitamente di sesso maschile, gli Oni possono manifestarsi anche come creature femminili feroci, aggressive e vendicative: innumerevoli sono le narrazioni folcloristiche giapponesi in cui compare la Yamauba, letteralmente “vecchia donna delle montagne”, un’anziana rugosa dalla bocca larga, gli occhi tondi e sporgenti, i capelli bianchi e arruffati, vestita di un abito sporco e stracciato che vive tra i monti e si ciba di carne umana, preferibilmente bambini, la cui controparte occidentale può essere ravvisata nella strega di Hansel e Gretel, racconto dei fratelli Grimm, o nella Baba Yaga della mitologia russa.
    Nel Konjaku Monogatarishū, una famosa raccolta di oltre mille racconti risalente al periodo Heian (794 - 1185 d.C.), si narra di una donna incinta che, trovandosi costretta a partorire in un bosco tra le montagne, si rifugia in una vecchia capanna dove viene assistita da un’anziana signora del luogo, che in seguito si scoprirà essere una Yamauba che divorerà il piccolo appena nato. Un’altra storia, quella narrata nell’Ushikata to Yamauba, racconta di una strega che divora tutto ciò che incontra: la vecchia donna delle montagne tenta di mangiare un pescatore incontrato lungo il cammino insieme ai pesci pescati, il carro su cui venivano depositati questi ultimi e il bue che trainava il carro. Terrorizzato dalla megera, l’uomo fugge attraverso il bosco riparandosi in una vecchia capanna che scoprirà essere la dimora della Yamauba, che egli riuscirà tuttavia a ingannare e sconfiggere grazie alla sua astuzia.
    Altre leggende popolari descrivono la strega dei monti come una creatura avente una larga bocca sulla nuca nascosta tra i capelli o come una donna malefica la cui unica debolezza è costituita da un fiore che cela la sua anima. La Yamauba tuttavia non sempre viene presentata come una vecchia e cattiva megera che divora esseri innocenti, basti pensare alle storie narrate durante il periodo Edo (1603-1868 d.C.) in cui la creatura viene descritta come una figura assolutamente positiva, una donna seducente e intelligente ben lontana dal commettere infanticidi: alcune credenze popolari, soprattutto rurali, identificano ad esempio la Yamauba con la dea della maternità e della fertilità la quale, ogni anno, dà vita a dodici figli che simboleggiano i dodici mesi dell’anno.
    In altri racconti, quali il Gaun Nikkenroku, la Yamauba partorisce quattro figli che simboleggiano le quattro stagioni e perciò chiamati Haruyoshi (Buona Primavera), Natsusame (Pioggia d’estate), Akiyoshi (Buon Autunno) e Fuyusame (Pioggia d’inverno). L’identità della Yamauba, la strega delle montagne, è dunque una identità complessa e contraddittoria: una dea primordiale, la Madre Natura, che porta fertilità e benessere ma al tempo stesso è capace di morte e distruzione, proprio come la divinità dell’antico Egitto Isis e la Kalì induista.

    da: http://it.creepypasta.wikia.com/wiki/Yama_Uba

    Yama Uba, chiamata anche la strega della montagna, è un demone proveniente dal folklore giapponese che vive in una capanna tra le montagne e si ciba di chiunque sia abbastanza sventurato da incontrarla.
    Si tratta di una strega dall'aspetto abominevole, con lunghi capelli incolti e ingialliti, occhi penetranti e una bocca larga quasi quanto l'intero volto.
    La leggenda racconta che questa strega era un tempo una donna anziana che viveva in un piccolo villaggio in Giappone. La zona fu colpita da una terribile carestia e per poter conservare il poco cibo rimasto, i suoi figli decisero di non sfamarla più e di liberarsene, portandola fuori dal villaggio e abbandonandola nei boschi dove sarebbe presto morta di fame.
    Ma Yama Uba non morì. Si diresse nelle montagne e trovò rifugio in una caverna. Molti anni di solitudine la resero pazza e cannibale, vivendo esclusivamente della carne di chiunque uccidesse.
    Costruì una piccola capanna nelle profondità della foresta e da allora le sue prede sono i viaggiatori che si perdono nelle montagne. Appare ai loro occhi come una donna giovane e dai modi gentili, offrendo loro riparo per la notte nella sua capanna. Una volta colti dal sonno, Yama Uba li uccide e li divora. A volte usa gli stessi capelli per intrappolare le sue vittimi e attirarle verso la grande bocca.
    Alcune storie raccontano che la strega della montagna si offre di indicare la strada giusta al viaggiatore che la incontra dopo essersi smarrito, ma invece lo porta sulla cima di un dirupo e fa sì che egli precipiti sulle rocce sottostanti. Yama Uba infine si ciba dei suoi resti.



    da: https://it.wikipedia.org/wiki/Kamaitachi

    KAMAITACHI



    Il kamaitachi (鎌鼬?) è uno yōkai, una creatura soprannaturale della mitologia giapponese, tradizionalmente associata al vento e diffusa in varie zone del Giappone, soprattutto montuose e, appunto, ventose.

    Il mito

    Di questo spirito esistono molte versioni, in parte differenti per aspetto e caratteristiche a seconda della zona d'avvistamento, ma in generale si tratta di un velocissimo essere dall'aspetto di donnola (per tradizione considerato un animale maligno), che si muove cavalcando folate di vento e che è munito di artigli affilati come rasoi coi quali ferisce alle gambe i malcapitati passanti per poi dileguarsi immediatamente. L'azione è così rapida che spesso le vittime non si accorgono nemmeno dell'attacco, anche perché, altra caratteristica peculiare del kamaitachi, le ferite inferte non provocano dolore ma solo sanguinamento, a volte anche copioso. Secondo alcune versioni, invece, accadrebbe l'esatto contrario e cioè che le ferite non sanguinerebbero quasi per nulla ma causerebbero grande dolore e in taluni casi sarebbero fatali.
    La versione più famosa del kamaitachi ha origine nelle montagne delle regioni di Mino e Hida (oggi accorpate nella prefettura di Gifu), dove sembra che apparisse come un terzetto di donnole di cui la prima faceva inciampare la vittima, la seconda le tagliava la pelle delle gambe e la terza le curava la ferita con una medicina in grado di eliminare il dolore. Questa interpretazione sembra sia da ricondurre a Toriyama Sekien, che fu probabilmente anche il primo ad associare l'apparizione alla donnola; egli eseguì, infatti, un tipico gioco di parole, alterando leggermente uno dei nomi più popolari della creatura, kamaetachi (構え太刀? "attacco di tachi"), per trasformarlo appunto in kamaitachi (鎌鼬? "donnola con le falci").
    Nella prefettura di Niigata, invece, il kamaitachi era uno spirito singolo ma molto più aggressivo, tanto che le sue vittime non riuscivano più a liberarsene.

    Continua...
     
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3 replies since 9/2/2015, 17:21   2198 views
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