Tomorrow (I'm With You)

rating giallo, Shuichi Akai, Jodie Starling, Shinichi Kudo, Shiho Miyano, un po' tutti, introspettivo, malinconico, sentimentale, long

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    "A secret makes a woman woman"


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    Capitolo 16: Andare avanti



    Bussò alla porta dell’ufficio, attendendo una risposta dall’altra parte. Quando la ricevette, aprì la porta ed entrò, constatando che l’uomo era solo alla scrivania. D’altra parte era abbastanza presto, molti dei suoi colleghi (o per lo meno quelli che non erano già tornati negli Stati Uniti) dovevano ancora arrivare, compresa lei. Forse era meglio così, avrebbe facilitato la sua richiesta.

    - Sei mattiniero come sempre, eh Akai?- gli fece presente James, non prima di aver dato una rapida occhiata all’orologio che aveva intorno al polso.
    - Non ho nulla di meglio da fare a casa, finirei con l’annoiarmi- sorrise, senza nascondere quanto fosse stacanovista.
    - Per te il riposo e le ferie sono solo una perdita di tempo- scherzò il suo capo.
    - Già- rispose semplicemente - Ma ti sorprenderà sapere che sono venuto per chiederti se domani posso avere una mezza giornata di permesso dal lavoro. Avrei una faccenda da sbrigare- arrivò al punto senza giri di parole.
    - Beh, non c’è molto lavoro per te in ogni caso, quindi vai pure- acconsentì - Posso sapere di cosa si tratta?-
    - Devo comprare un regalo di compleanno-
    - Un compleanno? E di chi?- chiese, cercando di fare mente locale e ricordarsi se per caso fosse qualcuno dei suoi sottoposti più vicini.
    - Shiho Miyano- rispose, certo che James avrebbe capito.
    - Ma davvero? Non lo sapevo, sui file raccolti su di lei non veniva riportata tale informazione. Ad ogni modo, falle gli auguri anche da parte mia, non abbiamo avuto molte occasioni di vederci o conversare, però si dovrebbe ricordare di me- sorrise.
    - Non mancherò-

    Sapeva che James aveva compreso quanto ci tenesse ad allacciare un rapporto con quella ragazzina, un rapporto vero e non basato su false identità: per questo motivo accontentava ogni sua richiesta che avesse a che fare con lei. Al solo pronunciare il cognome “Miyano”, il suo volto si faceva più gentile, come se si sentisse in dovere di assecondarlo. Si era chiesto più volte se James si sentisse, come lui, in qualche modo colpevole per quello che era successo ad Akemi, ma forse la verità era che i sensi di colpa ce li aveva verso di lui, per averlo mandato ad affrontare una missione cosi grande e delicata che aveva pagato a caro prezzo. Avrebbe voluto dirgli che la colpa non era sua, che il loro lavoro prevedeva anche questo, ma sicuramente James lo sapeva meglio di lui.

    - A proposito: Jodie potrebbe avere lo stesso permesso? Capisco che in questo momento sia quella che ha più lavoro di tutti con la preparazione al processo di Vermouth-

    Vide l’espressione del suo capo cambiare radicalmente, assumendo un’aria sorpresa e incredula. Di sicuro James era a conoscenza dei suoi rapporti non proprio rosei con la collega in quel momento, Jodie era come una figlia per lui e quando doveva sfogarsi sapeva a chi rivolgersi.


    - Shiho vorrebbe un cagnolino e ha mostrato a Jodie la foto, perciò mi serve il suo aiuto per riconoscerlo- spiegò.
    - D’accordo, se è solo per mezza giornata va bene- acconsentì, pur mostrandosi chiaramente titubante all’idea.
    - Se è un problema e siete indietro con il lavoro posso trovare un’altra soluzione-
    - No, come dicevo si tratta solo di mezza giornata. Il problema è un altro- si lasciò sfuggire.
    - E sarebbe?- chiese, nonostante lo avesse intuito da sé.
    - Ho notato la tensione che c’è fra voi ultimamente e so come si sente Jodie in questo momento. Sai che ti stimo molto per quello che fai, sei il mio uomo migliore, ma umanamente parlando non sei proprio il genere di ragazzo che un padre vorrebbe accanto alla propria figlia. Non voglio che Jodie si illuda per queste tue piccole attenzioni o che tu possa farle, anche se involontariamente, qualcos’altro che la faccia star male. Ricordo ancora come restò amareggiata e afflitta quando la lasciasti per infiltrati nell’Organizzazione, ho dovuto aiutarla a raccogliere i pezzi. Jodie può apparire come una donna forte e sicuramente a suo modo lo è, ma non è di ferro e che il fatto che sia innamorata di te la spinge a non riuscire mai a dirti di no o a ribellarsi, quindi non voglio che approfitti della sua gentilezza nei tuoi confronti. So che non vuoi farle del male o ferirla, sono consapevole che tu le voglia bene; tuttavia temo che lei potrebbe fraintendere questo tuo affetto. Cerca di capirmi- chiuse gli occhi.

    Lo capiva, eccome se lo capiva. Non c’era una sola cosa che non fosse vera nelle sue parole. James considerava Jodie come una figlia più che una subordinata, era logico che cercasse di proteggerla da ciò che poteva nuocerle, anche da quello che considerava il suo “uomo migliore”. Lo stimava sul piano lavorativo, ma non era certo un suo fan quando si trattava di carattere e atteggiamento, questo non glielo aveva mai nascosto. D’altra parte le persone che avevano imparato a tollerare il suo modo di fare si potevano contare sulla dita di una mano e fra queste la prima era proprio Jodie.

    - Ho capito, sta tranquillo- gli rispose semplicemente, avviandosi verso la porta e salutandolo con un cenno della mano.

    Non appena uscì dall’ufficio si trovò davanti proprio la persona di cui stava parlando poco prima col suo capo. Incrociò lo sguardo col suo, fissandola in quegli occhi che sembravano lune di ghiaccio. Nonostante fra loro ci fosse ancora un’evidente tensione, Jodie abbozzò un sorriso, probabilmente memore della telefonata della sera precedente. Ricambiò, contagiato dall’ingenuità che le dipingeva le gote di rosso ogni volta che lui la fissava.

    - Ho ottenuto da James il permesso di assentarmi mezza giornata dal lavoro per andare a prendere il regalo per Shiho- le disse.
    - Bene, allora adesso chiedo anche io, sperando che James non dica che c’è tanto lavoro da fare-
    - Non serve, il permesso è per entrambi, gli ho detto che saresti venuta con me-
    - Sul serio?- si stupì - Quando andremo allora?-
    - Domani, visto che il compleanno è dopodomani. Non posso tenere più di tanto il cucciolo a casa Kudo, non sarebbe corretto nei confronti dei padroni-
    - Giusto- annuì - Allora a domani- lo salutò, sorridendogli nuovamente prima di aprire la porta.
    - A domani. E buon lavoro-  le augurò.



    …………………



    Aprì lo sportello della macchina e si sedette, allacciando la cintura, mentre dal lato del guidatore Shuichi sistemava gli specchietti. Il negozio dove dovevano andare non era particolarmente lontano da lì eppure aveva l’impressione che quel viaggio sarebbe durato più del previsto. L’idea di restare chiusa in una spazio così piccolo come un’auto con lui la rendeva nervosa. Non sapeva come comportarsi, temeva che qualunque cosa fosse uscita dalla sua bocca potesse essere fraintesa. Era felice dell’invito che le aveva rivolto, ma al tempo stesso era consapevole che non bastava a sanare quella crepa che si era creata fra loro. Le ritornarono alla mente le parole che James le aveva rivolto il giorno prima, non appena era entrata in ufficio dopo che Shuichi se n’era andato. Le aveva detto di non costruirsi di nuovo castelli in aria e di andarci con i piedi di piombo, onde evitare di raccogliere nuovamente i pezzi di quella complicata relazione. Avrebbe potuto dirgli di farsi gli affari suoi, che ormai era una donna adulta e pertanto libera di fare ciò che voleva, ma sapeva perfettamente che in fondo aveva ragione. Ripensò anche a quando, pochi minuti prima, lui era andato a prenderla in ufficio: per un attimo, in una delle sue fantasie adolescenziali, le era sembrato uno di quei momenti in cui il ragazzo va a prendere la ragazza per il loro primo appuntamento. Ma la realtà dei fatti era ben diversa, loro erano un uomo e una donna adulti che stavano fingendo che nulla fosse successo, rimandando un discorso che prima o poi andava affrontato. Stavano semplicemente nascondendo un foglio di carta sotto la cenere, bastava una piccola fiamma per ravvivare il fuoco e bruciarlo.
    Akai mise in moto la macchina, uscendo dal parcheggio della sede dell’FBI. Nella macchina aleggiava un silenzio che rendeva il tutto ancora più imbarazzante di quanto non fosse. Non riusciva ad alzare la parola nonostante lo volesse, si limitava a guardare in basso pensando e ripensando a cosa potesse dire che non sembrasse un patetico tentativo di attaccare bottone.

    - Dove siamo diretti?- chiese infine lui, non sapendo ancora l’indirizzo esatto.
    - Nel quartiere di Haido, al 77- rispose prontamente.

    Tuttavia, dopo quelle brevi battute, calò nuovamente il silenzio. Qualunque cosa avesse detto le sarebbe sembrata  un modo per far finta di nulla ed evitare di parlare del fatto che gli aveva detto cose poco carine e che gli aveva confessato in modo indiretto che lo amava ancora.
    Fu di nuovo lui a rompere il silenzio.

    - Come stanno andando i preparativi per il processo?-
    - Stiamo facendo del nostro meglio per portare in tribunale tutte le prove possibili, ma a me non sembrano mai abbastanza. Temo che nessuno crederà al fatto che una famosa attrice possa aver commesso simili crimini- chiuse gli occhi.
    - Vedrai che andrà tutto bene, avete delle prove concrete in mano- cercò di rassicurarla.

    Avrebbe voluto continuare a parlare così con lui, ma non voleva annoiarlo con le sue questioni personali. Eppure in quel momento sembrava l’unico argomento che non suonasse come una scusa.
    Fu salvata dal fatto che erano ormai giunti a destinazione. Shuichi parcheggiò la macchina fuori dal negozio ed entrambi scesero. Non appena misero piede nel negozio furono accolti dai suoni più disparati: miagolii, abbaii, cinguettii, squittii. Si guardarono intorno, notando una vasta scelta di animali ciascuno nella propria spaziosa gabbia.

    - Benvenuti, posso aiutarvi?- li salutò cordialmente il proprietario del negozio, un uomo alto sulla quarantina che indossava un grembiule per non sporcarsi i vestiti con i peli e il cibo.
    - Salve, di recente un’amica ha visto in questo negozio dei cuccioli di Akita Inu. Per caso li avete già venduti tutti o ne resta qualcuno?- chiese lei.
    - Ho capito a che cucciolata si riferisce- le sorrise - Ne sono rimasti ancora quattro-
    - Oh, molto bene!- esclamò entusiasta - Possiamo vederli?-
    - Certo, seguitemi!-

    Li scortò all’interno del negozio nell’area che aveva riservato a loro. Per non separarli bruscamente aveva costruito un piccolo recinto dove potevano stare tutti insieme. Non appena li vide fu colta da un senso di tenerezza infinita, da quello che si può definire un amore a prima vista. Con quei musetti e quel pelo arruffato erano ancora più adorabili che nelle foto.

    - Ma sono bellissimi!- si lasciò sfuggire, senza preoccuparsi troppo dei modi e dei toni, chinandosi per coccolarli tutti quanti non appena si avvicinarono a lei scodinzolando.

    Girata di spalle, non si accorse del modo in cui Akai la stava guardando, sorridendo serenamente.

    - Shu vieni qui, a te quale piace di più? Io non riesco proprio a scegliere!- lo invitò, senza nemmeno rendersi conto di aver messo improvvisamente da parte tutta la tensione di poco prima.
    - Non saprei, parlando di aspetto fisico mi sembrano tutti più o meno simili- osservò.

    Uno dei cuccioli rinunciò alle coccole di Jodie per spostarsi verso di lui, sedendosi di fronte e piegando la testa da un lato. Lo osservava come se lo stesse studiando, come se si stesse chiedendo perché quell’uomo tanto cupo non gli faceva le coccole a differenza della bella donna accanto a lui. Ora non potevano più esserci dubbi.

    - Credo che quello sia il cucciolo giusto per Shiho- sorrise, fissando la scena intenerita - Ti sta guardando in modo un po’ stranito che mi ricorda tanto lei quando non si fida troppo di te- ammise.
    - Forse hai ragione- confermò, abbozzando un sorriso per l’ironica osservazione della collega.
    - Allora volete questo?- chiese conferma il proprietario.
    - - annuì lei, rialzandosi in piedi seguita da Shuichi.

    L’uomo sollevò delicatamente il cucciolo, prendendolo in braccio. Subito i fratellini si alzarono sulle zampine posteriori cercando di arrampicarsi con scarso successo sulla rete del recinto, forse desiderosi anche loro di coccole o forse non ancora pronti a separarsi dal loro fratellino. Era una scena dolce ma anche un po’ triste.

    - Awww, ne voglio uno anch’io! Anzi, li voglio tutti!- si morse il labbro inferiore, pronunciando quelle parole con una vocina poco consona a una donna della sua età.
    - E dove pensi di metterli? Se non ricordo male l’appartamento del palazzo in cui vivi non ha un giardino e nemmeno un ampio spazio per un animale- le fece presente Shuichi, riferendosi al suo appartamento di New York.
    - Lo so, inoltre resterebbe da solo tutto il giorno visto che sono spesso fuori casa per il lavoro- sospirò.
    - Perché non prende un animale che richieda meno cure?- le suggerì il proprietario - Per esempio un pesce oppure un canarino-
    - Ma non sono carini come questi cuccioli!- obiettò con un’espressione che fece sorridere Akai.

    Tornati alla prima parte del negozio dov’erano entrati, il proprietario preparò un cartone con un caldo panno sul fondo, per far stare comodo il cucciolo fino a quando non sarebbe stato liberato nella sua nuova casa; poi ve lo ripose dentro.

    - Vi servono anche degli accessori?- chiese loro.
    - Dal momento che questo cagnolino non è per noi ma è un regalo per una ragazzina che compie gli anni, credo sia meglio se venga lei a scegliere quelli che preferisce- spiegò Akai.
    - Invece a me interessa vederli, penso che glieli regalerò io- intervenne Jodie.
    - Non le hai già preso un regalo?- chiese stupito lui.
    - Avevo pensato di prenderle un bel vestito alla moda che avevo visto, però a questo punto penso sia meglio se le regalo qualche accessorio, così avrà tutto pronto-

    Nei successivi quindici minuti l’uomo le mostrò tutto ciò che sarebbe potuto servire nell’immediato per accudire il cucciolo, lasciando il resto alla libera scelta della proprietaria. Alla fine optò per un morbido lettino circolare decorato con un fiocco, una lettiera, due ciotole semplici per acqua e cibo, una spazzola, un collare di cuoio semplice ma elegante con appesa una medaglietta personalizzabile (visto che a Shiho piaceva la moda anche il suo cane doveva essere chic) e un guinzaglio.

    - Non è un po’ troppo?- le chiese Akai.
    - No, se lo merita in fondo- fu la sua semplice ma decisa risposta.
    - Vi serve altro?- chiese il proprietario.
    - Potrebbe darmi un sacco di croccantini e qualche scatoletta per farlo mangiare fino a domani?- domandò Akai - Poi la ragazza verrà a prendere il cibo che preferisce insieme a tutto il resto-

    Dopo aver finalmente trovato tutto ciò che cercavano, pagarono ciascuno il proprio conto ed uscirono dal negozio reggendo un cartone ciascuno: lei quello con il cucciolo, decisamente più leggero, e Shuichi quello con gli accessori e il cibo. Li caricarono entrambi sui sedili posteriori, non se la sentivano di rinchiude il piccolino nel baule; poi salirono anche loro sulla vettura.

    - Senti Shu, non pensi che sarebbe il caso di rendere un po’ più carini quei cartoni ricoprendoli con della carta colorata e un fiocco? In fondo dovrebbero essere dei pacchi regalo per un compleanno- fece notare al compagno mentre si allacciava la cintura.
    - A casa Kudo non ci sono né carta né fiocchi- rispose lui, mettendo in moto.
    - Possiamo fare una piccola sosta al minimarket che c’è qui vicino- suggerì.
    - Buona idea, così ne approfitto per prendere anche un paio di contenitori di plastica da usare per dare da mangiare e da bere al nostro nuovo amico-

    Durante tutto il tragitto fino al minimarket, girò la testa ogni due minuti per controllare il cagnolino, nonostante Shuichi le ripetesse di non preoccuparsi e che non si sarebbe rovesciato.
    Quando finalmente arrivarono si attaccò al vetro della macchina guardandovi dentro preoccupata come una mamma che non vuole lasciare il proprio bambino al primo giorno d’asilo.

    - Sono preoccupata, pensi che sia giusto lasciarlo qui da solo?- si girò verso di lui con un’aria più smarrita di quella del cucciolo.
    - Dobbiamo solo comprare un paio di cose, non ci metteremo più di dieci minuti- la rassicurò lui.

    Annuì anche se si vedeva che non era molto convinta, entrando nel negozio insieme a lui. Mentre giravano per le corsie alla ricerca dell’occorrente, per un attimo riuscì a non preoccuparsi per il cagnolino e si rese finalmente conto di come, dal momento in cui erano entrati in quel negozio di animali, le cose fra lei e Shuichi sembrassero tornate inspiegabilmente alla normalità, come se nulla fosse successo. Anche ora stavano camminando fianco a fianco come una coppia di fidanzati che vanno a fare la spesa insieme per la loro nuova casa. Si chiese se anche lui avesse avuto la stessa sensazione o se stesse solo fingendo di comportarsi in modo naturale con lei, in attesa di riprendere a comportarsi da perfetti sconosciuti non appena quel pomeriggio di shopping fosse giunto al termine. Il solo pensiero la rattristò non poco.

    - Ho trovato i contenitori- la riportò alla realtà la voce di lui.

    Si voltò a guardarlo, trovandolo con in mano due semplici contenitori in plastica rotondi.

    - Ma dove sarà il materiale per le confezioni da regalo?- si guardò intorno, cosa che non aveva fatto fino a quel momento.

    Trovò tutto quando raggiunse la zona dedicata al fai da te. Prese dei fiocchi, della carta colorata e del nastro adesivo. Stavano per andare alla cassa quando le cadde l’occhio su dei biglietti di auguri molto carini, decorati con motivi floreali eleganti.

    - Ne prendiamo due? Un regalo va sempre accompagnato da un biglietto- propose.
    - Giusto- annuì lui.

    Il tragitto fino alla cassa lo fecero nel più completo silenzio, così come quello dalla cassa alla macchina fuori dal negozio. Sembrava davvero che il clima caloroso di poco prima fosse evaporato nel nulla in pochi secondi. Forse c’era una sorta di magia in quel negozio pieno di suoni e piccoli amici pennuti o a quattro zampe.
    Posò anche gli ultimi acquisti sul sedile posteriore e ne approfittò per dare un’occhiata al piccolino, il quale si era coricato ma era ancora sveglio e attento e si alzò scodinzolando non appena la vide. C’era già una certa simpatia fra loro.

    - Eccoci qui piccolino!- gli sorrise, facendogli un po’ di coccole.
    - Sembra quasi che quel cucciolo sia per te- osservò Shuichi.
    - Se fosse per me andrei a prendermene uno subito, ma un’agente dell’FBI può permettersi solo animali di peluche!- storse le labbra.
    - Una vita frenetica è il prezzo da pagare per assicurare la giustizia al proprio paese- se ne uscì lui in tono quasi patriottico.

    Lo fissò come se avesse detto una scemenza degna dei peggiori programmi di cabaret. Non capiva proprio come gli uscissero certe cose dalla bocca a volte. In tutta risposta lui sorrise divertito dalla sua espressione. Era bello quando lo faceva, anche se si stava beffando di lei. Imbarazzata per quel pensiero, distolse lo sguardo arrossendo: era più forte di lei. Per l’ennesima volta calò il silenzio all’interno di quell’auto che sembrava una carrozza di sola andata per l’inferno.

    - Ascolta Jodie… Penso sia il caso di parlare- se ne uscì improvvisamente Akai, prendendo l’iniziativa e dando il via a quello che temeva sarebbe successo fin dal primo istante in cui aveva messo piede in quella vettura.

    Si irrigidì come una statua di marmo stringendo i pugni, non sentendosi per nulla pronta ad affrontare l’argomento. Non voleva ricevere di nuovo uno schiaffo in faccia.

    - Non ce l’ho con te se è questo che ti preoccupa. Vorrei solo chiarire alcune cose per evitare di continuare con questa situazione- specificò.
    - Possiamo parlarne quando saremo arrivati?- chiese lei, quasi come una supplica più che una domanda.
    - E che differenza fa farlo adesso o dopo? Dovremo comunque farlo- insistette lui.
    - Preferisco evitare certe discussioni in macchina, non è un luogo che mi porta molta fortuna nelle conversazioni- replicò, facendo un chiaro riferimento al momento della loro rottura.

    Le era uscito di getto, senza pensare alle conseguenze. Solo quando se ne rese conto appoggiò la testa al finestrino coprendosi gli occhi con una mano, certa che Shuichi si sarebbe legata al dito anche quella. Di certo non era quello l’atteggiamento che doveva assumere se voleva sistemare le cose fra loro.

    - Mi dispiace, non volevo essere acida. Davvero, possiamo parlarne a casa?-

    Aveva detto “casa”, come se davvero fossero una coppia di fidanzatini che viveva insieme e che aveva semplicemente avuto un litigio come tanti, ma la verità era che non c’era nessuna casa (o per lo meno non una casa che fosse loro) e soprattutto non c’era nessuna relazione. Shuichi non rispose e questo le fece temere che ora ce l’avesse sul serio con lei. Non avrebbe nemmeno avuto tutti i torti, dal momento che era l’unico che aveva provato a mettere le cose a posto mentre lei non faceva che peggiorarle.
    Giunti a villa Kudo, scaricarono i cartoni dall’auto stando attenti a non farsi vedere troppo, Shiho poteva essere benissimo alla finestra ad osservare. Durante questa operazione non si rivolsero mai la parola, tutto ciò che fecero fu scambiarsi delle occhiate che non promettevano né sorrisi né tantomeno belle parole.
    La casa era deserta, Shinichi doveva ancora rientrare: erano soli con i loro problemi da affrontare. Akai portò il cartone con il cucciolo nella sala e lei lo seguì a testa bassa con l’altro. Poi il cecchino estrasse dalla sporta del minimarket la carta, i fiocchi, i biglietti e il nastro adesivo, posandoli sul tavolino. Estrasse una scatoletta di cibo dal cartone con gli accessori e, presi i due contenitori appena acquistati, si recò in cucina lasciandola lì da sola. Tornò pochi minuti dopo con i contenitori pieni: uno con dell’acqua fresca e l’altro con il cibo della scatoletta. Li posò a terra e poi tirò fuori il cucciolo dal cartone posizionandovelo davanti. Senza farselo ripetere due volte, il piccolo cominciò a mangiare sotto lo sguardo intenerito di lei. Shuichi ne approfittò per prendere anche il sacco di croccantini e le altre scatolette, in modo da lasciare nel cartone solo ciò che lei aveva comprato per Shiho. Si mise dunque a sistemarle per bene, cercando di distarsi da tutta quella tensione. Quand’ebbe finito chiuse il cartone con una lunga striscia di nastro adesivo. Prese poi la carta colorata e cominciò a srotolarla e stenderla per poterlo incartare. Durante tutto quel tempo Shuichi era rimasto in disparte a guardarla, mentre fumava una sigaretta. Probabilmente anche lui era parecchio nervoso.

    - Vuoi che incarti anche il tuo?- ruppe lei il silenzio stavolta.

    Akai non rispose, si avvicinò a lei e si sedette sulla poltrona poco distante dal punto in cui si era seduta a terra.

    - Puoi farlo dopo. Ora mi sembra davvero il caso di avere una conversazione fra adulti-

    Il tono di voce era scocciato, chiunque lo avrebbe percepito. Era chiaro che volesse parlare a tutti i costi, che si fosse stufato di tutta quella storia. Così posò la carta e le forbici e restò ad ascoltare ciò che aveva da dirle.

    - Cosa pensi di fare?- le chiese.
    - In che senso?- replicò confusa, non capendo a cosa si stesse riferendo di preciso.
    - Dopo avermi fatto capire che non hai gradito la mia decisione di sei anni fa, cosa di cui non posso biasimarti, hai detto che ti sei stancata di starmi appresso. Dunque, è la tua decisione definitiva?-

    Non riusciva davvero a capire dove volesse arrivare e perché le stesse facendo proprio quelle domande quando ne aveva altre mille da fare prima.

    - Cosa ti aspetti che faccia Shu? Che passi il resto della mia vita a correre dietro a un uomo che non si accorge nemmeno se mi sono dipinta i capelli di rosa perché non ha alcun interesse per me? Forse se avessi diciassette anni e fossi una ragazzina, ma ho quasi trent’anni e mi sto rendendo conto di non aver combinato niente- abbassò lo sguardo.
    - Volevi diventare un’agente dell’FBI e lo hai fatto, avevi un obiettivo e lo hai portato a termine, tra poco metterai dietro le sbarre la tua peggior nemica. Questo per te è non aver combinato niente?-
    - Non mi riferivo alla mia carriera ma alla mia vita sentimentale. Non esiste solo il lavoro Shu- gli fece notare.
    - Forse non hai ancora incontrato la persona giusta. Hai ancora tempo, ventott’ anni non sono poi così tanti-
    - O forse l’ho incontrata ma non me ne sono accorta perché ero troppo concentrata su quella sbagliata- lo fissò - E comunque sono quasi ventinove-
    - Allora dovresti cercare di concentrati su quello che ti rende soddisfatta invece che su quello che continua a deluderti- le fece notare, come se volesse farle capire di lasciarlo perdere.
    - Hai ragione, credo che sia arrivato il momento di farlo-

    A parole era facile, ma chiunque l’avesse guardata in quel momento avrebbe capito dalla sua espressione che non era  minimamente convinta di ciò che aveva appena detto. Quella frase serviva più a convincere se stessa che gli altri. Non ce la faceva davvero più, era stanca e senza forze.

    - Non voglio rinunciare alla tua presenza nella mia vita anche solo come amico o collega, Shu. Anche se questo dovesse comportare il non trovare un altro uomo per il resto della mia vita- ammise, mentre grosse lacrime avevano preso a rigarle le guance.

    La verità era che non voleva perderlo anche se sapeva che sarebbe stato la causa di tutte le sue sofferenze.

    - Questo equivarrebbe a tenerti imprigionata in un castello senza vie di fuga. Non sarebbe giusto e non sono il tipo che ama privare gli altri della propria libertà- chiuse gli occhi, forse per non mostrare che anche lui in quel momento stava provando dispiacere nel sapere di essere il suo carnefice.
    - Non me lo stai imponendo tu, sono io che voglio farlo- precisò lei.
    - Però vivrei con il pensiero di saperti legata a qualcosa dal quale solo io posso scioglierti. Se non lo facessi, sarebbe come tenerti prigioniera, no?-
    - Allora sono io che chiedo a te cosa intendi fare. Se non vuoi salvare nemmeno la nostra amicizia dillo chiaramente-

    Non riusciva a smettere di piangere, non in quel momento che sarebbe stato decisivo per il loro futuro. Alla fine di quella conversazione avrebbe saputo che rapporto ci sarebbe stato d’ora in avanti con lui e nulla avrebbe più potuto modificarlo. Temeva che l’avrebbe perso anche come amico e questo peso era troppo grande da sopportare.

    - Voglio solo accertarmi che non sprecherai più la tua vita a correre dietro a un tizio che probabilmente non merita la tua dedizione- le sorrise sinceramente.
    - Se anche dovessi farlo sarebbe una mia scelta. Non sei tenuto ad assumertene la responsabilità. In ogni caso, più passa il tempo e più mi rendo conto da sola che merito di meglio- lo fissò seria.
    - Se è così allora mi va bene restare amici-
    - D’accordo- annuì.

    Si asciugò velocemente le lacrime, per poi riprendere ad incartare il suo pacco nel tentativo di distarsi. Di certo non era il finale felice di una bella fiaba, non era come nei suoi sogni quando lui le diceva che voleva di nuovo che fosse la sua donna; tuttavia era sempre meglio averlo come amico che come perfetto estraneo. Nella vita a volte ci si deve accontentare. Sapeva che quella conversazione che sembrava ormai finita una volta per tutte, sembrava piuttosto lasciata a metà per l’ennesima volta. Non bastava dire “restiamo amici” perché il loro rapporto tornasse com’era prima di quella maledetta sera. Shuichi era consapevole che lei non lo riteneva un semplice amico e per questo si sarebbe comportato in maniera distaccata per non ferirla, mentre lei si sarebbe allontanata per non soffrirne. Sembrava che qualunque fosse la decisione che avrebbero preso, il risultato sarebbe stato sempre quello di allontanarsi l’uno dall’altra. Era ora di accettare la realtà dei fatti: qualcosa era inevitabilmente cambiato, quel rapporto che aveva cercato di mantenere in un qualche modo saldo dopo la rottura si era incrinato se non spezzato.
    In silenzio Akai si alzò dalla poltrona e andò a recuperare il cagnolino, che nel frattempo aveva finito di mangiare e si era messo a gironzolare per la stanza annusando qua e là. Lei rimase seduta a terra a incartare con cura sia il suo cartone che quello del cucciolo. Erano nella stessa stanza, a pochi metri l’uno dall’altra, eppure sembrava che fossero distanti anni luce e che parlassero due lingue diverse, rendendo impossibile la comunicazione. Era la sensazione peggiore.
    Non appena finì raccolse velocemente le sue cose ed estrasse il cellulare, pronta a chiamare James perché venisse a prenderla. Non se la sentiva di restare lì un minuto di più e aveva davvero bisogno di quel papà surrogato che le offriva una spalla su cui piangere ogni volta che combinava un casino. Stava cercando il numero in rubrica quando la mani di Akai la fermò, stringendole delicatamente il polso.

    - Non serve disturbare James, ti accompagno io-

    In un primo momento non seppe cosa rispondere, non le sembrava la migliore delle idee chiudersi di nuovo insieme in una macchina. Alla fine accettò per non rimangiarsi la promessa di essere amici.

    - D’accordo. Però come farai con il piccolo? Non possiamo lasciarlo qui da solo-

    Stava per risponderle quando il suono della porta d’entrata che si apriva interruppe la loro conversazione, spingendoli a girare la testa in quella direzione. Pochi minuti dopo apparve Shinichi con la divisa scolastica e la sua valigetta in mano. Si stupì notevolmente di trovarli lì insieme, si intuiva dall’espressione del suo viso.

    - Professoressa Jodie, c’è anche lei- osservò.
    - Hello Cool Guy, scusa se abbiamo fatto un po’ di confusione in casa tua!- lo salutò calorosamente come sempre.

    Il giovane detective si guardò intorno e subito il suo sguardo cadde sui cartoni addobbati e su quella piccola palla di pelo che stava scodinzolando anche a lui. restò a fissarlo attonito, cercando nella sua testa una spiegazione plausibile a tutto ciò.

    - È il mio regalo per Shiho, spero non sia un problema tenerlo qui fino a domani- chiese Akai - Ovviamente me ne occuperò io-
    - No, nessun problema- sorrise Shinichi, avvicinandosi e prendendolo in braccio - Credo che Shiho apprezzerà moltissimo questo regalo-
    - Lo spero. Potresti controllarlo per un po’ mentre accompagno Jodie a casa? Ci metto solo qualche minuto-
    - Tranquilli, andate pure. Ci penso io- accettò con piacere.

    Uscirono dalla villa e come avevano fatto in precedenza caricarono il pacco di Jodie sulla macchina cercando di non farsi notare troppo. Durante il tragitto non si scambiarono molte parole, come d’altra parte era prevedibile.

    - Potresti dire a James che domattina farò un po’ tardi perché devo andare a ritirare la torta che ho prenotato per Shiho?- se ne uscì all’improvviso lui.
    - Non glielo hai già detto?-
    - Me ne sono scordato fra una cosa e l’altra- ammise.

    Quando arrivarono davanti al palazzo dove si trovava il suo appartamento, scese dalla macchina e prese il suo cartone dal sedile posteriore. Anche Shuichi scese e l’affiancò, posando una mano sotto il cartone.

    - Vuoi che ti aiuti? È abbastanza pesante- chiese.
    - Grazie ma non serve, appena arrivo dentro prendo l’ascensore- abbozzò un sorriso di ringraziamento.
    - Beh, grazie per l’aiuto allora- disse, pronto a congedarsi da lei.
    - Di nulla, ci vediamo domani alla festa-

    Gli diede le spalle e s’incamminò vero l’entrata del palazzo. Aveva quasi raggiunto la porta quando sentì la sua voce che la richiamava.

    - Jodie-
    - Sì?- girò il capo per guardarlo.
    - Quel giorno non avevo nessuna intenzione di ferirti, né tantomeno la voglia di fare ciò che ho fatto. Rinunciare a qualcosa a cui tieni non è mai facile per nessuno. Se non ti ho telefonato non è perché non lo volessi, ma perché farlo avrebbe solo complicato le cose. Non credevo che ti avrebbe ferita a tal punto, mi dispiace-

    Spalancò gli occhi a quelle parole, incredula per ciò che aveva appena sentito. Erano scuse quelle? Shuichi Akai, la roccia impassibile, si stava abbassando a scusarsi per una cosa successa sei anni prima. Se le sue mani non fossero state impegnate a reggere il cartone, probabilmente si sarebbe data dei pizzicotti per accertarsi di essere sveglia e di non stare sognando. Era distante da lui e non riusciva a vedere bene i suoi occhi, ma dall’espressione del volto e dal tono che aveva usato le sembrava sincero e davvero pentito. Per la prima volta ebbe l’impressione di essersi sempre sbagliata, di non aver mai capito fino in fondo i suoi sentimenti. Presa com’era nel suo dolore, non aveva visto che anche Shuichi aveva sofferto per quella storia troncata così, per quel sentimento che aveva dovuto spegnersi contro il volere di entrambi. Non sapeva perché ma si sentiva più serena nel saperlo, nel sapere che per lui era stata importante. Forse, se le avesse detto quelle parole anni prima, non sarebbero arrivati al punto in cui si trovavano ora. Ma d’altronde lo sapeva, Shuichi non era un asso quando si parlava di tempistica in campo di sentimenti.
    Si chiese se alla fine dei giochi anche lei non avesse delle colpe. Se era bastato così poco a farlo innamorare di un’altra, forse allora anche lei non era stata perfetta. Ma ormai importava poco, non poteva più cambiare ciò che era stato. Ammettere le proprie colpe li avrebbe aiutati ad andare avanti ma non a tornare indietro.

    - Non devi darmi nessuna spiegazione, qualunque siano state le tue motivazioni. Se lei ti ha conquistato a tal punto allora forse sono io che ho mancato in qualcosa. La colpa è sempre metà e metà, giusto?- sorrise citando le sue parole, nonostante i suoi occhi fossero diventati lucidi tradendo le emozioni che stava provando - Accetto le tue scuse, ad ogni modo. Ci vediamo domani alla festa-

    Lo salutò un’ultima volta per quella sera, entrando nell’edificio senza più voltarsi indietro.



    …………………………



    Restò lì, fermo immobile a guardare la sua figura perfetta che si allontanava sempre più da lui, come nelle scene di quei patetici film d’amore che piacevano tanto alle donne. Ripensò a tutto ciò che si erano detti e anche a ciò che restava ancora da dire. Non sopportava di vederla piangere e ancor meno sopportava di sapere che la causa del suo dolore era proprio lui. Nella vita aveva fatto esperienze e imparato tante cose, forse anche più di quelle che un giovane uomo della sua età dovrebbe conoscere, eppure non aveva mai imparato ad essere più umano nei rapporti con le persone. Forse era per questo che continuava a perdere le persone a lui care una dopo l’altra. Più rifletteva sulle parole che le aveva detto nel salotto di casa Kudo e più gli sembrava di averla allontanata di proposito. Se sua madre fosse stata lì non si sarebbe certo risparmiata di dirgli che era un cretino. “Forse sono io che ho mancato in qualcosa”, gli aveva detto Jodie. Avrebbe dovuto dirle che non aveva nessuna colpa e che era stata una fidanzata perfetta: il problema era lui. Sapeva che lei lo amava ancora e nel tentativo di essere distaccato per non crearle false speranze e illuderla aveva finito col ferirla di nuovo, col riaprire quella cicatrice nel suo cuore che probabilmente non si era mai rimarginata. Se ne rendeva conto solo adesso. Le aveva promesso di proteggerla a costo della vita e invece la stava uccidendo con le sue stesse mani. Lui, il Silver Bullet, l’unico in grado di eliminare i cattivi, non era altro che uno di loro. Sorrise amaramente a quel pensiero.
    Mentre si accendeva una sigaretta, si chiese se le cose sarebbero mai tornate a posto, se quell’amica, compagna, collega che fino a quel momento lo aveva sostenuto sarebbe stata ancora lì per lui. Si accorgeva di quanto fosse importante la sua presenza solo adesso che forse l’aveva persa. Come per suo padre e per Akemi, ebbe nuovamente la sensazione di aver perso qualcosa a lui caro, con la sola differenza che Jodie era viva. E forse il lato peggiore era proprio questo: saperla ancora lì accanto a lui ma avere la sensazione che fosse lontana come l’anima di un defunto.
    Con l’amara consapevolezza di aver aggiunto un’altra vittima alla sua collezione, mise in moto la macchina e tornò a casa, avvolto dal buio della sera che era ormai calato sulla città.




    ANGOLO DELL’AUTORE

    Direi che questo è il capitolo più lungo mai fatto fin’ora e infatti è anche quello che ha segnato un punto di svolta decisivo (forse) per il rapporto Jodie/Shuichi. Molti di vuoi si aspettavano che questo confronto avvenisse durante la festa, ma io vi ho preceduti perché per la festa avevo altro in mente fin dall’inizio (dite la verità, vi ho un po’ trollati come Gosho eh? XD). So che alcuni di voi penseranno “ma fai una storia Shuichi x Jodie e poi li fai accordare sul fatto di restare solo amici?!” e in effetti potrebbe sembrare così, ma mancano dei pezzi e l’happy ending che tutti vi aspettate (e che vi ho promesso ci sarà) sarà veramente solo nei capitoli finali e conclusivi, non prima. Prima voglio preparare le basi perché questo avvengo, devo far crescere i personaggi psicologicamente. Farlo su due piedi mi sembrerebbe affrettato e non realistico. La verità è che nonostante in questa storia si sia vista più Jodie di lui, chi deve dare la spinta al motore perché parta è Shuichi. Fin che lui non si metterà in pace con se stesso, la svolta non potrà avvenire.
    Ma bando alle ciance, vi sto annoiando! Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo se vi va! E non perdete il prossimo che sarà quello con la festa di Shiho! ;)
    Grazie come sempre a tutti quelli che dedicano il proprio tempo a questa storia!
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    Capitolo 17: La festa



    Erano tutti riuniti nella stessa stanza come una numerosa famiglia il giorno di Natale, nonostante fossero divisi in gruppi impegnati in differenti attività. Da un lato Shinichi e Ran, che in quel momento sembravano amorevoli genitori, cercavano di aiutare i Detective Boys a con un indovinello architettato dal Dottore per tenerli impegnati, in modo che non si annoiassero troppo dal momento che vi erano solo persone adulte. Con loro c’era anche Masumi, che come Shinichi veniva costantemente attirata dal profumo degli enigmi. Dall’altro lato invece, sedute sul divano, lei e Sonoko stavano sfogliando una rivista di moda commentando le ultime tendenze. Mancavano solo due persone all’appello.
    Si sistemò lo scollo del bellissimo kimono colorato che le aveva regalato il Dottor Agasa. In Giappone era tradizione che la festeggiata ne indossasse uno. Sul tavolo dove gli altri stavano risolvendo l’indovinello c’erano una serie di scatole di giochi di società portati per la maggiore da Shinichi e Sonoko, che però non erano ancora stati provati nell’attesa che anche gli ultimi due invitati rimasti si unissero a loro.

    - Ah, ho capito!- riecheggiò la voce entusiasta della piccola Ayumi.

    Lei e Sonoko interruppero la lettura e si girarono a guardare, trovando tutti quanti sorridenti: di certo erano riusciti a risolvere l’indovinello.

    - Visto che abbiamo risolto il mistero possiamo avere la torta come premio?- chiese subito Genta, che non vedeva l’ora che arrivasse quel momento da quando aveva messo piede in casa.
    - Su, cerca di pazientare Genta, più tardi la mangeremo tutti insieme-

    Controllò l’ora sull’orologio appeso alla parete, sperando che Akai non si fosse dimenticato. In fondo la torta doveva portarla lui. Non fece in tempo a finire di pensarlo che il campanello della porta suonò, segno che almeno uno dei due era arrivato. Andò ad aprire com’era giusto che fosse, dato che festa era la sua, trovandoseli davanti entrambi, uno di fianco all’altro.

    - Benvenuti- li salutò con un sorriso.
    - Happy Birthday!- gongolò Jodie, ricambiando il sorriso con uno ancora più radioso, mentre reggeva fra le braccia un grosso pacco.
    - Auguri- fu la risposta più semplice di Akai, il quale le mostrò la scatola con la torta.
    - Grazie mille, accomodatevi- li fece entrare.

    Non appena misero piede in casa, tutti si girarono a salutarli, alcuni stupiti di vedere due agenti dell’FBI adulti ad una festa di ragazzini. La reazione più evidente fu quella di Masumi, che dopo aver esclamato “Shu-nii!” corse incontro al fratello e lo abbracciò. Questa volta, invece di rimproverarla, Akai le sorrise scompigliandole i capelli, lasciando basite le persone che lo conoscevano bene. Ma lei era concentrata su un altro fatto che l’aveva colpita molto più dello slancio affettivo e fraterno di quell’uomo apparentemente privo di emozioni, ovvero che lui e Jodie fossero arrivati insieme. Così si avvicinò all’amica bionda con un pretesto.

    - Grazie per questo regalo, non dovevi disturbarti. È enorme!-
    - Te lo meriti!- le fece l’occhiolino, posando il pacco insieme agli altri.
    - Piuttosto… com’è che tu e Akai-san siete arrivati insieme? Mi sembrava che ci fossero delle tensioni fra voi fino a pochi giorni fa- arrivò al punto.
    - Bhe, è vero, ma ieri abbiamo avuto occasione di parlare finalmente e diciamo che siamo giunti a una sorta di armistizio- spiegò, anche se la sua espressione nel raccontare era cambiata con la stessa velocità di una folata di vento.
    - Ti va di parlarne?-
    - A tempo debito lo farò- si riprese - Oggi dobbiamo solo pensare a divertirci perché è il tuo compleanno!- la prese per le spalle e la scosse leggermente, trasmettendole tutta la sua vivacità.

    Sorridendo, andò a posare la giacca, sotto lo sguardo poco convinto di lei. Ormai era diventata un libro aperto, si capiva subito quando era davvero spensierata e quando dietro ai sorrisi si nascondeva un pianto silenzioso. Tuttavia aveva ragione, non era il caso di tirare fuori certi argomenti in quella circostanza.
    La sua attenzione si spostò nuovamente su Masumi, che nel frattempo aveva abbandonato gli altri per cercare quasi disperatamente le attenzioni del fratello maggiore, il quale stava mettendo la torta nel frigo in compagnia del Dottore e di Genta che si era fiondato a vedere nel tentativo di convincerli a mangiarla subito. Notò che lo scienziato e l’agente stavano parlando fitto fitto tra loro e le sembrò strana una tale confidenza, troppa se si considerava che per Akai il Dottore era solo l’uomo che gli aveva fornito delle strumentazioni per il suo travestimento. Cercò di leggere il labiale, inutilmente. Infine li seguì con lo sguardo mentre si allontanavano dal salone per spostarsi in un’altra stanza. Stava per seguirli quando Masumi la precedette, ma venne subito fermata dal fratello che con sguardo serio le disse qualcosa che non riuscì a comprendere, mascherata dalla confusione che stavano facendo i bambini. Pensò che Akai non avesse imparato la lezione e che avrebbe di nuovo visto lo sguardo deluso e triste di Masumi, proprio come quel pomeriggio a casa di Shinichi; invece con sua grande sorpresa la vide sorridergli e annuire, per poi tornare tutta pimpante dagli altri come se nulla fosse. Ok, aveva sempre pensato che fossero una famiglia strana, ma ora ne aveva la certezza assoluta.

    - Chissà dove stanno andando quei due- si lasciò sfuggire.
    - Forse vogliono solo parlare di cose da uomini che a noi non interessano, quindi andiamo a far festa!- rispose prontamente Jodie, arrivata alle sue spalle come un fantasma.

    La spinse senza forzarla troppo vicino al tavolino insieme a tutti gli altri, per poi salutare tutti con la stessa energia di ogni volta.

    - Hello guys!- sorrise radiosa.
    - Professoressa Jodie, c’è anche lei!- esclamò Ayumi.
    - Ma non si annoia a una festa di ragazzi con per di più dei mocciosi?- le chiese Sonoko alzando un sopracciglio.
    - Certo che no!- rispose lei.

    L’unica che non aveva detto nulla era stata Masumi, la quale fissava Jodie come se cercasse di studiarla in ogni minimo particolare. D’altra parte era quella che la conosceva meno di tutti fra i presenti. Anche Jodie doveva essersene accorta, poiché la guardò a sua volta, sicuramente notandone la somiglianza con quell’uomo che tanto amava.

    - Sei la sorella di Shu, vero?- le chiese per rompere il ghiaccio.
    - Esatto. Tu invece lavori con mio fratello all’FBI. Lo conosci bene?-

    Era una bella domanda, una domanda a cui non era sicura che Jodie avesse una risposta certa. Lei stessa aveva scoperto lati di Akai che in passato non aveva mai visto, quindi tutte le sue certezze sulla sua persona erano crollate. Anche per Jodie doveva essere lo stesso.

    - Beh… diciamo di sì, lavoriamo insieme da tanti anni ormai- riuscì a cavarsela, anche se quella era la risposta più ovvia.
    - Non pensa anche lei che il fratello di Sera-chan sia bellissimo? Dica la verità, c’è qualcosa fra voi? Siete arrivati insieme!- intervenne Sonoko, fuori luogo come sempre.

    Una domanda ancora più difficile della precedente, che non ricevette una risposta veloce. Jodie arrossì visibilmente, non sapendo cosa dire. Non poteva certo dire la verità, in ogni caso non di fronte alla sorella di Shuichi.

    - Ma insomma Sonoko, che domande fai?! Non vedi che stai mettendo a disagio la professoressa Jodie?- intervenne in suo aiuto Ran, che era molto più giudiziosa dell’amica.
    - Già e poi la professoressa è fidanzata con l’agente Camel!- intervenne Mitsuhiko, evidentemente memore di quella balla colossale che si era inventata per salvare Camel dall’accusa di omicidio in quell’hotel.
    - Cosa?! Sul serio?!- esclamarono Ran e Sonoko all’unisono.
    - No, aspettate, c’è un malinteso!- scosse le mani la bionda, colta alla sprovvista.
    - Intende dire che non sta più con l’agente Camel?- chiese Ayumi.
    - Non mi dica che l’ha tradita!- saltò subito alle conclusioni Sonoko.
    - No no, in verità non sono mai stata fidanzata con Camel!- confessò infine, sorridendo imbarazzata.
    - Quindi ha detto una bugia?- storse il naso Genta.
    - Mi serviva un modo per tirarlo fuori dai guai!-
    - Non si fa!- la riprese Mitsuhiko.

    In tutta risposta, l’ex insegnante abbassò lo sguardo, mortificata nel sentirsi fare la predica da dei bambini delle elementari.

    - Allora ti piace mio fratello?- chiese nuovamente Masumi, curiosa di sapere se il suo adorato fratello aveva fatto colpo.
    - Eh?! Beh…- avvampò Jodie, non riuscendo ad articolare una frase di senso compiuto.
    - Ma guarda com’è diventata rossa!- la canzonò Sonoko, sorridendo sorniona.
    - Se vuoi posso chiedergli se gli piaci anche tu!- si offrì Masumi, come se fosse la cosa meno imbarazzante e più naturale del mondo.
    - No! Non è necessario!- si affrettò a rispondere la bionda - Siamo solo amici e colleghi, niente più!-
    - Adesso basta tormentare Jodie, perché non giochiamo tutti insieme a qualcuno di questi giochi?- intervenne lei, nel tentativo di tirare fuori l’amica da quella situazione imbarazzante.

    La proposte venne accolta di buon grado e così si misero a guardarli tutti, cercando di sceglierne uno che potesse essere adatto anche per i più piccoli. La scelta finale, inutile dirlo, ricadde sul Cluedo che aveva portato Shinichi, il quale l’aveva ricevuto in dono dai suoi direttamente dall’America. Posizionarono il tabellone di gioco sul tavolo e si sedettero in cerchio intorno ad esso, mentre Sonoko leggeva le regole a tutti e Ran e Shinichi posizionavano le pedine.
    Mentre erano intenti ad ascoltare, riapparvero così com’erano scomparsi il Dottor Agasa e Akai. Li osservò per un po’, cercando di capire dall’espressione sui loro volti se qualcosa non andava, ma non le sembrò di notare nulla di strano. Sembravano entrambi stranamente sereni e sorridenti. Eppure sentiva che le stavano nascondendo qualcosa.

    - Dove siete stati?- chiese, interrompendo bruscamente la lettura di Sonoko.
    - Da nessuna parte, il Dottore voleva mostrarmi una delle sue nuove invenzioni e sapere cosa ne penso- spiegò in tutta tranquillità Akai.

    Quella risposta non la convinse per niente, anche perché quando il Dottore lavorava a qualcosa di nuovo la coinvolgeva sempre e negli ultimi tempi a parte fare riparazioni non aveva ideato nulla. Tuttavia preferì non fare altre domande davanti agli altri.

    - Vuoi giocare anche tu con noi, Shu-nii?- chiese Masumi sorridendo.
    - Ma figuriamoci, un uomo adulto non vorrà certo mettersi a giocare con dei ragazzini!- commentò Sonoko, più per farsi grande ai suoi occhi che per evitare di farlo sedere al tavolo con loro.
    - Guarda che anche la Professoressa Jodie è un’adulta, però ha accettato di giocare con noi!- le fece presente Genta.
    - Mi unisco a voi volentieri, sarà divertente giocare contro un ottimo detective- accettò di buon grado Shuichi, sorprendendo tutti e fissando il diretto interessato, Shinichi.

    Il giovane erede di Holmes ricambiò il sorriso, cosa che però non fecero gli altri dal momento che quel gioco collettivo sarebbe certamente diventato uno scontro faccia a faccia fra titani dell’investigazione.

    - Però come faremo a giocare?- intervenne Ayumi, fissando il tabellone - Il gioco è per un massimo di sei persone e noi siamo in dieci-
    - Già, hai ragione- l’appoggiò Mitsuhiko.
    - Perché non giochiamo a coppie?- propose Jodie.
    - Mi sembra un’ottima idea!- approvò Ran.
    - Per me va bene, purché Kudo e Akai-san non facciano coppia, altrimenti vinceranno ancor prima di cominciare- precisò lei, incrociando le braccia al petto.
    - Giusto, poi farebbero i primi della classe!- annuì Jodie, storcendo il naso.

    Ci furono diverse lamentele su chi doveva o non doveva stare con chi prima di giungere a delle coppie che potessero andare bene a tutti. Jodie e Akai non potevano stare insieme perché entrambi agenti dell’FBI, Akai e Shinichi perché due abili detective, stessa cosa per Akai e Masumi e per Masumi e Shinichi. Alla fine concordarono tutti per le seguenti coppie: Shiho e Ayumi, Shinichi e Ran, Sonoko e Masumi, Akai e Genta, Jodie e Mitsuhiko. Giocarono per un’ora buona, ridendo, scherzando e mangiando stuzzichini. Sembravano una grande famiglia dove la differenza di età non contava nulla, perché c’era affetto da parte di tutti. Anche se la sua famiglia biologica non poteva essere lì a festeggiare con lei, si sentiva comunque felice e poteva affermare con certezza che quello era il compleanno più bello che avesse mai avuto occasione di festeggiare.
    Alla fine vinse, come previsto, Shinichi, anche se Akai era arrivato alla stessa soluzione ma era stato preceduto. Sbuffarono tutti, nonostante si fossero comunque divertiti.

    - Non c’è gusto a giocare con te!- lamentò all’amico, facendolo sorridere.
    - Facciamo un’altra partita!- propose Ayumi, che era rimasta molto entusiasta di quel nuovo gioco.
    - Perché invece non venite a mangiare la torta e a scartare i regali?- propose Agasa.
    - Sììììì!- esclamarono in coro, correndo via come fulmini.
    - Vado a tagliarla allora- si alzò Akai, dirigendosi verso il frigo.
    - Ti do una mano- si offrì Jodie, seguendolo.

    Si spostarono tutti intorno al bancone che fungeva da angolo cottura, dove poco distante si trovava anche il frigo. Shuichi estrasse la scatola con la torta, l’aprì e cominciò a dividerla in fette della stessa dimensione, mentre Jodie le riponeva nei piattini da dessert. Li osservò attentamente mentre si scambiavano qualche sguardo furtivo e le sembrò di scorgere meno imbarazzo fra loro di quanto non ne avesse mai notato fino a quel momento, seppur fossero lontani dalla scioltezza che avevano prima di tutta quella storia. Era chiaro che le cose non fossero propriamente tornate alla normalità, ma almeno non c’era più tensione. Anche gli altri ragazzi li guardavano nel tentativo di capire se ci fosse qualcosa fra loro, tranne i bambini che erano troppo piccoli per interessarsi a cose del genere e soprattutto troppo occupati ad osservare la torta.

    - A me sembra che alla Professoressa Jodie piaccia molto il fratello di Sera-chan!- bisbigliò Sonoko.
    - Ancora con questa storia, Sonoko?- la rimproverò Ran.
    - E se anche fosse? Sono affari loro, sono due adulti e se la sbrigheranno da soli- mise a tacere il tutto Shinichi.

    Terminati i pettegolezzi, si avvicinarono maggiormente al tavolo e presero un piattino ciascuno, cominciando ad assaporare la loro fetta di torta, non prima di averle cantato tutti in coro la tipica canzone di auguri. Era deliziosa come la ricordava e anche gli altri sembrarono gradire molto, complimentandosi per la scelta. Il più felice di tutti era certamente il Dottore, che finalmente dopo tanto tempo poteva gustarsi un dolce e porre fine a quello stretto regime dietetico a cui lo sottoponeva costantemente.
    Finito di mangiare la torta, arrivò il momento di scartare i regali. Sebbene avesse detto a tutti di non volere nulla, ciascuno di loro le aveva fatto un pensiero. Cominciò da Sonoko, la quale le aveva regalato un bellissimo vestito di marca all’ultima moda (cosa che ci si doveva aspettare da una ricca ereditiera), poi passò a Ran, che invece aveva optato per una bellissima collana con un ciondolo a forma di piuma, simboleggiante la libertà. Un regalo sensibile da parte di una persona che lo era fin troppo. Ringraziò entrambe di cuore per quei pensieri così azzeccati che avevano avuto. Arrivò il turno di Shinichi, il quale aveva portato solo una busta. All’inizio pensò che l’avesse presa in parola sulla storia del non farle regali e che dunque le avesse scritto solamente un biglietto di auguri, ma poi all’interno vi trovò dei biglietti per degli ottimi posti alla prossima partita dei Big Osaka, che lasciarono perplessi quelli che non la conoscevano.

    - Ma come, sei di Tokyo e tifi per i Big Osaka?- chiese Sonoko.
    - Sì, ma solo perché ha una cotta per Ryusuke Higo- confessò Shinichi, prima che lei potesse rispondere.

    Bell’amico, davvero. Doveva lasciarlo nei panni di un moccioso, era questo che meritava. S’imbronciò, guardandolo storto e arrossendo per l’imbarazzo.

    - Chi è questo Ryusuke Higo?- chiese Jodie curiosa.
    - Un giocatore di calcio della squadra dei Big Osaka- spiegò Shinichi.
    - Oh, ma si sa che quelli non sono seri! Cambiano la ragazza tutte le settimane! Preferisco i giocatori di basket, alti e con le spalle larghe- scosse una mano l’agente.

    Perfetto, ora ci si metteva anche la sua amica a dare man forte a quel detective da quattro soldi! Lanciò un’occhiataccia anche a lei, mentre tutti gli altri se la ridevano allegramente per le sue parole.

    - Non ha mica detto che ci si deve sposare, è solo un’infatuazione da idolo. Più o meno come quella che tu hai per il nostro giovane detective- intervenne Akai in sua difesa, lasciandola non poco sorpresa del fatto che avesse preso le sue parti canzonando la collega.

    Dopo vari bronci e imbarazzi, venne il turno di scartare il regalo di Masumi: un libro di chimica e una cornice con una foto che si erano fatti tutti insieme durante una delle loro uscite. Apprezzò in particolare quest’ultima, prendendola come una conferma del fatto che al di là dell’aspetto fisico Masumi era molto più sensibile di suo fratello maggiore. Ringraziò anche lei con un sorriso, rendendola felice.
    Era rimasto solo il regalo di Jodie da scartare, quello più grande di tutti, ma prima che potesse prenderlo Akai la fermò.

    - Potresti aspettare un momento prima di aprire il regalo di Jodie? C’è ne prima un altro- disse, con quel suo sorriso enigmatico.

    Per un attimo non seppe cosa rispondere né cosa aspettarsi, le sembrava quasi impensabile che quell’uomo potesse averle fatto un regalo. Cercò Jodie con lo sguardo come a volerle chiedere una conferma; l’amica le sorrise e annuì, facendole capire che sapeva e che non c’era nulla di cui dovesse preoccuparsi. Akai si allontanò nella stessa direzione che aveva preso qualche ora prima con il Dottore, sparendo in un altro lato della casa e lasciando tutti con la curiosità di sapere, in un vociferare generale. Rifletté meglio su qualcosa che era sempre stato davanti ai suoi occhi ma al quale aveva dato poca importanza: solo in quel momento realizzò che mentre tutti erano intenti a giocare, Agasa si era allontanato spesso in quella direzione, tornando poco dopo. Non sapeva di cosa si trattasse nello specifico ma almeno aveva avuto la conferma che quella dell’invenzione era solo una scusa.
    Il cupo agente dell’FBI tornò pochi minuti dopo reggendo un pacco delle stesse dimensioni di quello di Jodie. Probabilmente avevano comprato i rispettivi regali nello stesso luogo, magari insieme. Una bella notizia. Posò il cartone di fronte a lei e le augurò buon compleanno sorridendo in modo enigmatico. Aveva un po’ di paura nell’aprirlo, vista l’espressione sul volto di lui. Fissò meglio il pacco e si accorse che era già stato tagliato e aperto nella parte superiore, ma il tutto era mascherato dal fatto che fosse stato rivestito con della carta da regalo colorata. Aggrottò la fronte, trovandolo strano e di poco gusto: nessuno avrebbe voluto ricevere per il proprio compleanno un regalo che era già stato aperto. Decisa a scoprire cosa contenesse, aprì entrambe le alette guardando dentro: subito sbucò fuori una tenera testolina ricoperta di pelo, accompagnata da un paio di zampine che si reggevano al bordo del cartone e una coda che aveva preso a muoversi velocemente non appena il suo sguardo si era posato su di lui. Lui, un bellissimo cucciolo di qualche mese. Sgranò gli occhi e aprì la bocca, senza però riuscire a dire nulla. Non respirava nemmeno tanto era rapita e sorpresa. Tutto si sarebbe aspettata meno che di ricevere quello che da tanto desiderava e per di più dalla persona che meno le andava a genio fra tutti i presenti.

    - Che carino! È un bellissimo regalo!- esclamò Ayumi, avvicinandosi per vederlo meglio.

    Tutti sorridevano inteneriti e cercavano di guardare da vicino quel piccolo batuffolo che aveva gioia in abbondanza da regalare a chiunque.
    Alzò lo sguardo incrociandolo con quello di Akai e per la prima volta non vi erano riflessi né timore né rabbia, solo gratitudine, felicità e tanto stupore.

    - Grazie!- gli disse semplicemente, ma con sincerità e un dolce sorriso sulle labbra.

    Non se ne accorse presa com’era dal momento, ma poco lontano da loro Jodie guardava la scena e provava forse anche più felicità di quanta non ne stesse provando lei.
    Prese finalmente in braccio il suo nuovo amico a quattro zampe, riempiendolo di coccole. I bambini, più curiosi ed eccitati di tutti, si avvicinarono a lei chiedendole di poterlo accarezzare. Glielo concesse, ricordandosi di quando anche lei era una bambina insieme a loro e amava coccolare gli animali. Le sembrava di essere tornata indietro a qualche mese prima. Anche Shinichi, Ran, Masumi e Sonoko si avvicinarono curiosi.
    Si girò per ringraziare anche il Dottor Agasa, poiché sapeva che se Akai le aveva fatto quel regalo era stato solo perché lo scienziato aveva dato il suo consenso a tenere in casa un animale. Fu allora che quest’ultimo li riportò all’attenzione.

    - So che siete tutti presi da questo piccolino, ma resta ancora un regalo da aprire. Non sarebbe carino ignorare la gentilezza della professoressa Jodie-
    - Non si preoccupi Dottore, avrà tempo di aprirlo anche più tardi!- replicò la bionda scuotendo una mano.
    - No, il Dottore ha ragione. Possiamo continuare a coccolarlo dopo- intervenne lei, che non voleva di certo sembrare scortese nei confronti dell’amica.

    Chiese ad Ayumi di tenere il cucciolo mentre lei apriva l’ultimo regalo e la bambina accettò con gioia. Quando vide che all’interno del pacco di Jodie vi erano tutti quegli accessori per la cura del cagnolino ebbe la conferma che lei e Akai erano d’accordo e era stata proprio lei a riferire ad Akai del suo desiderio di avere un cucciolo. Comprese anche il motivo per cui lo aveva fatto e le fu grata per l’ennesima volta. Invece che cercare di sistemare il suo di rapporti con lui, si preoccupava di lei. Le sorrise e la ringraziò, venendo ricambiata.

    - Ho pensato che ti servissero almeno le cose essenziali, il resto puoi andare a sceglierlo tu!- le fece l’occhiolino.
    - È tutto perfetto!-

    Mise subito il collare al cucciolo, che non si tirò indietro ma al contrario sembrò felice di indossare quel nuovo accessorio.

    - Che ne dite di andare in giardino a giocare un po’ con lui?- propose, in particolar modo ai più piccoli.
    - Sììì!!!- accettarono con gioia, correndo verso l’uscita.

    Nel giro di pochi secondi la sala si vuotò e rimasero solo il Dottor Agasa, Jodie e Shuichi, che ormai ritenevano di aver perso l’età per giocare insieme a dei ragazzini.



    ……………………..




    Sorrise mentre guardava la sua giovane amica allontanarsi felice con in braccio quel regalo che tanto aveva desiderato. Pensò tra sé e sé che in fondo un po’ era anche merito suo, così come lo era l’averla finalmente (forse) avvicinata a Shuichi un po’ di più. I suoi sacrifici erano valsi a qualcosa.

    - Beh, direi che è andato tutto per il meglio, no?- disse, rivolgendosi agli altri due.
    - Speriamo bene, sono un po’ preoccupato- ammise il Dottore, togliendosi gli occhiali e pulendo le lenti con un fazzolettino.
    - Non deve, come vede Shiho si sta già prendendo cura del piccolo. È una ragazza responsabile- lo rassicurò Akai, mentre si apprestava a rimettere nel frigo la poca torta avanzata.

    Lei lo aiutò, raccogliendo tutti i piatti e le posate per poi caricarli nella lavastoviglie. Non aveva più parlato con lui dalla sera scorsa, al lavoro si erano visti a malapena. Nonostante ciò non provava rancore né dolore nei suoi confronti, si sentiva stranamente più serena nonostante tutto. Forse avevano davvero bisogno di un chiarimento, fingere che le cose andassero bene era stato uno sbaglio fin dall’inizio. Sperò che anche lui la pensasse così.

    - Non andate fuori anche voi? Ci penso io a riordinare- li interruppe lo scienziato.
    - Lasciamo che i ragazzi si divertano un po’ da soli, noi siamo un po’ vecchi! E poi lei è già stato così gentile a mettere a disposizione la casa, non mi sembra giusto farle pulire tutto da solo!- gli sorrise.
    - Eh va bene, la ringrazio professoressa Jodie. Allora vado a controllare che non distruggano il giardino!- si congedò da loro, lasciandoli soli.

    Finalmente avrebbero avuto di nuovo occasione di rivolgersi la parola e stabilire così se fosse davvero possibile ricucire un rapporto fra loro, senza più vecchi rancori o parole non dette.

    - Sei felice?- gli chiese all’improvviso.
    - Eh? A cosa ti riferisci?- replicò lui, colto alla sprovvista.
    - Beh, mi sembra che Shiho abbia apprezzato il tuo regalo più di tutti gli altri. Ho visto come ti ha sorriso e non mi sembra che lo abbia mai fatto fino ad ora. Credo che tu abbia guadagnato parecchi punti- spiegò.
    - Lo spero, ma credo che la strada sia ancora lunga. Appena farò qualcosa che non le andrà a genio mi odierà di nuovo- sorrise lui, consapevole che probabilmente non era così facile conquistarla, se non ci era ancora riuscito dopo tutto quel tempo.
    - E tu non comportarti male!- ribatté lei.
    - Difficile, dal momento che ciò che la rende più suscettibile è il rapporto che ho con te-

    Rimase in silenzio, non sapendo cosa dire. Aveva ragione, se non le avesse detto quello che provava per lui forse Shiho si sarebbe sentita meno coinvolta e non avrebbe cercato di prendere le sue parti andando ogni volta contro di lui. Tuttavia non lo aveva fatto con malizia, non voleva certo essere lei l’angelo salvatore e far passare lui per il diavolo. Questo ormai doveva averlo capito anche lui, dal momento che non vi era rimprovero né fastidio nel suo tono, ma il tutto era una semplice constatazione.

    - Mi spiace che lei se la prenda con te a causa mia, le ho detto più di una volta che non deve prendersela per le cose che riguardano me ma non mi dà retta- disse infine, facendo partire la lavastoviglie.
    - Non è colpa tua, sei riuscita a farti ben volere più di quanto non abbia fatto io. Ma alla fine è comprensibile, chiunque preferirebbe la tua compagnia alla mia- ammise.
    - Questo non è vero. Insomma, non sei proprio l’anima delle feste e lo abbiamo appurato però… quando non sei in una delle tue giornate no è piacevole passare del tempo con te- si morse il labbro nel pronunciare quelle ultime parole, timorosa di aver detto qualcosa di sconveniente.
    - Certo che hai dei gusti strani- fu la risposta ironica di lui - Ad ogni modo grazie per avermi consigliato di prenderle un cagnolino, ti devo un favore-
    - Non mi devi nulla, avevo combinato un casino e ho voluto rimediare. Siamo pari adesso-
    - In realtà ho combinato molti più casini io, ho parecchie cose da farmi perdonare-

    Comprese immediatamente che si stava riferendo al fatto di averla lasciata così su due piedi e a tutto quello che si erano detti. Lo sentiva sinceramente pentito, poteva leggerne il senso di colpa negli occhi. Aveva sbagliato a pensare che non gliene fosse mai importato nulla di lei e di ciò che provava, lo capiva solo adesso.

    - Non c’è nulla che ti debba perdonare. Va bene così, davvero- gli sorrise sinceramente, andando a portare il resto degli avanzi in frigo.




    …………………….




    Non c’era nulla che doveva farsi perdonare, gli aveva detto lei. Eppure lui sapeva, sapeva che vi erano cose sulle quali in realtà non lo aveva mai davvero perdonato del tutto. Si chiese se un giorno avrebbe potuto rimediare ai suoi errori, per vedere di nuovo Jodie sorridergli spensieratamente  come aveva fatto Shiho poco prima. Ripensò proprio a quest’ultima, a come l’aveva resa felice e dopo tanto tempo si sentì un po’ felice anche lui. Era quello che aveva sempre voluto da quando aveva fatto quella promessa ad Akemi. Si chiese se davvero fosse riuscito a mantenervi fede al meglio, se avesse fatto tutto il possibile per prendersi cura di lei.
    Venne distratto dai suoi pensieri quando udì le voci dei ragazzi e dei bambini che erano rientrati. Shiho lasciò libero il cucciolo, che subito cominciò a gironzolare e annusare per conoscere la sua nuova casa. Jodie però, che ancora non aveva avuto occasione di strapazzarlo, lo prese nuovamente in braccio e cominciò a coccolarlo e a fargli un sacco di complimenti.

    - Non so se piaccia più a te o alla destinataria- si avvicinò a lei sorridendo.
    - Solo a un pazzo non piacerebbe, guarda che musetto!- replicò, avvicinando il cagnolino a pochi centimetri dal suo volto.

    Il piccolo lo guardò nello stesso modo curioso in cui lo aveva fatto al negozio la prima volta, scodinzolando. E lui, proprio come allora, restò a fissarlo senza muovere un dito.

    - Su, fagli una carezza! Non vedi come ti guarda?- lo esortò Jodie.
    - Fuori abbiamo fatto delle foto tutti insieme con il cucciolo, mancate solo voi- li interruppe Shiho, che probabilmente aveva colto l’occasione data l’atmosfera che si era creata.

    Gli venne da sorridere per quanto potesse essere quasi subdola alle volte. Cercava in tutti i modi possibili di avvicinare lui e Jodie, di spingerlo a fare la corte alla sua collega. Più che infastidirlo, doveva ammettere che questa cosa lo divertiva.

    - Beh, allora venite qui e facciamone una tutti insieme- propose Jodie
    - Vi spiace se prima ve ne faccio una da soli?- chiese, facendo sorridere lui e imbarazzare l’amica.

    Notò che il suo amico detective stava scuotendo la testa, mentre la sua sorellina e Sonoko ridacchiavano sotto i baffi. Evidentemente non era il solo a trovare buffa quella situazione.
    Senza dire nulla, di avvicinò di più a Jodie, come per dare un tacito consenso a scattare quella foto ricordo. La bionda, colta alla sprovvista, si voltò a guardarlo con quegli occhi azzurri pieni di quell’amore che lui, stupidamente, si ostinava a non voler ricambiare.

    - Jodie… per fare la foto devi guardare me, non lui- la richiamò Shiho.

    La collega arrossì visibilmente, colta sul fatto, per poi cercare di fingere indifferenza sorridendo e piegando la testa da un lato, stringendo a sé il cucciolo. Finalmente Shiho scattò quella tanto desiderata foto.

    - Anche io voglio una foto col fratello di Sera-chan!- si fece avanti Sonoko, che aveva evidentemente un debole per lui.
    - Ma insomma Sonoko!- la riprese Ran, incrociando le braccia al petto.
    - Non mi capiterà mai più di fare una foto con un vero agente dell’FBI!- si difese lei, anche se la scusa non reggeva.
    - Anche la professoressa Jodie è un agente dell’FBI, quindi la foto la puoi fare anche con lei- sottolineò la mora.
    - Non c’è nessun problema se vuol fare una foto- intervenne lui, divertito.
    - Grazie!- scattò entusiasta la giovane ereditiera, posizionandosi al suo fianco.

    Dopo quella anche Masumi chiese di poter avere una foto con lui, così l’avrebbe mostrata alla madre.

    - Perché non ne fai una coi primi della classe?- esordì Jodie, riferendosi a lui e Shinichi.

    Fecero dunque anche quella e molte altre a seguire, compresa una tutti insieme con anche il Dottor Agasa. Smisero solo quando il cucciolo, visibilmente stanco, si addormentò in braccio a Jodie e Shiho lo adagiò nella cuccia che la bionda le aveva appena regalato.
    In seguito si divisero in tre diversi gruppi, ciascuno dei quali si dedicava ad un’attività: Shiho, Sonoko e Jodie si misero a guardare vestiti su un catalogo, poiché la festeggiata desiderava sapere il parere di Jodie su alcuni abiti; Ran teneva impegnati i più piccoli giocando con loro ad un gioco di società, mentre lui, Masumi e Shinichi si erano messi in disparte a parlare con il Dottor Agasa.

    - Shu-nii, a te piace Jodie? È molto bella e anche simpatica- se ne uscì all’improvviso la sua sorellina.
    - E tu sei molto curiosa- le rispose semplicemente.
    - Tu a lei piaci molto, si vede!- insistette, come se fosse d’accordo con Shiho.
    - Non sarebbe ora di smetterla?- la interruppe Shinichi, qusi scocciato - È tutto il pomeriggio che li istigate, se anche ci fosse qualcosa sarebbero affari loro. Se qualcuno di nostra conoscenza la smettesse di giocare a Cupido… - lanciò una rapida occhiata a Shiho, storcendo la bocca.
    - Tranquillo, non lo fa con cattive intenzioni- prese le parti della ragazza.
    - Lo so, però non lo trova seccante?-
    - Sarebbe seccante se volesse affibbiarmi una donna sgradevole sia nell’aspetto che nel carattere, ma Jodie è molto bella e anche simpatica- ripeté le parole della sorella, guardandola mentre lo faceva.
    - Allora ti piace!- sorrise entusiasta lei, prendendolo come una conferma.

    Nuovamente non le rispose, si limitò a darle le spalle per non farle vedere il sorrisetto che si era dipinto sulle sue labbra. Forse quei giovani detective erano più in gamba di lui.




    Un’ora dopo la festa era giunta ormai al termine, lentamente tutti ritornarono a casa dopo aver ringraziato e fatto di nuovo gli auguri alla festeggiata. Mancavano solo lui e Jodie, che avevano finito di riordinare le restanti cose che avevano tralasciato prima.
     

    - Bene, allora andiamo anche noi- disse Jodie, prendendo la sua giacca dall’attaccapanni nell’ingresso.
    - Grazie di essere venuti- sorrise loro Shiho, in particolar modo a lui, proprio come aveva fatto non appena scartato il suo regalo.

    Non disse nulla, si limitò a ricambiare nonostante avrebbe voluto essere in grado di dire tante cose. Uscirono dalla casa del Dottore camminando fianco a fianco, diretti alla macchina. Fu allora che Jodie gli ripeté la stessa domanda di poco prima.

    - Sei felice, non è vero?-

    Certamente doveva aver notato anche lei il sorriso di Shiho e soprattutto doveva avergli letto dentro come sapeva fare solo lei, comprendendo quali fossero le parole che non era riuscito a dire.

    - Non sono sicuro di come ci si senta ad essere felici, però posso affermare con certezza di sentirmi bene come non mi sentivo da un po’- ammise.

    A volte sentiva che a quella donna poteva confessare tutto, perché lei non avrebbe mai usato le sue debolezze per ferirlo. Lei voleva proteggere quel cuore che altri avevano spezzato.

    - Bene, è un segnale che le cose stanno andando per il verso giusto, no?- gli sorrise.
    - Forse hai ragione tu-




    …………………………




    Sorrise, riponendo anche quel biglietto di auguri nella sua busta e lo appoggiò insieme agli altri sul comodino nella fila di quelli già letti. Di fianco a lei il Dottore dormiva già, così come il cucciolo la cui cuccia era stata messa di fianco a lei, perché potesse assisterlo nel caso avesse avuto bisogno di uscire durante la notte. Lei aveva deciso di leggere i biglietti che accompagnavano i regali e che non aveva avuto tempo di leggere durante la festa (o meglio, aveva scelto di non farlo perché preferiva essere la sola a leggere ciascuna di quelle dediche personali).
    Prese uno degli ultimi due biglietti che le erano rimasti e lo riconobbe subito: era quello di Akai. Si stupì che uno di poche parole come lui fosse riuscito addirittura a scriverle un biglietto di auguri, probabilmente si era limitato a riempire lo spazio con un “Buon Compleanno”. Invece, con sua grande sorpresa, vi trovò scritte poche parole in lingua inglese, ma dall’intenso significato.

    “I hope you live a life you’re proud of. If you find you’re not, I hope you have the strength to start all over again”

    - Francis Scott Fitzgerald-

    Solo qualcuno che poteva comprendere quale fosse stata la sua situazione fino a quel momento avrebbe potuto dedicarle tali parole. Doveva ammettere che rivalutare il suo pensiero su Akai non era stata una cattiva idea, forse era davvero l’uomo che Jodie le aveva sempre descritto. Sorrise, accettando il fatto che quell’uomo le voleva davvero bene, non solo perché glielo aveva chiesto sua sorella.
    Senza pensarci due volte, prese il cellulare e cercò il numero di Akai in rubrica, inviandogli un breve messaggio di risposta. Scrisse semplicemente “You too”, allegandovi la foto scattata poche ore prima che ritraeva lui e Jodie col cucciolo. Era certa che avrebbe capito.




    …………………….




    Si era appena coricato, pronto per leggere qualche pagina di un libro prima di dormire, quando il cellulare squillò sul comodino. A quell’ora le uniche persone che potevano contattarlo erano i suoi colleghi dell’FBI, perciò sperò che non fosse successo nulla. Con sua grande sorpresa, invece, trovò un messaggio di Shiho. Sorrise, immaginando che volesse ringraziarlo di nuovo, ma capì che non era così quando vide che il titolo della mail era “Fitzgerald”. Di certo si stava riferendo a quello che le aveva scritto nel biglietto, anche se non riusciva a immaginare cosa volesse. Forse non le era piaciuto e voleva rimproverarlo per non avergli scritto un normale biglietto di auguri. Divertito dall’idea, aprì il messaggio e vi trovò scritte solo due parole: “You too”, accompagnate dalla foto che aveva fatto con Jodie alla festa. Non vi fu bisogno di chiedere ulteriori spiegazioni, tutto era limpido e cristallino. Le aveva dato quel consiglio, ma in realtà doveva essere lui il primo a riuscire ad applicarlo. Più che scriverlo a lei era come se l’avesse indirizzato a se stesso.
    Osservò per qualche istante quella foto, concentrandosi su come entrambi sorridevano e per un attimo gli sembrò che fosse stata scattata sei anni fa. Doveva averne una simile nel suo appartamento a New York, dentro qualche scatola che aveva rinchiuso in qualche cassetto insieme a tutto ciò che riguardava il suo passato e che non voleva riportare a galla. Doveva avercela messa quando si era infiltrato, per cercare di dimenticare quello che non poteva più essere, ma alla fine l’aveva dimenticata sul serio. Si ripromise di trovarla, non appena sarebbe tornato. I meandri di un cassetto non erano il posto adatto per lei.
    Sorridendo, salvò anche quella nuova foto, ritratto di un futuro che era appena cominciato.




    ANGOLO DELL’AUTORE

    E anche questo capitolo si è concluso! È venuto più lungo di quello che mi aspettassi e ho anche dovuto alternare spesso i punti di vista, dal momento che c’erano ben tre persone che contemporaneamente stavano avendo dei pensieri su un’unica situazione. Spero di non aver creato troppa confusione in questo e si capisca chi pensa e dice cosa! In tutta onestà non sono soddisfatta di questo capitolo ma ammetto di averlo scritto con la testa un po’ fra le nuvole perché in queste settimane ho la testa altrove, quindi chiedo venia se ho deluso le vostre aspettative. Non credo servano particolari spiegazioni ma nel caso qualcosa non fosse chiaro, come sempre sono a vostra disposizione per domande e chiarimenti!
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    Capitolo 18: Goodbye, Japan


    Si soffermò anche su quell’ultima foto, che li ritraeva tutti insieme sorridenti e spensierati, come avrebbero dovuto vivere da ora in avanti; poi richiuse l’album, passando delicatamente un dito sopra la copertina. Lo aveva fatto fare appositamente, per custodire per sempre il ricordo di quel compleanno speciale. Era ormai trascorsa più di una settimana dalla festa, eppure erano cambiate così tante cose che sembrava fossero passati anni. Ormai gli screzi con Akai sembravano solo un’eco lontano, non c’erano più stati litigi né frecciatine, tanto che si era recata con più frequenza a casa Kudo, portando con sé anche il suo nuovo amico che aveva chiamato Mendel, in onore del padre della genetica (nome che aveva lasciato perplessi tutti). Tuttavia non le era ancora chiaro cose fosse successo di preciso fra lui e Jodie, poiché l’amica aveva continuato ad eludere le sue domande. Si chiese se Akai avesse veramente capito il senso del messaggio che gli aveva inviato la sera del compleanno o se semplicemente lo avesse ignorato.
    Le tornò in mente una conversazione che aveva avuto proprio con Jodie qualche giorno prima, nella quale l’amica le aveva comunicato che ormai tutto era pronto e l’FBI avrebbe lasciato il Giappone fra quattro giorni. Non l’aveva presa bene, anche se adesso aveva dei nuovi amici non si sentiva pronta a separarsi da quella che era diventata la migliore di tutti. Jodie a volte la faceva sentire come se fosse tornata indietro a quando Akemi le dava consigli da sorella maggiore: rinunciare a quella sensazione ritrovata era un boccone troppo grosso da mandare giù in una volta sola.
    Mentre era assorta in questi pensieri, le venne un’idea improvvisa. Istintivamente, prese il cellulare e cercò fra le ultime chiamate il numero di Akai.

    - Ma che sorpresa, a cosa devo questa telefonata?- rispose dopo pochi secondi la voce dell’uomo all’altro capo.
    - Volevo sapere se hai impegni per l’ultima sera che l’FBI passerà qui in Giappone. Pensavo di uscire noi quattro, io te Shinichi e Jodie, visto che poi non ci vedremo per parecchio tempo- spiegò.
    - Beh, l’ultima sera immagino che avremmo parecchie cose da impacchettare e le valigie da finire. Forse sarebbe meglio farlo dopodomani, sempre che non sia un problema-
    - No, affatto, ho preferito chiedere proprio per questo. Avverti tu Jodie?-
    - Pensavo che l’avessi chiamata prima di telefonare a me- rispose sorpreso.

    In effetti non aveva tutti i torti, fino a quel momento lei si era sempre rivolta prima a Jodie che a lui, per qualsiasi cosa. Invece adesso si era ritrovata a telefonargli senza quasi rendersene conto, lasciando l’amica al secondo posto.

    - Non avrebbe avuto senso, visto che lavorate insieme potete passarvi la parola- trovò una scusa plausibile.
    - E perché non hai chiamato lei in modo che poi lo dicesse a me?- rigirò la domanda, trovando quasi piacere nel metterla in difficoltà con quell’interrogatorio.
    - Ti scoccia così tanto se ti faccio una telefonata?!- tagliò corto, non sapendo più cosa dire, con un tono di voce quasi irritato.
    - No, al contrario. È solo che sono sorpreso, tutto qui- ammise.
    - Bene, allora diglielo tu. Dille che andremo a cena nel posto dove siamo andate io e le la prima volta che siamo uscite, poi ci penserà lei a spiegarti bene dove si trova-
    - D’accordo principessa, come vuole lei- ironizzò, divertito dal suo modo autoritario di dare ordini anche a chi era più in alto di lei.
    - Bene, allora ci sentiamo presto- riattaccò.

    Soddisfatta e un po’ meno triste all’idea di quella serata che avrebbero trascorso insieme, tornò a sfogliare l’album fotografico dall’inizio, pregustando altri momenti come quelli immortalati.



    …………………………



    - Mi mancherà questo posto, è piccolo ma accogliente, ci si pranza volentieri- commentò la sua collega.
    - Ci sei venuta spesso?-
    - Beh, essendo così poco lontano dalla sede dell’FBI era comodo venire qui per la pausa pranzo- spiegò.

    Aveva deciso di invitare Jodie fuori a pranzo, per parlare della telefonata ricevuta da Shiho poche ore prima. Tuttavia non le aveva accennato nulla, si era limitato a dirle semplicemente “Dovrei parlarti di una cosa”, pur sapendo che questo suo essere vago avrebbe portato l’amica ad essere molto nervosa, specie e considerata la situazione attuale fra loro. Infatti, come previsto, Jodie appariva visibilmente agitata, continuava a tormentarsi le mani nell’attesa che il cameriere portasse loro ciò che avevano ordinato e se ne usciva con commenti come quello appena fatto (su argomenti come l’ambiente o il clima) nel tentativo di instaurare una conversazione che spazzasse via l’imbarazzo e la tensione. Forse temeva che sarebbero tornati sull’argomento della loro ultima discussione, perciò era meglio non farla penare più di quanto non avesse già fatto.

    - Shiho mi ha chiamato poche ore fa chiedendo se siamo liberi dopodomani. Vorrebbe uscire a cena con noi due e il giovane detective per l’ultima volta prima della nostra partenza- le disse finalmente.
    - Davvero Shiho ti ha telefonato per chiederti questo?- sembrò sorpresa lei, forse anche più di quanto non lo fosse stato lui al momento.
    - Perché, sei gelosa?- la stuzzicò - Non hai più il primato di migliore amica?-
    - Ma che dici, non sono affatto gelosa!- scosse la testa - Al contrario, mi fa davvero piacere. Le cose fra voi sono migliorate davvero così tanto dopo la festa?-
    - Sì e di questo devo ringraziarti, se non fosse stato per il tuo aiuto e l’idea del cucciolo, a quest’ora saremmo ancora al punto di partenza- ammise.
    - Ti ho già detto che non mi devi ringraziare, l’ho fatto con piacere perché sapevo quanto ci tenessi- gli sorrise sinceramente.

    Fu proprio quel sorriso che gli riportò alla mente il messaggio inviatogli da Shiho, che poi non era altro che una risposta al suo biglietto di auguri. Aveva capito perfettamente cosa intendesse dirgli la ragazza con quel “You too”: ricomincia tutto da capo con Jodie. Sembrava facile a parole, ma la realtà era molto diversa. Una parte di lui avrebbe voluto legarla a sé prima che qualcun altro potesse portargliela via, ma l’altra, quella più oscura, lo spingeva a continuare il suo viaggio solitario nei tristi ricordi e nei sensi di colpa. A volte si sentiva come se non meritasse di avere una seconda possibilità, tantomeno con una donna come Jodie. Era come inserire una perla rara in una collana fatta di corda lesa dall’usura. La perla si meritava di meglio. La testa lo spingeva a lei, il cuore lo allontanava. Non sapeva ancora chi avrebbe vinto quella battaglia, ma di certo sapeva che in quel momento non si sentiva pronto a mettere fine allo scontro.


    ………………………


    Uscì dal cancello della casa del Dottore e si diresse vero quella di Shinichi, trovando l’amico e Akai fuori dal cancello ad attendere lei e Jodie. Erano uomini, quindi impazienti per natura.
    Si era messa per l’occasione il vestito che Sonoko le aveva regalato, un abito nero con l’allacciatura dietro il collo che ricadeva morbido sui fianchi e arrivava sopra il ginocchio. Le piaceva molto e, modestie a parte, trovava che le stesse molto bene. Aveva completato l’outfit con un velo di trucco non troppo pesante e scarpe con il tacco.

    - Guarda come si è fatta bella la nostra principessa- commentò Akai sorridendo quando la vide arrivare.

    Sorrise anche lei, capendo che il suo voleva essere un complimento ma che come ogni parola carina che usciva dalla sua bocca sembrava più una presa in giro.
    - Grazie- rispose semplicemente lei, facendogli capire di aver compreso il suo intento.
    - E il piccolo dov’è?- le chiese, riferendosi al cucciolo.
    - Mendel è rimasto in casa con il Dottore, purtroppo nel locale dove andremo non è permesso far entrare animali-
    - Ma come si fa a chiamare un cane Mendel?!- scosse la testa Shinichi, che ogni volta che sentiva quel nome non poteva fare a meno di commentare.
    - Guarda che è il nome di una persona importante per la storia della scienza!- sottolineò.

    Avrebbero potuto continuare quel divertente battibecco ancora per un po’, ma l’arrivo di una scintillante Mustang rossa li interruppe. Parcheggiò proprio davanti al cancello di casa Kudo, anche se in ogni caso avrebbe dovuto sostare lì per poco. Udirono il suono della portiera del lato passeggeri che si apriva, ma videro soltanto una testa di capelli biondi sbucare da sopra il tettuccio, che tuttavia sapevano perfettamente a chi appartenesse. Pochi secondi dopo Jodie si mostrò in tutta la sua bellezza: indossava un tubino rosso con un vistoso scollo sul retro che metteva in mostra gran parte della schiena. Portava quell’abito alla perfezione, anche grazie al suo fisico invidiabile. Ora non le sembrava più che l’abito di Sonoko le stesse poi così bene. La bellissima agente li salutò con uno dei suoi splendidi sorrisi, passando lo sguardo su ognuno di loro, i quali erano rimasti a fissarla.

    - Ecco, ora sembrerò una stracciona a confronto!- commentò lei, storcendo la bocca.
    - Ma cosa dici, sei bellissima invece!- replicò l’amica, ammirando il suo vestito e passandole una mano sul braccio in un gesto amichevole e confortante.
    - Certo, lo ero prima che arrivassi tu con le tue gambe lunghe e le tue curve!- le fece notare.
    - Ma dobbiamo andare a cena in un ristorante esclusivo? In tal caso credo che sia io che il nostro abile detective abbiamo sbagliato a vestirci- le interruppe Akai, guardando prima se stesso e poi l’amico al suo fianco, vestiti con abiti casual.

    Probabilmente attendeva che anche il giovane detective esprimesse il suo parere appoggiandolo, ma la cosa non avvenne: Shinichi infatti era ancora intento a fissare Jodie tutto rosso in volto, sembrava un po’ un ebete a guardarlo bene.

    - Mi sa che hai fatto colpo Jodie. Di’ la verità: l’hai fatto di proposito per incantare il nostro Sherlock Holmes?- sorrise Akai, divertito.
    - Ma cosa dici?! Non sono attratta dai ragazzini, senza offesa Cool Guy!-
    - S-si figuri!- riuscì a balbettare lui.
    - Ma non è ora di smetterla di darmi del lei?- lo rimbeccò senza cattiveria, dandogli un buffetto sul naso con l’indice.
    - Tu piuttosto, non le dici nulla? È bellissima, dovresti farle i complimenti- intervenne lei, rivolta ad Akai, che non aveva espresso nessun parere in merito.
    - Oh, ma non serve, davvero!- scosse le mani Jodie, imbarazzata.
    - Mi sembra che lo abbia capito anche da sola visto tutti gli elogi- fu la sua risposta.

    Gli lanciò un’occhiataccia, alla quale rispose con un sorrisetto ironico: era testardo come un mulo e non c’era verso di fargli fare una cosa se non voleva. Certo che però poteva anche sprecarle due parole carine nei confronti di quella donna che forse voleva riceverle più che da due ragazzini adolescenti.

    - Insomma, vogliamo passare tutta la sera a parlare di me oppure andiamo a cena? Io ho fame!- cercò di uscire da quella situazione la bionda.
    - Sì, direi che possiamo andare- la appoggiò, salendo sul sedile posteriore della vettura insieme a Shinichi.

    Doveva ammettere che quell’auto era anche più bella della Mercedes di James. Di certo l’FBI si trattava bene in fatto di automobili.
    Jodie fece il giro per tornare al posto di guida, ma venne prontamente affiancata da Akai che la precedette, aprendo la portiera.

    - Guido io- disse senza troppi complimenti.
    - Perché? Pensi ancora che non sappia guidare?- chiese lei scocciata, storcendo il naso e aggrottando la fronte.
    - A parte quello, ho voglia di fare un giro su questa macchina- le sorrise.

    Sbuffando e brontolando a bassa voce, Jodie tornò al lato passeggeri e salì allacciandosi la cintura. Akai mise in moto e partì, seguendo le indicazioni stradali che la collega gli forniva passo a passo.
    Nel contempo, sul sedile posteriore, lei e Shinichi avevano iniziato a confabulare sottovoce, in modo che la voce di Jodie coprisse le loro parole.

    - Stai ancora cercando di fare da cupido fra loro?- le chiese contrariato l’amico.
    - È forse un problema? Non dirmi che hai perso la testa per Jodie e sei geloso! Ran lo sa?- fece dell’ironia.
    - Non dire scemenze, è solo che non dovresti intrometterti!-
    - Nemmeno tu!-

    Dovevano aver alzato un po’ troppo i toni, poiché la bionda si girò a guardarli e anche Akai sbirciò dallo specchietto retrovisore.

    - È tutto ok lì dietro? Di cosa spettegolate?- chiese loro curiosa.
    - Niente!- risposero prontamente in coro, gesto che lasciò Jodie ancora più perplessa.

    Tuttavia non fecero altre domande e loro terminarono lì quella discussione, non era il caso di farla dentro una macchina chiusa con i diretti interessati.
    Una ventina di minuti dopo giunsero al piccolo ristorante, che Shinichi riconobbe subito. Entrarono e presero posto al bancone con il rullo.

    - Era da un po’ che non andavo a mangiare in un posto come questo- commentò Akai, guardandosi intorno.
    - Perché eri troppo occupato a preparare stufati crudi e a portarli a casa del Dottore?- chiese sarcastica lei, anche se a differenza delle precedenti volte non vi era troppa cattiveria nel suo tono.

    Jodie e Shinichi ridacchiarono a quella battuta e persino Akai sembrò prenderla bene, replicando con un “Sono davvero così cattivi i miei stufati?”.
    Non appena il rullo fu ben fornito con diversi piatti appena preparati, cominciarono a prendere quelli che più li aggradavano.

    - Vuoi delle uova di salmone?- fece nuovamente dell’ironia, sventolando un piatto sotto il naso del suo amico, sapendo quanto fosse riluttante a quel particolare cibo.
    - Ma che spiritosa, sei diventata simpatica all’improvviso?- replicò lui, respingendo il piatto e storcendo la bocca.
    - Perché? Non ti piacciono le uova di salmone?- chiese Jodie, alla quale il giovane detective rispose scuotendo il capo.

    La cena proseguì nella più assoluta armonia, senza nessun battibecco: mangiarono e scherzarono come se fossero amici da una vita, come se tutte le tensioni fossero sparite di colpo. Era come se tutti gli avvenimenti accaduti nei giorni precedenti fossero stati cancellati dalla storia. Forse avevano raggiunto un equilibrio, tutti avevano ottenuto quello che volevano (o quasi).
    Terminata la cena, pagarono dividendo il conto e uscirono dal ristorante con la pancia piena.

    - Devo ammettere che era tutto molto buono, un’ottima scelta- si complimentò con lei Akai.
    - Merito del Dottor Agasa che ci ha fatto conoscere questo posto-
    - Avete voglia di fare altro adesso?- chiese Jodie, che come sempre era tutta pimpante e sembrava instancabile.
    - Perché non andiamo in sala giochi? Così vediamo se questi due fenomeni sono alla nostra altezza- propose lei in tono di sfida, indicando Shinichi e Akai.
    - Non sono un appassionato di videogiochi, mi spiace- declinò l’invito il detective.
    - Nemmeno io, preferisco sparare con un fucile vero piuttosto che con armi di plastica- lo appoggiò Akai.
    - Sempre a fare i primi della classe!- sbuffò la bionda.
    - Infatti, potete anche abbassarvi al livello dei comuni mortali ogni tanto!- incrociò le bracci al petto.
    - Allora che ne dite del cinema? O è troppo banale anche quello?- cercò un’alternativa l’amica.
    - Sì, il cinema va meglio della sala giochi- annuì Shinichi - Lei che ne dice Akai-san?-
    - Se va bene a voi- rispose senza entusiasmo l’uomo, che in quanto a divertimenti non era certo da interpellare.

    Giunti ad un accordo comune, s’incamminarono verso il cinema, dal momento che ce n’era uno proprio lì vicino e non avrebbe avuto senso mettere in moto la macchina per percorrere così poca strada. Si era ritrovata a camminare fianco a fianco con Akai, mentre Jodie e Shinichi li precedevano. La donna aveva messo un braccio intorno al collo al giovane (in segno amichevole) e aveva cominciato a fare domande sul perché non gli piacevano i videogiochi e se non gli sarebbe piaciuto provare una pistola, anche se finta. Dal canto suo Shinichi non sapeva come comportarsi e cosa rispondere, perciò si limitava a ridacchiare imbarazzato grattandosi la nuca. Dietro, lei e Akai si gustavano la scena ridendo silenziosamente. Ad un tratto l’agente la guardò, forse stupito di vederla sorridere e lei fece lo stesso, probabilmente per lo stesso motivo. Più lo conosceva e più si rendeva conto di quante cose avessero in comune.

    - Sembra che le cose fra voi vadano bene- disse riferendosi a Jodie, certa che lui avrebbe compreso senza bisogno di spiegazioni.
    - Perché, non dovrebbero?- replicò lui con molta naturalezza.
    - Non sono scema, mi sono accorta che negli ultimi tempi c’era parecchia tensione fra voi-
    - Non preoccuparti, non smetteremo di parlarci se è questo che temi. D’altra parte lavoriamo insieme, sarebbe impossibile-
    - Non provi davvero nulla per lei? Insomma guardala, è perfetta e per qualche strana ragione ti adora e farebbe di tutto per te. Senza offesa ma dubito che tu possa trovare un’altra donna disposta a darti quello che ti sta offrendo lei- gli fece presente senza troppi complimenti.
    - Certo che hai una bella considerazione di me- sorrise lui, per nulla offeso - In ogni caso questi sono affari miei, non credi?-
    - È la risposta che dai sempre quando non sai come uscire da una situazione scomoda?- cercò di metterlo alle strette, stanca di questo suo non voler rispondere.
    - È la risposta che do a chi vuole farsi gli affari miei- rispose, senza cattiveria nel tono tuttavia.
    - Hai ricevuto il mio messaggio la sera del compleanno?- chiese, per assicurarsi che avesse davvero capito a cosa si riferiva.
    - Sì, messaggio recepito-
    - Non direi-

    Smisero di parlare solo quando si accorsero che Jodie e Shinichi avevano smesso di parlare fra loro e camminavano con la testa leggermente girata all’indietro nel tentativo di ascoltare la loro conversazione.

    - C’è forse qualche problema?- chiese Shinichi.
    - No, no, tutto a posto!- rispose lei, che non voleva certo tirare fuori la questione così apertamente, sia per rispetto nei confronti di Jodie sia perché sapeva che l’amico non avrebbe approvato.

    Arrivati al cinema, guardarono la programmazione nella locandina, cercando di scegliere qualcosa che potesse soddisfare i gusti di tutti. Sarebbe anche stata disposta a sopportare un film d’amore se questo avesse permesso di creare un’atmosfera intima fra Jodie e Akai, ma la sua amica sembrava essere interessata ai film d’azione proprio come gli altri due. Sospirò: fare da cupido era più difficile di quanto pensasse.

    - Non c’è nessun movie con l’FBI!- si lamentò la bionda.
    - Ti ricordo che siamo in Giappone, qui non ci dedicano i film- le fece presente Akai.

    Dopo un’attenta analisi, optarono per un vecchio film che stavano ritrasmettendo, Sakebi, la cui trama intrecciava il genere poliziesco a quello horror. Inutile dire che a lei quella scelta non piaceva per niente, dal momento che detestava i film horror.

    - Non possiamo guardare qualcosa di meno pauroso?- si lamentò.
    - Hai paura dei fantasmi, Principessa?- la prese in giro Akai.
    - Shu, non è carino deriderla!- la difese Jodie - Preferisci che guardiamo qualcos’altro?-
    - No, va bene questo- si arrese, non volendo fare la figura della pappamolle, ma non mancando di lanciare un’occhiataccia ad Akai.

    Entrarono nella hall, comprarono i biglietti e andarono a prendere posto in sala: Shinichi si sedette di fianco ad Akai, probabilmente desideroso di commentare il caso insieme a lui, mentre lei si sedette nel posto dopo quello di Akai, saltandone uno.

    - Hai paura a starmi vicino?- le chiese lui.
    - Affatto, ho solo tenuto il posto per Jodie- disse lei, come se fosse ovvio, facendolo sorridere per quanto il suo reale intento fosse esplicito.

    La diretta interessata tornò pochi minuti dopo con un bicchiere di Coca Cola in mano. Quando vide che il suo posto era a fianco di quello del collega, lo guardò per un attimo e poi si sedette senza dire nulla, bevendo un sorso della sua bibita con la cannuccia.
    Passarono circa dieci minuti prima che le luci si spegnessero e il film cominciasse. Fin da subito, la sua attenzione non si concentrò sullo schermo ma bensì su ciò che accadeva di fianco a lei: sbirciava insistentemente con la coda dell’occhio cosa facessero Jodie e Akai, nella speranza di vedere le loro mani intrecciarsi o la testa di lei posarsi sulla spalla di lui. Inutile dire che nulla di tutto ciò avvenne, con suo sommo rammarico. Al contrario, quando il film giunse nella sua parte più terrificante fu lei ad aggrapparsi al braccio di Jodie, la quale cercò di tranquillizzarla mentre gli altri due ridevano di lei.

    - Vuoi scambiarti di posto con me? Magari stare vicino a due uomini ti fa sentire più sicura- le propose.
    - No- scosse la testa decisa, non volendo mandare in fumo il suo piano solo per una stupida paura.

    Arrivò finalmente la pausa del primo tempo e Jodie ne approfittò per andare in bagno, dandole così modo di poter parlare apertamente con Akai.

    - Allora, pensi di darti una mossa a fare qualcosa con lei oppure no?- lo rimproverò a bassa voce, in modo che Shinichi non potesse sentire.
    - Cosa ti aspetti che faccia?- replicò lui.
    - Quello che fanno tutti gli uomini con le proprie donne al cinema: prendile la mano oppure mettile un braccio intorno al collo! Non devo certo dirtelo io cosa devi fare, sei tu l’uomo!-
    - Ti ho già detto che questi non sono affari tuoi, signorina- le rispose sorridendo.

    Storse il naso irritata: c’erano momenti in cui davvero non lo sopportava e si pentiva di aver accettato di essere sua amica. Non fece in tempo a ribattere, poiché Jodie era tornata dal bagno; così si misero a parlare tutti insieme del film, cercando di nascondere la conversazione di poco prima.
    Anche durante tutta la seconda parte del film non accadde nulla, Akai era irremovibile sulle sue posizioni. Non riusciva a credere che Jodie non gli interessasse nemmeno un po’, doveva essere pazzo sul serio. Era come se qualcuno continuasse ad offrirgli un milione di yen ma lui costantemente li rifiutasse. Di certo c’era qualcosa sotto, qualcosa che lui non voleva dire.
    Terminato il film uscirono dal cinema e tornarono alla macchina, dirigendosi poi verso casa. Durante tutto il tragitto non ci furono grosse conversazioni, l’atmosfera di gioia sembrava essersi spenta. Questa volta, però, la causa non era un litigio o un’incomprensione, ma la consapevolezza che quello sarebbe stato forse l’ultimo momento in cui avrebbero avuto occasione di stare tutti insieme prima della partenza dell’FBI. Non ci sarebbero più state serate in compagnia. Si erano conosciuti per caso, tutti coinvolti in una terribile vicenda che li aveva segnati ma anche aiutati a crescere, ma ora non riuscivano a immaginare di non aversi l’uno con l’altro nelle proprie vite. Avevano creato un legame vero, forte, che andava al di là della collaborazione per la sconfitta di un nemico comune. Erano diventati una famiglia. La distanza, però, avrebbe reso difficile quel legame. Si chiedeva se con il tempo Jodie non si sarebbe dimenticata di lei: in fondo era solo una ragazzina e di certo aveva amiche più grandi a New York. E Akai? Avrebbe davvero potuto fare affidamento su di lui se ne avesse avuto bisogno? Come poteva aiutarla se c’era un oceano a separarli? Immaginò che anche per Shinichi fosse dura dire addio a quell’amico con il quale aveva vissuto, collaborato e pianificato finte morti e nuove identità per un anno intero.
    Giunsero davanti al cancello della casa del Dottore, dove fermarono la macchina e scesero. Si salutarono cercando di sorridere e di non pensare al poco tempo che restava, dandosi appuntamento all’aeroporto per il giorno seguente, dove si sarebbero nuovamente salutati ma davvero per l’ultima volta. Jodie l’abbracciò forte, un abbraccio che le trasmise tutto l’affetto che la donna aveva per lei. Ricambiò, mentre gli occhi le si facevano lucidi. Rimasero così per un po’, fino a quando Jodie non si staccò per andare a salutare Shinichi allo stesso modo, il quale fece lo stesso stavolta senza imbarazzo ma con il solo dispiacere di non avere più intorno quella simpatica agente dell’FBI.

    - Bene, adesso devo andare. Si è fatto tardi e domani devo lavorare- li salutò tutti.
    - E Akai-san non lo saluti?- intervenne lei, sottolineando il fatto che era l’unico che non aveva abbracciato.
    - Tanto lo vedrò domattina al lavoro, sono stanca della sua faccia!- rispose ironicamente lei, scuotendo una mano e facendo ridere tutti.

    Salì a bordo della Mustang e mise in moto, non prima di aver salutato ancora una volta con un cenno della mano. Poi partì scomparendo alla fine della strada.

    - Anche io devo andare, domani ho scuola- disse Shinichi, salutandoli con la mano e avviandosi verso casa sua.

    Sapeva che l’amico non aveva particolari problemi a fare le ore piccole e che quella era solo una scusa per lasciarla sola con Akai. Forse voleva che si salutassero senza nessuno intorno, in modo tale che se avessero toccato argomenti delicati non ci fossero state orecchie indiscrete ad ascoltare.
    Così rimasero solo loro due, in piedi l’uno di fronte all’altra, guardandosi a vicenda. Nessuno dei due era bravo con le parole o un chiacchierone, nemmeno in una situazione come quella. Fu lei a prendere l’iniziativa.

    - Sono contenta di aver conosciuto il vero Akai e non Dai Moroboshi. Non sei male in fondo-
    - Ti ringrazio-
    - Voglio che tu sappia che ti ho perdonato per la storia di Akemi, ho capito che l’amavi davvero nonostante tutto- ammise - Credo che seguirò il tuo consiglio e ti chiamerò qualche volta se avrò bisogno-

    L’uomo non rispose, si limitò a sorriderle ma in modo diverso da quello beffardo che usava di solito. Capì che era il suo modo di dirle “ne sono felice”, solo che come sempre non riusciva a farlo con le parole.

    - Però ti devi dare una mossa con Jodie, altrimenti la perderai- gli ricordò ancora, come del resto aveva fatto per tutta la sera.
    - Non mi sento ancora pronto per iniziare una relazione. Il ricordo di Akemi è ancora qui e inoltre, prima di stare con un’altra donna, devo lavorare su me stesso per non commettere gli stessi errori- confessò.

    Finalmente gli aveva dato quella risposta che tanto voleva, chiarendo ogni suo dubbio. Si stava ancora tormentando per sua sorella maggiore, quindi non poteva essere felice con Jodie. Questo le dispiaceva, sia per l’amica sia per lui.

    - Capisco il tuo punto di vista, ma ormai Akemi non c’è più e tu non dovresti fossilizzarti su questo, perché anche lei vorrebbe vederti felice e sono sicura che approverebbe Jodie. Lei può renderti davvero felice-
    - Ti prometto che ci lavorerò su, Principessa- promise.
    - Guarda che ci conto-

    Ormai era arrivato anche per loro il momento di salutarsi, tutto ciò che restava da dirsi era stato detto in quel preciso istante. Avrebbero potuto abbracciarsi come aveva fatto Jodie con lei e Shinichi, ma loro due non erano i tipi, perciò optarono per una solida stretta di mano, che suggellava la loro nuova amicizia. Fu lei a tendergli la mano per prima e lui ricambiò sorridendole. Si salutarono così, in silenzio, guardandosi negli occhi; poi lei rientrò in casa e lui si avviò verso villa Kudo.



    ………………………….



    L’aeroporto di Narita pullulava di gente che andava e veniva, tutta con le proprie valigie alla mano. Persone che si salutavano tra lacrime e abbracci, altre che si riunivano dopo tanto tempo con il sorriso sulle labbra. E poi c’erano loro, seduti su una delle tante file di sedie ad attendere di imbarcarsi per il proprio volo. La maggior parte degli agenti dell’FBI erano già partiti con i voli precedenti, compreso James che era salito sull’aereo speciale incaricato di trasportare Vermouth fino alla prigione americana. Anche lei avrebbe voluto salirci, ma alla fine aveva preferito restare per salutare ancora un’ultima volta quei due ragazzini che tanto le piacevano. Per Vermouth ci sarebbe stato tempo e con James e altri dieci uomini non c’era pericolo che fuggisse. Gli ultimi rimasti erano lei, Shuichi e Camel, i soli ad avere qualcuno da salutare. La famiglia di Akai era venuta pochi minuti prima, così aveva avuto modo di vedere anche sua madre e suo fratello, la prima una bellissima donna anche se parecchio austera (ora capiva da chi avesse preso Shuichi) e il secondo un bel ragazzo ma dall’aria un po’ trasandata, completamente diverso dal fratello maggiore. Erano rimasti per un po’, poi se n’erano andati con Masumi che era sul punto di piangere. Restavano solo due persone all’appello, le quali non tardarono ad arrivare. Non appena li scorse tra la folla, si alzò subito in piedi e andò loro incontro, seguita dagli altri due agenti. Shiho stringeva fra le braccia il piccolo Mendel.

    - Scusate, c’era traffico e abbiamo fatto tardi- disse la giovane scienziata.

    Nessuno di loro rispose, semplicemente rimasero così, in piedi gli uni di fronte agli altri, sorridendosi senza però dire nulla. Sorrisi tristi, intrisi della consapevolezza che quella era davvero l’ultima volta. Avrebbero voluto dire tante cose, troppe per quei pochi minuti, ma non riuscirono a dirne nemmeno una. Eppure andava bene così, il loro silenzio era pieno di parole.
    Nel tentativo di rompere il ghiaccio, si avvicinò maggiormente a Shiho e cominciò a fare le coccole al cucciolo, il quale si dimostrò molto felice di rivederla.

    - Hai portato anche lui?- chiese Akai, rompendo il silenzio.
    - Gli ho fatto fare un giretto-rispose lei.

    Non aggiunsero altro, poiché la voce metallica proveniente dagli altoparlanti richiamò i passeggeri all’imbarco.

    “I passeggeri del volo 707 per New York sono pregati di recarsi al gate per l’imbarco.”

    707, il loro volo. Non c’era più tempo, dovevano andare e tornare così come erano arrivati. Prima di partire per quell’avventura non avrebbe mai immaginato che il Giappone le sarebbe piaciuto a tal punto, tanto da non voler più andare via. Lei, da americana doc qual era, aveva sempre pensato che nulla potesse piacerle tanto quanto le piaceva la sua terra e le sue tradizioni: solo ora si rendeva conto di quanto sbagliasse. Ma forse non era il Giappone a piacerle, con la sua cultura così diversa o i ciliegi in fiore, bensì le persone che aveva conosciuto e che si erano guadagnate un posto speciale nel suo cuore. Il giovane detective geniale, il suo preferito e quell’incredibile scienziata che in fondo era una ragazzina come le altre. Non li avrebbe mai dimenticati, anche se non avesse più avuto occasione di rivederli. Le avevano dato ed insegnato tanto e in cuor suo sperò che anche lei avesse dato e insegnato loro qualcosa. aveva voluto fare qualcosa per Shiho ma alla fine, forse, era stata Shiho a fare qualcosa per lei.

    - Io vado, vi aspetto al gate- disse Camel, che probabilmente aveva capito essere l’unico di troppo, allontanandosi dal gruppo - È stato un piacere!- salutò con un cenno della mano sia Shinichi che Shiho, i quali ricambiarono.

    Si accorse che Shiho, da quando era arrivata, non aveva fatto altro che guardare in basso con un’espressione malinconica sul volto; decise così di lasciar perdere il cucciolo per un momento e la abbracciò senza preavviso, stringendola forte. La ragazza ricambiò, per poi asciugarsi con un gesto di stizza una lacrima che non voleva far vedere agli altri due, orgogliosa fino alla fine.

    - Oh, no, non piangere! Possiamo vederci con la webcam e puoi telefonarmi quando vuoi, ok?- le accarezzò il volto con dolcezza.
    - Non è la stessa cosa- rispose lei con gli occhi lucidi.
    - Allora appena mi danno un po’ di ferie vengo a trovarti!- le fece l’occhiolino, al quale la giovane annuì, anche se non sembrava troppo convinta.

    Era difficile per tutti staccarsi, ma per chi come Shiho non aveva mai avuto amici lo era ancor di più. Andò a salutare anche il suo detective preferito, che sembrava accettare meglio il distacco.

    - Mi mancherai un sacco Cool Guy, ricordati che se vuoi entrare nell’FBI noi siamo felici di averti in squadra!- disse abbracciandolo, facendo sorridere tutti.
    - Per ora preferisco fare il detective qui in Giappone!- replicò lui.

    Si fece da parte quando fu il turno del collega. Sebbene Shuichi non fosse un chiacchierone, sicuramente anche lui aveva qualcosa da dire. In fondo, aveva legato con quelle persone anche più di lei.

    - Sta lontana dai guai principessa, e chiama se hai bisogno- disse avvicinandosi a Shiho.
    - E tu datti una mossa- rispose la ragazza, lasciando perplessi lei e Shinichi che non compresero il senso di quelle parole.

    Akai rispose con un sorriso, probabilmente per farle capire che aveva recepito il messaggio. Poi si girò verso quel ragazzo con cui aveva vissuto fino a poche ore prima e al fianco del quale aveva raggiunto il suo obiettivo di distruggere l’Organizzazione.

    - È stato un piacere lavorare con lei- gli disse il detective liceale.
    - Vale lo stesso per me. Chissà che non ricapiti in futuro, giovane Sherlock Holmes- gli tese la mano, che il ragazzo strinse.

    “I passeggeri del volo 707 per New York sono pregati di recarsi al gate per l’imbarco.”

    La voce metallica risuonò nuovamente, avvertendoli che il tempo era davvero giunto al termine.

    - Mi sa che dobbiamo proprio andare adesso- disse lei, rivolta a Shuichi.
    - Già- rispose semplicemente lui.
    - Fate buon viaggio allora e tornate a trovarci!- si raccomandò Shinichi.
    - That’s sure!- rispose lei nella sua lingua madre.
    - Jodie?- la richiamò Shiho.
    - Dimmi tesoro-
    - Grazie di tutto-
    - Grazie a te- rispose sorridendo e abbracciandola di nuovo.

    Capì che altre parole sarebbero state inutili, quei grazie valevano più di tutto. Si erano aiutati a vicenda, tutti erano debitori di tutti.
    Salutarono un’ultima volta con un cenno della mano e poi voltarono le spalle ai due ragazzi e si avviarono velocemente verso il gate per raggiungere Camel e imbarcarsi. La loro avventura terminava lì.


    …………………….


    Rimase a guardare le due figure dei suoi nuovi amici allontanarsi mescolandosi tra la folla, fino a quando non scomparvero del tutto. Fu allora che sfogò tutto quello che aveva represso fino a quel momento, scoppiando a piangere in silenzio. Mendel tentava di asciugare le lacrime che cadevano leccandole il volto, senza nemmeno rendersi conto del perché la sua padrona stesse piangendo. Non era un addio, sapeva che prima o poi sarebbero tornati in Giappone anche se solo per qualche giorno di vacanza, eppure l’idea di non poterli più vedere ogni giorno le faceva male. Aveva perso una famiglia già una volta, non voleva perdere anche quella seconda che si era creata. Nonostante avesse conosciuto ragazze della sua età e le restassero ancora Shinichi, il Dottore e i bambini, Jodie per lei avrebbe sempre avuto un posto speciale, un’amica che nessuna poteva eguagliare, una sorella acquisita. Si sorprese nel pensare che in fondo le sarebbe mancato anche Akai, che l’idea di avere qualcuno che la proteggesse sempre non le dispiaceva quando ancora la paura che l’Organizzazione potesse tornare si faceva vivida nella sua mente. Entrambi avevano lasciato un vuoto che non poteva essere colmato.
    In quel momento si sentì sola, nonostante l’aeroporto fosse affollato di gente: fu allora che sentì la mano di Shinichi posarsi sulla sua spalla. Si voltò a guardarlo con il viso rigato dalle lacrime e lo vide sorridere, come se avesse voluto ricordarle che non era sola, che lui era ancora lì e che ci sarebbe sempre stato, perché se l’ascesa dell’Organizzazione li aveva uniti, la sua disfatta non li avrebbe separati: ormai erano legati da molto più di un destino comune. Con quella consapevolezza, si asciugò le lacrime e accarezzò il cucciolo per ringraziarlo del suo supporto; poi si avviò all’uscita dell’aeroporto insieme all’amico detective, che le cingeva le spalle con un braccio. Da quel momento in poi sarebbe iniziata la sua nuova vita.




    ANGOLO DELL’AUTORE

    Scusate il ritardo, in questo periodo ho avuto sia mancanza di voglia sia di tempo per scrivere (devo ancora tradurre il precedente capitolo in inglese T^T). Come avrete capito questo capitolo è quello che chiude l’arco ambientato in Giappone, dal prossimo in poi ci sposteremo in America con protagonisti solo l’FBI e Vermouth. Torneremo in Giappone solo alla fine della storia, quindi mi spiace per voi fan di Shiho e del popolo nipponico di Detective Conan, ma da adesso in poi questi personaggi compariranno solo in telefonate o videochiamate con webcam. Anticipo anche che il ritmo con cui aggiorno potrebbe variare, nel senso che potrei impiegarci più tempo da adesso in poi perché questa parte del processo non sarà facile, siccome in America hanno leggi e procedure diverse che in Italia e io per rendere tutto realistico mi sto documentando e facendo spiegare da un’amica americana, ma è davvero difficile, vi assicuro!
    Spero che il capitolo non vi abbia delusi e che continuerete a seguire la storia anche se ci sarà questo cambio narrativo. Aggiungo per concludere una piccola curiosità sul film: Sakebi è uscito in Italia il 20 luglio 2007 sotto il nome di “Castigo”.
    Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno avuto la costanza di seguire la storia fino a questo punto! Ci vediamo in America! ;)
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    Capitolo 19: Il processo -parte 1-


    Erano ormai trascorsi più di tre mesi da quando l’FBI aveva fatto rientro negli Stati Uniti, tre mesi in cui avevano dovuto fare i conti con il fuso orario e in generale con il riadattarsi alla vita di sempre. Vivere per un anno interno in un altro stato aveva fatto perdere, almeno a lei, tante abitudini che prima erano normalissime, come la pizza tutti i venerdì sera o uscire per le vie di New York e sentire voci parlare in inglese piuttosto che quei suoni melodici tipici della lingua nipponica. Una cosa, tuttavia, era rimasta immutata: l’ombra dell’Organizzazione che ancora cadeva su di loro come un mantello oscuro che sembravano non riuscire a togliersi. Restava una sola di loro da abbattere per poter finalmente concludere quel caso durato anche troppo, la sua nemica storica.
    Il processo a Vermouth era iniziato da qualche settimana, l’FBI aveva presentato al pubblico ministero tutte le prove raccolte per incastrarla e stessa cosa aveva fatto la CIA: era infatti venuta a sapere che anche Hidemi Hondou avrebbe presenziato al processo in qualità di testimone diretta dei fatti. Quando avevano presentato le prove, inizialmente il pubblico ministero aveva stentato a crederci (come del resto si aspettavano già), sia perché l’accusata era una famosa attrice, sia perché la storia di una pillola che faceva regredire all’età infantile o di un farmaco in grado di bloccare per sempre l’avanzare dell’età era davvero degna di un film di fantascienza. Tuttavia, non era nemmeno possibile che sia l’FBI che la CIA avessero tempo da perdere nell’inventarsi simili sciocchezze e mettere addirittura in atto un processo; perciò alla fine avevano comunicato a Vermouth, chiusa sotto stretta sorveglianza nella prigione federale, che era stata accusata di omicidio (tra l’altro verso un federale), di far parte di un’organizzazione criminale operante in tutto il mondo e di tutte le altre cose che aveva commesso in quegli anni. Chris Vineyard aveva dunque scelto di farsi rappresentare da un avvocato assegnatole dal Governo, cosa che aveva stupito tutti dal momento che credevano che un’attrice famosa avesse almeno un avvocato valido alle spalle e forse lo aveva anche, ma per qualche strana ragione aveva preferito non usarlo, come se si fosse rassegnata al suo destino ancora prima di partire. Le era sembrato strano, non era da Vermouth arrendersi senza lottare, ma se aveva preferito non usare le sue armi migliori era un punto a suo favore e non poteva lamentarsi per questo.
    Il pubblico ministero aveva poi convocato una grande giuria composta da una ventina di membri, come voleva la prassi, tutti selezionati da un gruppo di normalissimi cittadini estranei alla vicenda e quindi imparziali. Come nel caso del pubblico ministero, però, anche i cittadini avevano stentato a credere che una così bella e brava attrice, la quale non era mai stata oggetto di scandali o pettegolezzi, potesse aver commesso simili atrocità. Le faceva rabbia che il ruolo che ricopriva Chris Vineyard la portasse ad essere vista a prescindere come una persona degna di rispetto. La bella facciata esteriore che si era costruita era un punto a suo favore che le giovava non poco; per questo motivo quando era stata chiamata a testimoniare l’omicidio del padre, aveva cercato di essere il più convincente possibile: se la facciata esteriore contava tanto, allora anche lei in quanto agente dell’FBI doveva ricevere un minimo di rispetto. Era stata dura mettersi a nudo davanti a tutti quegli estranei, ricordare quella notte dove il fuoco le aveva portato via tutto. Raccontare la vicenda nei minimi dettagli l’aveva fatta sentire come se avesse rivissuto tutto da capo e la ferita nel cuore che non si era mai rimarginata si era riaperta. Insieme a lei aveva testimoniato anche Hidemi Hondo: aveva immaginato che anche per lei non fosse stato facile raccontare di come era morto suo padre. James insieme ad altri agenti dell’FBI avevano dato man forte, portando infine la grande giuria durante il voto segreto a stabilire di comune accordo che esistevano prove sufficienti per incriminare Vermouth e iniziare così il processo penale. Anche se alcune prove come l’aptx potevano risultare assurde e poco credibili agli occhi di chi non aveva vissuto l’intera vicenda, altre prove erano troppo schiaccianti per non essere considerate attendibili.
    Il giorno dopo Vermouth era stata convocata davanti a un giudice magistrale per una prima udienza, nella quale le erano stati illustrati con maggiore chiarezza i suoi diritti e i motivi per cui era stata accusata. Il giudice aveva infine deciso di tenerla in prigione fino alla data del processo, in quanto considerata troppo pericolosa per rilasciarla. Anche qui come nel caso dell’avvocato, Vermouth non aveva obiettato; tuttavia quando il giudice le aveva chiesto se si dichiarava colpevole oppure no, lei aveva sorriso maliziosamente e aveva risposto con un provocatorio “me lo dica lei”. A seguito era iniziata la vera e propria preparazione al processo, dove entrambe la parti si erano organizzate al meglio. Il pubblico ministero aveva poi riletto nuovamente tutti i fascicoli forniti da FBI e CIA, parlato nuovamente con i testimoni ed elaborato la strategia migliore. Quanto a Vermouth, probabilmente cercava con il suo avvocato di trovare un appiglio per discolparsi, non si aspettava di certo che le andasse bene l’idea di trascorrere il resto della sua vita dietro le sbarre.
    Due settimane dopo si era tenuta l’udienza preliminare, una sorta di mini-processo che precedeva il processo vero e proprio: lì il pubblico ministero aveva invitato i testimoni come lei a presentare tutte le prove che incriminavano l’accusata, mentre dall’altro lato la difesa li aveva interrogati cercando di metterli in difficoltà e di trovare anche solo un errore nelle loro testimonianze che potesse mettere in dubbio la loro veridicità. Tentativo inutile, dal momento che alla fine il giudice aveva dichiarato nuovamente colpevole Chris e stabilito così la data definitiva del processo e il luogo dove si sarebbe tenuto: il 10 ottobre al tribunale distrettuale federale a sud di New York.
    Quelle quattro settimane prima del processo le erano sembrate anni, le aveva trascorse con l’ansia di essere sul punto di fare giustizia alla morte di suo padre ma al tempo stesso con la paura di non riuscire ad ottenere nulla. Continuava a chiedersi se ci sarebbe stata, in ogni caso, una giusta punizione per Vermouth. Nulla le avrebbe ridato indietro suo padre, la sua casa o gli anni in cui si era dovuta nascondere fingendo di essere un’altra persona. Anche in quel momento, seduta fuori dalla porta in attesa di entrare in aula e cominciare, stava pensando la stessa cosa. Il gran giorno era finalmente arrivato e lei era molto nervosa. Alcune persone erano già entrate, in particolar modo coloro che intendevano assistere come spettatori al processo; lei invece stava aspettando fuori insieme a James.

    - Ti sei calmata?- le chiese quest’ultimo, che non aveva smesso per un attimo di far scorrere gli occhi dal suo volto alle sue mani tremanti.

    Annuì, consapevole di mentire: non sarebbe mai riuscita a calmarsi, c’erano in gioco troppe cose per poterla prendere anche solo per un secondo alla leggera.

    - Allora forza, è il momento di entrare- la esortò ad alzarsi e seguirlo.

    Aprirono la porta dell’aula ed entrarono camminando fianco. Mentre procedeva verso i primi posti, si guardò intorno e si accorse della presenza di alcuni volti noti, tra cui Yukiko Kudo(probabilmente venuta per assistere al processo della sua ex collega e rivale) e Shuichi, il quale era seduto negli ultimi posti come se non volesse essere troppo coinvolto. Si sorprese di trovarlo lì, chiedendosi se fosse venuto per lei o solo per assicurarsi che anche l’ultimo membro di quell’Organizzazione da lui tanto odiata avesse avuto ciò che si meritava. Le lanciò un’occhiata non appena la vide entrare, facendole poi un cenno e abbozzando un sorriso, come a volerla tranquillizzare. Senza dire nulla, lei ricambiò.
    Prese posto al fianco a Hidemi, la quale la salutò con un cenno e la guardò come se volesse chiederle se si sentiva pronta a tutto ciò, forse perché anche lei era visibilmente nervosa. Dal lato opposto, Vermouth che era già presente in aula con il suo avvocato, la guardò e sorrise maliziosamente, facendole stringere i pugni per la rabbia. Continuava a prendersi gioco di lei nonostante tutto, non si rendeva conto della situazione e soprattutto non mostrava nessun segno di pentimento per tutto quello che aveva fatto. La tuta arancione che stava indossando non era una minaccia abbastanza forte, l’idea di indossarla per il resto dei suoi giorni non sembrava minimamente toccarla. Per non innervosirsi ancora di più, si girò dal lato opposto, dove si trovava la giuria di dodici persone che il pubblico ministero e l’avvocato difensore avevano scelto fra tanti nella lista dei potenziali giurati di quel distretto federale. Confidò nel loro buon senso e pregò perché prendessero la giusta decisione. In quel momento entrò il giudice, il quale prese posto e diede finalmente inizio al processo con il rituale colpo di martello. Invitò poi il pubblico ministero e l’avvocato difensore a presentare brevemente i fatti accaduti. Fatto ciò, il pubblico ministero poté esaminare il suo primo testimone: James in qualità di capo della squadra dell’FBI che aveva svolto l’indagine sull’Organizzazione. James prese posto al banco dei testimoni e l’avvocato del pubblico ministero cominciò a interrogarlo.
    Trascorse un’ora buona dove l’uomo illustrò tutti i dati che avevano raccolto sull’Organizzazione e in particolare sul ruolo di Chris al suo interno. Terminata la testimonianza di James, venne chiamato il secondo testimone: nell’aula risuonarono il suo nome e cognome. Prese un lungo respiro, cercando di combattere contro quei battiti accelerati del cuore che rischiavano di farle mandare in fumo quel momento a cui aveva lavorato tanto, si alzò e andò a sedersi al banco dei testimoni di fianco al giudice.

    - Giura di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità?- le chiese quest’ultimo, nella rituale formula di giuramento.
    - Lo giuro- annuì con un cenno del capo.

    L’avvocato del pubblico ministero cominciò dunque a farle tutte le varie domande che si erano preparati in precedenza:

    - Signorina Starling, lei è stata testimone diretta dell’omicidio di suo padre, come lei agente dell’FBI, avvenuto per mano della qui presente Sharon Vineyard più di vent’anni fa, giusto?-
    - Sì, è così-
    - Potrebbe raccontarci come è andata di preciso?-

    Ancora una volta quella domanda a cui agli occhi degli altri sarebbe stato semplice rispondere, ma che per lei equivaleva ancora una volta a ricordare ciò che in fondo avrebbe preferito dimenticare. Si fece coraggio e cominciò ad esporre i fatti.

    - Mio padre si trovava nel suo studio per controllare alcuni fascicoli contenenti informazioni su Sharon Vinyeard, all’epoca stava indagando su di lei e sull’Organizzazione di cui faceva parte. Mia madre era malata e non poteva muoversi dal letto. Io attendevo nella mia stanza che mio padre venisse a leggermi la favola della buonanotte come ogni sera, ma siccome tardava ad arrivare mi sono alzata dal letto e sono andata nello studio a chiamarlo: lì ho trovato Sharon-
    - Quindi la Signora Vineyard si era introdotta in casa sua per rubare i fascicoli contenenti materiale incriminante su di lei?-
    - Non so se il suo scopo fosse semplicemente quello di rubare i fascicoli o se avesse già premeditato di uccidere mio padre, alla fine anche liberandosi delle prove contenute nei fascicoli mio padre era già perfettamente a conoscenza del loro contenuto e avrebbe potuto semplicemente riscriverli. Eliminarlo era l’unico modo per far sì che portasse i suoi segreti nella tomba. Fra l’altro non ricordo di aver sentito il campanello suonare, perciò si è introdotta furtivamente nell’abitazione-
    - Obiezione: la signorina ammette di non essere sicura del vero scopo per cui la madre della mia assistita si trovasse a casa sua, senza contare che sta solamente facendo supposizioni basate su nessuna prova concreta- la interruppe l’avvocato difensore di Vermouth.
    - Obiezione respinta- lo fermò il giudice -Prego, continui pure-
    - Ricordo ancora com’era vestita: indossava una tuta nera e un berretto dello stesso colore che le teneva raccolti tutti i capelli, probabilmente per non lasciare prove di DNA sulla scena del crimine. Le chiesi chi fosse e lei mi rispose che non poteva dirmelo perché era un grande segreto. Poi aggiunse una frase che non scorderò mai, una frase che ho continuato a ripetere per anni per non scordarmi le parole e la voce dell’assassina di mio padre: “A secret makes a woman woman”. Mi accorsi che teneva in mano gli occhiali di mio padre e così lei me li ridiede. Erano tutti storti, come se avessero subito un urto-
    - Obiezione: gli occhiali potevano essere in cattive condizioni anche da prima di quella notte- la interruppe nuovamente l’avvocato difensore.
    - Obiezione accolta-
    - No, li ricordo bene ed erano in perfetto stato. Ad ogni modo non mi preoccupai troppo degli occhiali quando vidi il corpo di mio padre steso a terra, con la schiena appoggiata ad una parete. Ingenuamente, pensai che so fosse addormentato dimenticandosi di venire a leggermi una storia. Sharon mi chiese di restare lì con lui fino a quando non si fosse svegliato e io accettai. Poi se ne andò, ma non prima di aver appiccato il fuoco in casa-
    - Suo padre era già morto quando la casa è crollata tra le fiamme?-
    - Sì, era già morto sin da quando avevo messo piede nello studio. Sharon gli aveva sparato al petto e poi aveva modificato la scena del crimine in modo tale da far passare il tutto come un suicidio. Una mossa stupida, dal momento che un agente dell’FBI con una bella famiglia e una figlia che adorava non avrebbe avuto nessun motivo per compiere un gesto simile- lanciò un’occhiata di disprezzo a Vermouth, forse senza nemmeno accorgersene tanto era presa dalle sue stesse parole.
    - Obiezione: il commento della testimone non è di nessuna rilevanza per il caso-
    - Obiezione accolta-

    Strinse i pugni, cercando di calmarsi e di non uscire troppo dalle righe con altri commenti simili, nonostante quell’avvocato da quattro soldi stesse facendo di tutto per provocarla e farla uscire di senno. Se credeva di cavarsela con quelle obiezioni insensate si sbagliava di grosso, così come sbagliava il giudice ad appoggiarle.

    - Come si è salvata dall’incendio?- riprese l’avvocato del pubblico ministero.
    - Ero uscita per comprare il succo d’arancia che mio padre era solito bere non appena si svegliava. Quando sono tornata ho trovato l’intera casa in fiamme-
    - Dopo questo episodio ha incontrato di nuovo la signora Vineyard?-
    - No, ma non avrei potuto nemmeno volendolo dal momento che i colleghi di mio padre mi avevo posto nel Programma di Protezione Testimoni, modificando completamente la mia identità e il mio indirizzo. Sono stata cresciuta da James Black, un caro amico e collega di mio padre- cercò con lo sguardo James e abbozzò un sorriso, che venne ricambiato dall’uomo.
    - Però afferma che la signora Vineyard l’ha cercata per eliminarla non appena saputo che nei resti dell’edificio in fiamme erano stati ritrovati solo due corpi invece di tre-
    - Sì, me lo ha confessato lei stessa quando ci siamo trovate faccia a faccia un anno fa in Giappone-
    - Obiezione: non ci sono prove che tale conversazione sia avvenuta- provò ancora una volta a farla franca quell’imbecille.
    - Obiezione respinta. Proceda pure-
    - Grazie, Signor Giudice. Signorina Starling, lei sostiene inoltre che la qui presente Chris Vineyard, figlia di Sharon Vineyard, in realtà sia la stessa Sharon. Due nomi per un’unica identità in poche parole. Può spiegarci perché afferma ciò?-
    - La prima volta che vidi Chris Vineyard fu al funerale della sua presunta madre Sharon. Davanti alla tomba la sentii pronunciare le stesse parole che Sharon disse a me la notte dell’omicidio di mio padre: “A secret makes a woman woman”. Così cominciai subito a fare delle ricerche nella speranza di trovare delle risposte. La notte dell’omicidio avevo portato gli occhiali di mio padre con me, per questo sono scampati all’incendio: sopra di essi vi erano rimaste le impronte digitali di Sharon, raccolte in seguito dall’FBI. Le confrontai con quelle di Chris e sorprendentemente scoprii che erano esattamente le stesse. Come tutti sanno, anche se fra due persone c’è uno stretto legame di parentela, è geneticamente e scientificamente impossibile che due individui abbiano le stesse identiche impronte digitali. Così non restava che un’unica soluzione: Sharon e Chris erano in realtà la stessa persona- spiegò con chiarezza.
    - Tutti noi però abbiamo visto Sharon Vineyard con un volto diverso da quello della qui presente Chris. Lei come ricorda Sharon?-
    - Con lo stesso volto di adesso, motivo per cui quando scoprii che le impronte combaciavano non fui in grado di capacitarmi di come fosse possibile che dopo vent’anni Sharon non fosse invecchiata nemmeno di una virgola- ammise.
    - Finché durante le ricerche dell’FBI in Giappone non ha incontrato una giovane scienziata che in passato aveva fatto parte della stessa Organizzazione in cui era coinvolta la signorina Vineyard, giusto?-
    - Esatto. L’Organizzazione aveva diversi traffici loschi e fra questi vi era la creazione di un farmaco dalle proprietà incredibili, il Silver Bullet. Le ricerche e le varie prove scientifiche erano iniziate già da parecchi anni e portate avanti da un team di scienziati scelti, fra i quali spiccavano i genitori di questa ragazza. Ma l’Organizzazione li eliminò per qualche ragione ancora sconosciuta, prima che potessero ultimare il progetto, il quale passò poi nelle mani della figlia minore, diventata una scienziata come loro-
    - Lei ci ha fornito alcune pillole di questo farmaco che la stessa ragazza le ha dato di persona-

    L’avvocato prese la busta trasparente contente le pillole bianche e rosse e la portò al cospetto del giudice, il quale le osservò attentamente.

    - Quelle pillole purtroppo non sono quelle del Silver Bullet, bensì quelle dell’APTX 4869 ideato dalla ragazza dopo la morte dei genitori. Purtroppo tutti gli appunti per la creazione del Silver Bullet originale sono andati perduti nell’incendio dove hanno perso la vita i due scienziati- specificò.
    - Ci parli di questo APTX 4869-
    - É un farmaco che l’Organizzazione aveva creato per uccidere le proprie vittime senza lasciare tracce, gli facevano inghiottire una pillola e in pochi istanti avveniva il decesso. Tuttavia durante gli studi la giovane scienziata si accorse che una delle cavie da laboratorio che aveva usato per testare il farmaco, invece di morire era ringiovanita, come se il tempo fosse tornato indietro. Non svelò questo particolare ai vertici dell’Organizzazione, per questo quando usarono il farmaco su alcune persone ottenne lo stesso effetto. Anche la stessa ragazza lo prese e anche su di lei l’effetto fu quello di farla ringiovanire di dieci anni-
    - Obiezione: tutto questo non ha senso, è un puro racconto di fantasia!-

    Forse questo era l’unico intervento sensato che quello stupido avvocato aveva fatto da quando era iniziato il suo interrogatorio. Effettivamente, per chi non aveva seguito tutta la storia, era normale credere che quelle fossero tutte bugie o per lo meno invenzioni degne dell’immaginazione di un regista di Hollywood, avevano messo in preventivo questo genere di reazione fin dall’inizio. Ciò che la sorprese fu la risposta del giudice.

    - Obiezione respinta. Prego, continui-
    - Abbiamo delle prove su quanto sostenuto dalla signorina Starling- la sostenne il pubblico ministero -Abbiamo ritenuto opportuno ripetere l’esperimento con le cavie, filmando e monitorando tutto in modo da provare che le cavie all’interno delle gabbie non sono state sostituite-

    L’avvocato accese lo schermo di una televisione che era stata fatta portare in aula e inserì la videocassetta premendo il tasto “play”: le prime immagini che si materializzarono mostrarono le diverse gabbie con le diverse cavie che erano state sottoposte alla somministrazione dell’APTX. Durante tutto l’arco del video si vide chiaramente che le gabbie non vennero mai aperte e che quindi nessuno avrebbe avuto modo di sostituire le cavie. L’ultima parte del video mostrò la maggior parte delle cavie morte e due che invece sembravano più piccole rispetto all’inizio. Vennero dunque fatte entrare le due gabbie con le cavie in questione, più una gabbia con una cavia allo stato originale, com’erano anche quelle prima dell’esperimento. Il giudice le esaminò con la massima attenzione, ancor più di quanto non avesse fatto prima con le pillole di APTX e come tutti i presenti in sala (esclusi quelli che sapevano già) restò visibilmente sorpreso del fatto che si potesse chiaramente notare la regressione di taglia e di aspetto delle due cavie sottoposte all’esperimento rispetto a quella originaria. Si sentì un brusio generale di commenti che la spinse a guardarsi intorno, notando tutti che bisbigliavano alle orecchie di tutti. Per la prima volta da quando aveva messo piede in quell’aula si sentì più sollevata: forse avevano fatto centro.

    - Questo spiegherebbe il mistero, tuttavia lei sostiene che già vent’anni fa il volto di Sharon Vineyard fosse quello attuale, perciò quando in seguito è comparsa ai media con il volto di una donna di mezza età era solo frutto di un travestimento?- riprese con le domande il pubblico ministero, riportando tutti all’attenzione.
    - Sì, Sharon è famosa per essere una maga nei travestimenti. Tuttavia vorrei precisare che il farmaco assunto da Sharon non è l’APTX, creato solo in seguito, ma bensì l’originario Silver Bullet. Credo che quel prototipo avesse effetti diversi rispetto all’APTX, perciò se quest’ultimo è in grado di far ringiovanire, probabilmente il primo era persino in grado di bloccare per sempre la crescita fisica di una persona-
    - Come può essere certa che la signorina Vineyard abbia assunto proprio quel farmaco?-
    - Perché mentre cercava di ucciderla ha confessato alla figlia dei due scienziati che doveva incolpare solo i suoi genitori, i quali l’avevano costretta a vivere in quelle condizioni-

    Nei successivi minuti le vennero poi fatte domande sugli scontri avuti con Vermouth in Giappone, in particolar modo quello avvenuto durante l’Halloween Party. Non sapeva quantificare di preciso quanto tempo era passato da quando si era seduta al banco dei testimoni, ma le sembravano passati giorni invece che ore. Era provata da tutto ciò, le faceva male ricordare il padre e la sua infanzia rovinata e Vermouth e il suo avvocato non facevano altro che innervosirla ulteriormente, la prima con i suoi continui sorrisetti maliziosi e il secondo con il suo “obiezione” .
    Quando l’avvocato del pubblico ministero terminò con le domande, si rese conto che in realtà la parte più dura da affrontare stava arrivando proprio in quel momento: il controinterrogatorio. L’avvocato di Vermouth si alzò e andò davanti a lei iniziando da subito a farle domande per metterla in difficoltà e far perdere di credibilità a tutto ciò che aveva appena detto. Lo aveva fatto anche prima con James, ma lui si era dimostrato molto bravo a rispondere, come del resto ci si aspettava da un capo dell’FBI. Si chiese se anche lei sarebbe riuscita a mantenere la calma ed essere altrettanto brava.

    - Signorina Starling, lei afferma che all’epoca in cui è avvenuto l’omicidio di suo padre aveva otto anni, giusto? Come faceva a sapere che i fascicoli che suo padre stava visionando erano esattamente sulla mia assistita, che lei sostiene essere Sharon Vineyard? Non credo che suo padre le permettesse di leggere i suoi appunti di lavoro, né tantomeno che la tenesse al corrente di cosa faceva al lavoro, senza contare che dubito lei possa ricordare dei particolari così precisi considerando la giovane età che aveva-
    - Non ho mai letto quel fascicolo né tanto mento sentito mio padre parlarne: quello che ho saputo mi è stato riferito in seguito dai suoi colleghi fra cui in primis il signor James Black. Dubito che degli agenti dell’FBI avrebbero mentito su una questione del genere, lei non crede?- rispose sprezzante, trovando insensata quella domanda.
    - Sono io che faccio le domande qui, se permette. Lei sostiene anche che Sharon Vineyard abbia sparato a suo padre per poi modificare la scena del crimine facendo passare il gesto come un suicidio, però non ha assistito direttamente alla scena, quindi non può considerarsi una vera testimone oculare-
    - Non c’era nessun altro in casa a parte me, i miei genitori e la signorina Vineyard, quindi chi altri potrebbe essere stato? Inoltre, se mio padre si fosse suicidato davanti a lei, perché Sharon non avrebbe cercato di fermarlo o per lo meno chiamato i soccorsi invece di preoccuparsi di raddrizzare gli occhiali di mio padre che si erano stortati?-
    - Le ripeto che le domande le faccio io. Ha affermato con certezza che dopo aver ucciso suo padre Sharon Vineyard ha appiccato il fuoco alla sua casa, ma anche in questo caso non ha visto nulla, poiché lei stessa ci ha detto poco fa di essere uscita a comprare del succo d’arancia per suo padre e di aver trovato la casa avvolta dalle fiamme solo dopo il suo ritorno-
    - Se mio padre era morto e mia madre a letto malata, chi altri avrebbe potuto appiccare l’incendio se non l’unica persona che quella sera non avrebbe dovuto trovarsi in quella casa?!- alzò i toni, stanca di quelle insinuazioni volte ad infangare le sue verità.
    - Signorina Starling, moderi i toni e la prego di rispondere alle mie domande con risposte chiare e non con altre domande- la riprese l’avvocato, cercando con lo sguardo la complicità del giudice.

    Fece un respiro e cercò di calmarsi, scusandosi poi per i toni usati. Doveva mantenere un certo contegno se voleva che i presenti in aula credessero a lei e non a quella criminale.

    - Veniamo al punto più importante: lei accusa la mia assistita Chris Vineyard di essere la stessa Sharon, che fino ad oggi era conosciuta da tutti come la madre- riprese l’avvocato difensore -Ha affermato di essere stata al funerale di Sharon, dunque chi si trova nella tomba adesso? Ha inoltre detto di aver sentito Chris Vineyard pronunciare le stesse parole che la madre Sharon disse la notte dell’omicidio di suo padre e da questo ha subito dedotto che fossero la stessa persona? Erano madre e figlia, supponendo che Sharon abbia davvero ucciso suo padre quella notte, la figlia Chris avrebbe potuto sentirla dire dalla madre in un’altra occasione. Quanto alle impronte digitali uguali, potrebbe essere benissimo una contraffazione, esattamente come l’esperimento con quelle strane pasticche che lei sostiene abbiano un effetto miracoloso quanto disastroso. Si rende conto che questo genere di cose si vede solo nei film di fantascienza, vero? Lei è un agente dell’FBI, l’orgoglio dello stato americano, dovrebbe essere abbastanza intelligente da capire che non può illudere le persone che hanno fede nelle istituzioni con favoline da quattro soldi, non gioverebbe alla vostra reputazione-
    - Obiezione: l’avvocato sta solo provocando la mia assistita senza porle domande precise di alcun tipo e senza permetterle di rispondere- intervenne in sua difesa il pubblico ministero.
    - Obiezione accolta. Avvocato, si limiti a fare domande alla testimone- lo ammonì il giudice, evitandole così di fare un’altra sfuriata per difendere l’onore dell’FBI.
    - Mi perdoni signor giudice. Dunque, lei sostiene che due scienziati di questa Organizzazione abbiano creato un farmaco chiamato Silver Bullet, assunto poi dalla mia assistita, che ha il potere di bloccare per sempre il processo di invecchiamento di un essere umano. Tuttavia ha affermato che i due scienziati sono deceduti e che insieme a loro sono scomparsi anche tutti i progetti dietro a questo farmaco. In poche parole non ci sono prove concrete della sua esistenza, giusto?-
    - Le prove stanno nel fatto che la figlia dei due scienziati è riuscita a ricreare un nuovo farmaco sulla base di quello vecchio-
    - Però lei stessa ci ha detto che è un altro farmaco, non quello assunto dalla signora Vineyard-

    Si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo: a quella domanda, purtroppo, non sapeva come rispondere. Era la pura verità, non c’era modo di uscirne. Nemmeno Shiho era stata in grado di spiegarle a suo tempo come fossero andate realmente le cose: le uniche due persone che sapevano si erano trascinate il segreto nella tomba.

    - Ammesso che, ipoteticamente, la mia assistita possa aver assunto questo nuovo farmaco invece del vecchio prototipo, dagli esperimenti da voi condotti risulta che il corpo di alcuni individui può ringiovanire di diversi anni, ma poi il processo di crescita riprenderebbe a scorrere normalmente. Dunque, se la persona che lei ha visto la notte dell’omicidio aveva la stessa età e lo stesso volto della qui presente signorina Chris Vineyard, oggi seduta a quel banco dovrebbe esserci una donna con almeno vent’anni di più o sbaglio?-

    Di nuovo non riuscì a trovare una risposta logica a quella domanda. Si limitò a fissare con odio quell’avvocato che sembrava essere riuscito a metterla all’angolo del ring: purtroppo ciò che stava dicendo era la pura verità ed era questo, più di ogni altra cosa, a infastidirla. La verità fa sempre male, specie quando ti si ritorce contro.

    - Chris è la figlia di Sharon, quindi è logico che possa assomigliarle anche molto fisicamente. Non sarebbe il primo caso in cui la figlia somiglia perfettamente alla madre da giovane. Dunque esiste la possibilità che la donna che lei ha visto quella notte fosse Sharon da giovane, mentre la donna che ora si trova in aula sia la figlia Chris, giusto?-
    - Due persone non possono essere identiche!- rispose, mostrando una sicurezza che alla fine non aveva.
    - Ha inoltre affermato che Sharon era considerata una maga dei travestimenti oltre che un’eccellente attrice: cosa le fa pensare che quella che lei ha visto non fosse la madre della mia assistita con indosso una maschera che celasse il suo reale volto?-
    - Mi spieghi com’è possibile che potesse sapere esattamente quale volto avrebbe avuto la figlia vent’anni dopo per poi riprodurlo in una maschera teatrale usata per commettere un omicidio?! Quale donna incolperebbe la figlia di un crimine?!- alzò nuovamente il tono di voce, ormai giunta all’esasperazione.
    - Mi risulta che i rapporti fra la mia assistita e la madre non fossero rosei. Ad ogni modo, credo che lei abbia scambiato la mia assistita Chris Vineyard per la madre Sharon, incolpandola di un delitto che non ha commesso. Ho concluso-

    Senza nemmeno aspettare una sua ipotetica risposta, l’avvocato di Vermouth tornò a sedersi a fianco della sua assistita, sul suo volto vi era dipinta un’espressione soddisfatta. Quanto a lei, restò seduta al banco dei testimoni, poiché come voleva la prassi doveva essere nuovamente interrogata dal pubblico ministero per chiarire eventuali dubbi alla giuria. Tuttavia, nonostante rispondesse in modo chiaro alle domande, il suo tono risultava spento, come se si fosse rassegnata al fatto che qualunque risposta o spiegazione avrebbe dato non sarebbe mai stata sufficiente a convincere la giuria.
    Alla fine anche lei ritornò a posto, piena di rabbia e frustrazione per come erano andate le cose. Quell’avvocato che all’inizio le era sembrato un incapace, in realtà si era rivelato più bravo di quanto avesse immaginato a rigirare il coltello. Ormai aveva capito il suo intento, probabilmente tutti in quell’aula lo avevano capito: anche se non poteva discolpare Vermouth dai crimini che aveva commesso all’interno dell’Organizzazione, voleva evitare che pagasse anche per l’omicidio di suo padre. Si chiese se questa strategia fosse stata elaborata dalla stessa Chris, che voleva prendersi gioco di lei fino alla fine: il solo pensiero le fece ribollire il sangue nelle vene. Cento anni di carcere non le sarebbero bastati per provare anche solo il minimo pentimento per ciò che aveva fatto.
    Sperò che quella situazione si risolvesse al più presto, confidava nella testimonianza successiva che sarebbe stata quella di Hidemi, ma ormai erano trascorse diverse ore da quando avevano iniziato e tutti erano stanchi e provati. Si sapeva sin dall’inizio che sarebbe stato un processo lungo e faticoso. La voce del giudice riecheggiò nell’aula, ponendo fine a quella prima parte di processo.

    -La corte si aggiorna domani-



    ANGOLO DELL’AUTORE

    Rieccomi finalmente con la prima parte del processo a Vermouth che molti di voi hanno atteso! Ho deciso di dividere il processo in “prima parte” e “seconda parte” primo perché non volevo fare un capitolo stralungo di venti pagine di Word, che sarebbe secondo me risultato pesante anche da leggere; secondo perché volevo creare un po’ di suspence nell’attesa del verdetto finale. Ovviamente la bozza della seconda parte è già pronta, non dovrei poi metterci molto a scriverla in bella e pubblicarla! ;) Spero davvero di non avervi deluso, ho dato del mio meglio per questo processo e fatto ricerche a non finire per farlo sembrare il più realistico possibile. Non vi nascondo che è stata una fatica e un ringraziamento speciale va alla mia amica americana Shannon (la trovate su Tumblr con il nickname “luxheorica”) che mi ha aiutata tantissimo spiegandomi come funzionano i processi da loro e fornendomi ottimi siti da consultare. Come avrete visto ho velocizzato la parte che precede il processo vero e proprio, poiché non volevo dilungarmi troppo in cose tipo la scelta della giuria o altro, che potevano sembrare noiose e togliere spazio alla parte importante. Ho voluto più che altro mettere in evidenza la testimonianza di Jodie e le sue emozioni. Spero di aver fatto per lo meno un discreto lavoro se non buono!
    Ne approfitto per dirvi che a breve inizierò un tirocinio e quindi il mio tempo a disposizione per stare online e anche per scrivere (non potrò più fare l’una di notte XD) si ridurrà notevolmente: vi chiedo quindi di pazientare se i miei aggiornamenti diventeranno più lenti di quanto non lo siano già ora, però la vita reale viene prima ovviamente. Non ho intenzione di lasciare incompiuta questa storia, quindi non preoccupatevi! ;)
    Grazie a tutti quelli che mi stanno sostenendo! ♥
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    Capitolo 20: Il processo -parte2-


    La seconda parte dell’udienza che avvenne l’indomani si concentrò tutta sulle testimonianze della CIA (in particolar modo su quella di Hidemi, testimone chiave in quanto infiltrata), così com’era avvenuto il giorno prima per l’FBI. Alla fine non era rimasto più nessun testimone da interrogare, nessuno aveva accettato di testimoniare a favore di Vermouth. Tutti i membri dell’Organizzazione erano stati messi fuori gioco e chi dei buoni la conosceva non avrebbe mai speso parole magnanime nei suoi confronti, non dopo tutto ciò che aveva fatto. Le poche azioni giuste che aveva compiuto non erano sufficienti a cancellare anni di crimini.
    Finalmente il pubblico ministero e l’avvocato difensore erano pronti a fare ciascuno la propria arringa, rivolgendosi alla giuria un’ultima volta e cercando di convincerla della veridicità delle loro tesi.
    Iniziò per primo il pubblico ministero, il quale forse, paradossalmente, aveva il compito più duro fra i due. Convincere la gente comune che una semplice pasticca poteva far ringiovanire era un’ardua impresa.

    - Come potete vedere signori della giuria, in quest’aula si sono riuniti ben due enti di sicurezza nazionali, entrambi portando prove concrete della colpevolezza della signorina Chris Vineyard o meglio ancora Sharon Vineyard, comunque vogliate chiamarla. Non credo che due enti del calibro dell’FBI e della CIA abbiano tempo da perdere portando prove contraffatte in tribunale con il solo scopo di mandare dietro le sbarre un’attrice famosa. Avete visto voi stessi i risultati delle prove scientifiche riguardanti quel farmaco, per quanto possa sembrare fantascientifico non lo è affatto, così come non sono solo avventure immaginarie quelle che ci ha raccontato la signorina Hidemi Hondou descrivendo la sua esperienza di infiltrata nell’Organizzazione criminale di cui l’accusata Chris Vineyard era parte integrante. Quanto alla signorina Starling, non avrebbe alcun tipo di interesse nel venire qui a ricordare dolorosamente la morte del padre scomparso se davvero l’artefice di quell’omicidio non fosse la qui presente accusata. Vi siete chiesti come mai, nonostante sia un’attrice famosa, nessuno sia venuto a testimoniare a suo favore? Vi chiedo dunque di fare uno sforzo e aprire i vostri orizzonti, cominciando a credere nel progresso e in quello che la scienza è arrivata a poter fare nel corso degli anni. Se è possibile creare un farmaco in grado di cambiare l’età fisica di un individuo, allora è altrettanto credibile a maggior ragione che dietro a un volto noto a tutti gli Stati Uniti possa celarsi l’identità di un’assassina e di una criminale. Chris Vineyard si è macchiata di diversi crimini ed è da considerarsi un pericolo per la nostra nazione e anche per altre, dal momento che ha agito anche sul territorio giapponese. Ho concluso-

    Un discorso breve ma che concentrava in sé l’essenza di tutte le parole che erano state spese. Un discorso che lasciava accesa quell’ultima, debole speranza di ottenere la tanto agognata giustizia che bramavano. Lo voleva lei, lo voleva James, lo voleva Hidemi, lo volevano tutti coloro che negli anni avevano sacrificato tante cose per quel caso che si stava finalmente concludendo.
    Il pubblico ministero tornò al suo posto lasciando spazio all’avvocato difensore.

    - Membri della giuria, vi chiedo di essere obiettivi per un momento: quanti di voi credono realmente nell’esistenza di un farmaco con simili capacità? Immagino nessuno ed è comprensibile: non si può credere a simili fantasie. Se davvero esistesse un farmaco del genere, perché l’Organizzazione lo avrebbe tenuto nascosto invece di approfittarne per guadagnarci? Non è possibile fermare il tempo, un essere umano non può smettere di invecchiare. Chris Vineyard è pronta a scontare la sua pena per essere entrata in quella banda di criminali, ma non è lei l’assassina del padre dell’agente Starling. A commettere quell’omicidio è stata sua madre, Sharon Vineyard, ormai deceduta: una persona completamente diversa. Capisco il desiderio della signorina Starling di fare giustizia alla morte di suo padre, ma la vera colpevole ha ormai pagato con la vita e non è più possibile fare nulla. Chris Vineyard e Sharon Vineyard sono due persone distinte, non è giusto che l’errore commesso vent’anni fa da una madre ricada sulla figlia. Vi chiedo dunque di essere il più obiettivi possibile nel vostro giudizio. Grazie, ho concluso-

    Strinse i pugni, cercando di contenere la rabbia. Aveva cercato di prepararsi anche a questo, ma solo allora si rese conto che forse non sarebbe mai stata pronta. Sapeva sin da subito che pur di non uscirne da perfetto perdente, l’avvocato avrebbe cercato di aggrapparsi anche al più piccolo appiglio per ridurre le colpe e dunque la pena della sua assistita: l’unica cosa su cui poteva attaccarsi era proprio il fatto che Chris non potesse essere Sharon. Se la giuria avesse creduto alle sue parole, per suo padre non sarebbe stata fatta giustizia. Alla fine lei sarebbe stata l’unica ad uscire da quell’aula a mani vuote, derisa dalla sua nemica storica che continuava a sorridere nella sua tuta arancione come se la vicenda non la riguardasse affatto.
    Terminate le due arringhe, il giudice informò la giuria sulle leggi più appropriate al caso in questione e su cosa avrebbero dovuto fare per raggiungere un verdetto. Sapevano tutti che la decisione sarebbe stata difficile e che l’esito sarebbe potuto non piacere a qualcuno: nei processi federali, infatti, la giuria deve essere d’accordo all’unanimità perché il giudizio possa risultare valido; un solo parere discordante e tutto il processo sarebbe dovuto riprendere da capo con una nuova giuria. Era l’opzione che tutti temevano di più, considerando quanto fossero provati da quella situazione. L’ultima cosa di cui avevano bisogno era di entrare in un circolo vizioso senza uscita.
    Ormai in possesso di tutte le informazioni necessarie, la giuria si ritirò per deliberare, spostandosi sotto gli occhi ansiosi di tutti in una stanza adiacente al tribunale. Cominciò dunque una snervante attesa che durò ore, fino a quando uno dei membri della giuria ricomparve nell’aula del tribunale, ma solo per comunicare al giudice che per quel giorno non avevano raggiunto un accordo. Quest’ultimo si vide dunque costretto a rimandare nuovamente il verdetto finale al giorno successivo. Per la seconda volta in quell’aula risuonarono le parole “la corte si aggiorna domani”, esasperando gran parte dei presenti, i quali tuttavia si chiusero in un mesto silenzio.


    Il giorno successivo non fu diverso dal precedente: entrarono in aula, si sedettero e aspettarono in silenzio, pregando che quella tortura finisse al più presto. Attesero per ore, ore e ore, fino a quando vinti dallo sconforto si prepararono ad udire quella maledetta frase uscire dalla bocca del giudice per la terza volta. Fu allora che la giuria, con grande sorpresa di tutti, comunicò di essere pronta ad emettere un giudizio. Si alzarono tutti in piedi, trattenendo il fiato con gli occhi fissi su quel gruppo di persone da cui dipendeva l’esito di una lunga battaglia. Uno dei membri consegnò il foglio piegato con su scritto il verdetto al giudice, il quale lo aprì e lo lesse lentamente ad alta voce:

    - La giuria concorda nel ritenere la signorina Chris Vineyard colpevole di aver fatto parte di una pericolosa organizzazione criminale e di aver commesso dei crimini durante quel periodo; tuttavia, nonostante un’attenta riflessione, non è riuscita a raggiungere un verdetto unanime sull’omicidio dell’agente dell’FBI Ryan Starling e sulla questione del farmaco ringiovanente. Per questi motivi la giuria ritiene necessario punire la signorina Chris Vineyard solo per i crimini commessi relativi all’Organizzazione-

    Quella sentenza fu come un pugno nello stomaco per lei, un colpo ben assestato e devastante. Sentì di aver fallito e di aver deluso se stessa, James e suo padre in primis. Vermouth non poteva farla franca, non poteva non pagare per averle portato via la sua famiglia e la sua infanzia. Non poteva davvero finire così, non era giusto che fosse l’unica a non aver ottenuto niente.
    Il giudice continuò, emettendo la sentenza finale:

    - Ringrazio la giuria per il loro lavoro. La corte si aggiorna: tenendo conto della volontà della giuria e delle prove riportate, dichiaro la signorina Chris Vineyard colpevole dei reati commessi in quanto membro dell’Organizzazione. Tuttavia, non avendo raggiunto un accordo unanime sull’omicidio dell’agente federale Ryan Starling, come previsto dalla legge verrà effettuato un nuovo processo con una nuova giuria. Pertanto, fino a data da stabilirsi, l’imputata Chris Vineyard resterà nella prigione federale di New York. Il caso è chiuso-

    Abbassò la testa come se fosse lei quella ad essere appena stata giudicata, come un colpevole al patibolo che concede il suo capo all’ascia del boia. James e Hidemi, rispettivamente seduti alla sua destra e alla sua sinistra, si voltarono a guardarla con profondo rammarico. Non fu in grado di vedere questo sentimento dipinto sui loro volti (e in ogni caso non avrebbe comunque voluto vederlo, non aveva certo bisogno della pietà della gente in quel momento), così come non vide il sorriso malizioso che si era dipinto sulla faccia trionfante di Vermouth.

    - Coraggio figliuola, usciamo dall’aula- la invitò a lasciare quella grande stanza diventata improvvisamente troppo piccola James, passandole delicatamente una mano sulla schiena in un gesto paterno.

    Si alzò con un gesto quasi meccanico, come se il corpo e la mente non fossero più coordinati fra loro, incamminandosi verso l’uscita come un fantasma che trascina le proprie catene. Sentiva le forze venire meno, traballava ad ogni passo e per questo accettò il braccio di James che delicatamente la sorreggeva. Forse lui era l’unico a poter capire quello che stava provando, anche lui non era riuscito ad ottenere giustizia per il suo vecchio amico. Teneva la testa basta per non vedere tutti quegli occhi che sentiva puntati su di lei, quelle espressioni di rammarico che in quel momento le avrebbero solo dato sui nervi. Non si voltò nemmeno per guardare Vermouth che, ammanettata, veniva portata via dalle guardie: ormai non le importava più.
    Varcò la porta dell’aula e uscì, continuando a camminare lungo il corridoio per allontanarsi sempre di più da quel posto. Dietro di lei James e Shuichi, che li aveva raggiunti, la seguivano ad ogni passo come due angeli custodi che però non avevano il potere di fare nulla.
    Si fermò all’improvviso, non sapeva nemmeno più dove stesse andando e da cosa stava fuggendo: tutto nella sua testa era annebbiato. James si mise di fronte a lei e le poggiò delicatamente le mani sulle spalle.

    - Fatti forza Jodie, non è ancora finita. Non abbiamo perso, dobbiamo solo avere pazienza e aspettare ancora un po’ per avere la nostra vittoria. Faremo altre ricerche, troveremo nuove prove e riusciremo a incastrare Vermouth!- le disse, cercando di mostrarsi più convincente possibile.

    Non sapeva se credesse veramente a quello che stava dicendo o se fosse solo un modo per farla sentire meglio; di certo però quelle erano le ultime parole che voleva sentirsi dire. Non in quel momento, no. Non avevano senso, erano vuote come la coscienza di chi aveva creduto all’innocenza di quell’assassina.

    - Certo, troveremo anche una pillola che fa invecchiare precocemente, così manderemo tutti quelli della giuria all’ospizio dove dovrebbero stare!!!- urlò, alzando finalmente il volto e fissandolo con una cattiveria che non aveva mai osato mostrare fino a quel momento e che non le apparteneva - Guardiamo in faccia alla realtà James, nessuno crederà mai che una persona possa smettere di invecchiare grazie ad una pillola, specie considerato che non troveremo un solo resto di quel farmaco creato dai coniugi Miyano! Come possiamo dimostrare l’esistenza di qualcosa che non esiste?!-

    James e Shuichi restarono a fissarla senza parole: di certo quello sfogo era la conseguenza del suo stato d’animo che aveva superato il livello di disperazione consentito; tuttavia per loro doveva essere come trovarsi di fronte a una Jodie che non aveva niente della persona che conoscevano. Ma a lei non importava nemmeno di quello, se volevano considerarla un mostro erano liberi di farlo.

    - Non dire così Jodie- cercò di rassicurarla James - Magari la prossima giuria sarà più propensa a credere a quella storia, visto che anche in questa c’è comunque qualcuno che ci ha creduto. Se fosse così assurda come dici, nemmeno una persona su dodici si sarebbe fatta convincere-

    Scosse il capo, guardandolo negli occhi seria ma al tempo stesso demotivata, come il suo animo fosse stato prosciugato di tutte le emozioni.

    - Sai James, ho scelto di fare questo lavoro perché avevo abbastanza fiducia nella giustizia da pensare che un giorno o l’altro l’assassina di mio padre avrebbe pagato le sue colpe. Ma oggi non so se ci credo ancora-

    Pronunciò queste ultime parole, parole che avevano determinato la sua sentenza. Adesso era James la vittima e lei il giudice che gli aveva detto l’unica cosa che non avrebbe voluto sentire.
    Senza aggiungere altro, s’incamminò fino all’uscita e lo lasciò lì con gli occhi sgranati ad accusare il colpo.

    - Aspetta Jodie!- cercò di fermarla quando si riprese, ma lei non lo sentì, era ormai troppo lontana.
    - Lasciala andare, James- lo bloccò Shuichi, rimasto in silenzio fino a quel momento - Adesso non è il caso che vi mettiate a discutere, è troppo delusa e non è disposta ad ascoltarti. Ci penserò io ad assicurarmi che stia bene, non preoccuparti- abbozzò un sorriso.
    - D’accordo- annuì arrendendosi - Grazie Akai-

    Salutato il suo capo, Shuichi la raggiunse fuori dal tribunale, trovandola nel parcheggio seduta in macchina a piangere. Gli venne da sorridere se pensava alla cattiveria di poco prima, paragonata a quelle lacrime che la rendevano vulnerabile come il cucciolo che avevano comprato a Shiho. Si avvicinò cercando di non farsi notare, per poi entrare in macchina e sedersi a fianco a lei. Colta di sorpresa, si asciugò velocemente le lacrime: non le era mai piaciuto mostrarsi debole ai suoi occhi. Voleva che la considerasse una donna forte.

    - Cosa vuoi?- gli chiese, quasi scocciata e con la voce ancora rotta dal pianto.
    - Ti va di parlare?-
    - Non adesso- lo liquidò.
    - Se ti arrendi prima che la battaglia sia finita hai perso in partenza- sentenziò, con il suo solito fare da glorioso generale che guida il suo esercito.
    - La battaglia è finita-
    - A me sembra che il giudice abbia detto che è solo rimandata-
    - E che differenza fa? Sarà sempre la stessa storia-
    - No, se perfezioni gli errori che hai commesso-
    - Oh, ci mancava la lezione di vita del grande agente dell’FBI che non ne sbaglia mai una! È facile parlare quando si sta seduti in fondo all’aula con la bocca chiusa! Tu hai ottenuto quello che volevi, il tuo nemico è sottoterra e hai avuto giustizia per i tuoi cari, perciò non puoi capire!- tuonò.

    Sembrava un serpente pronto a sputare veleno in faccia a chiunque le si fosse avvicinato. Se si fosse guardata allo specchio in quel momento, non si sarebbe riconosciuta.

    - Pensi che sia stato facile per me ottenere quello che volevo?- la fissò serio e forse anche un po’ ferito.
    - Non ho detto questo, ma di certo non ti sei trovato ad affrontare un processo-

    Ci fu un attimo di silenzio nel quale nessuno dei due osò aprire bocca, probabilmente entrambi sapevano che avrebbero finito per litigare bruscamente se quella conversazione si fosse prolungata più del dovuto.

    - Forza, vieni che ti accompagno a casa- le disse infine il collega.
    - Non serve, aspetto James e torno con lui- declinò l’invito.
    - Credo che ne avrà ancora per un po’, visto che sei stanca è meglio se vai a riposare. Gli ho già detto che ti avrei riaccompagnata io- mentì.

    Sospirò, priva delle forze necessarie per opporre resistenza a quel pezzo di ghiaccio dalle sembianze umane. Così si arrese, scendendo dalla macchina di James e chiudendola a chiave con la copia che lo stesso James aveva fatto per lei. Non era ancora riuscita a ricomprarsi un’auto nuova da quando era tornata negli Stati Uniti.
    Seguì Shuichi fino alla sua auto e salì, senza mai aprire bocca. Stessa cosa fece il suo compagno, il quale mise in moto l’auto e si allontanò da quel posto che, quel giorno, le aveva portato via tutto ciò in cui credeva.



    Solo dopo diversi chilometri si accorse che Shuichi non la stava portando al suo appartamento. La strada le era familiare, ma non era quella che portava a casa sua.

    - Shu, guarda che per di qua non si arriva al mio appartamento- ruppe finalmente il silenzio.
    - Lo so, infatti stiamo andando al mio- rispose con naturalezza.
    - Perché?- alzò un sopracciglio - Non so che intenzioni hai ma io sono stanca e ho bisogno di riposare-
    - Tranquilla, voglio solo offrirti un goccetto. Credo che tu ne abbia bisogno-

    Non replicò, effettivamente forse un po’ di alcol l’avrebbe aiutata a rilassarsi.
    Arrivati a destinazione, Shuichi parcheggiò la macchina mentre lei si guardava intorno. Presero l’ascensore e salirono al quarto piano. Entrati nell’appartamento, Shuichi la invitò ad accomodarsi sul divano mentre lui preparava due bicchieri di Bourbon con ghiaccio. La raggiunse poco dopo, sedendosi a fianco a lei e porgendole un bicchiere.

    - Vuoi che ti prepari qualcosa o preferisci ordinare da asporto?- le chiese.

    Era così persa nei suoi pensieri che non aveva nemmeno notato fosse già ora di cena.

    - Non ho fame- rispose, bevendo un lungo sorso di liquore.
    - Coraggio, devi mangiare qualcosa- insistette.
    - No Shu, davvero, non mi va- storse la bocca.
    - Ho capito, ci penso io-

    Si alzò dal divano e tornò in cucina, lasciandola lì a roteare gli occhi: lo amava ma quando faceva così lo trovava insopportabile.
    Ritornò dopo una decina di minuti con due piatti contenenti ciascuno un tramezzino semplice con la lattuga e qualche fetta di prosciutto cotto al forno. Sembravano appetitosi, anche se il suo stomaco non era dell’idea di introdurre cibo.

    - Tu non capisci la parola NO, vero Shuichi Akai?- lo rimbeccò.

    In tutta risposta, l’uomo le sorrise e si sedette nuovamente accanto a lei. Diede un morso al tramezzino e lo scoprì delizioso nella sua semplicità. Cominciarono dunque a mangiare, guardando un film da quattro soldi alla TV.
    Finita la cena, Shuichi si allontanò per prendere il suo PC portatile, che posizionò sul tavolino di fronte al divano.

    - Cosa devi fare?- gli chiese, preoccupata che volesse parlare di lavoro.
    - Devo guardare la diretta di una partita di shoji che si sta tenendo in Giappone- spiegò mentre cercava il sito - Gioca una persona che conosco bene-
    - E chi?-
    - Mio fratello minore-
    - Tu hai un fratello?!- strabuzzò gli occhi - Non me lo avevi mai detto! -

    Shuichi non rispose, era troppo occupato a sintonizzarsi sulla diretta. Quando ci riuscì la partita stava per cominciare, quindi non ci fu tempo di parlare di questo misterioso fratello. Si misero entrambi a guardare con attenzione quel match, ciascuno per i propri motivi. Per lei non fu difficile individuare chi dei due fosse il fratello minore di Shuichi, dato che l’altro giocatore era chiaramente più vecchio. Quando lo inquadrarono in primo piano, avvicinò talmente tanto la faccia allo schermo che sembrava quasi volesse entrarci dentro. Lo fissò a lungo, fino a quando l’inquadratura cambiò.

    - Che c’è?- le chiese Shuichi.
    - Non vi somigliate molto- scosse la testa.
    - Mio fratello somiglia di più a nostro padre, io invece a nostra madre- spiegò.

    Dopo quella breve conversazione tornarono in silenzio a guardare la partita, fino a quando il sonno non venne a farle visita e la sua testa si posò delicatamente sulla spalla del collega. Non si accorse nemmeno quando Shuichi le mise un braccio intorno alle spalle per farla stare più comoda.


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    Quando sentì la testa di Jodie posarsi contro la sua spalla, si girò a guardarla: nonostante fosse rilassata, l’espressione sul suo volto era stanca e triste. In quel momento gli sembrò una bambina indifesa che aveva solo bisogno di credere ancora nella magia del mondo. Forse non era lui la persona più adatta a ridarle la positività, ma voleva comunque aiutarla a suo modo. Sorrise, passandole delicatamente un braccio dietro alle spalle e stando attendo a non svegliarla. La lasciò dormire rannicchiata al suo petto per tutto il tempo della partita, sperando che al suo risveglio si fosse sentita meglio.
    Anche quando la partita terminò con la vittoria del fratello, non vi prestò particolare attenzione: era troppo concentrato a trovare la maniera migliore di mettere in atto quel piano che aveva progettato fin dall’inizio, in previsione dell’esito sfavorevole del processo. Perché sì, in cuor suo sapeva già che Jodie non avrebbe ottenuto quello che desiderava al primo tentativo: la strada per chiudere i conti con il passato era ancora lunga.


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    Quando riaprì gli occhi si rese conto che era già mattina. Non aveva nemmeno realizzato di essersi addormentata durante la partita di shoji. Si strofinò gli occhi e cercò vicino al letto, tastando con la mano, il comodino dove dovevano esserci i suoi occhiali. Li mise indosso e cominciò ad osservarsi intorno: fu lì che realizzò di trovarsi nel letto di Shuichi. Trasalì, pensando subito al peggio: forse il Bourbon e la disperazione le avevano dato alla testa e aveva finito col commettere un errore madornale. Alzò le lenzuola per controllare la situazione e realizzò di essere vestita; questo la confortò non poco, smontando la sua tesi di poco prima. Inoltre, Shuichi non si trovava lì accanto a lei.
    Si alzò dal letto e si diresse lentamente in cucina, dove lo trovò seduto al tavolo a bere caffè e leggere il giornale. Più che un giovane nei suoi primi trent’anni, le sembrava un uomo alle soglie dell’anzianità coetaneo di James.

    - Buongiorno- la salutò lui, accortosi della sua presenza - Hai dormito bene?-
    - Come mai mi trovo ancora a casa tua e per di più nel tuo letto?- rispose alla sua domanda con un’altra domanda.
    - Ieri sera ti sei addormentata di colpo, si vedeva che eri molto stanca e così ti ho lasciata dormire. Mi spiaceva svegliarti- spiegò.
    - Ma se io ho dormito nel tuo letto, tu dove hai dormito?- chiese, non ancora del tutto convinta del fatto che non fosse successo niente.
    - Ovvio, nel mio letto- replicò senza il minimo imbarazzo.

    Si sentì avvampare, doveva aver assunto un colore purpureo sul volto. Davvero aveva condiviso lo stesso letto con Shuichi e non se lo ricordava? In ogni caso, poteva (forse) stare tranquilla: Shu non era certo il tipo che avrebbe approfittato di lei in un momento come quello, lo confermava il fatto che si stava divertendo a guardare la sua faccia imbarazzata.
    Si avvicinò e si sedette al tavolo, osservando ogni suo movimento mentre le versava una tazza di caffè appena preparato.

    - Vuoi che prepari qualcosa o preferisci fare colazione in un bar?- le chiese, porgendole la zuccheriera.
    - Il caffè è sufficiente, grazie- sorrise in risposta.

    Aveva ancora lo stomaco chiuso, una notte di sonno non era sufficiente per mandare giù l’amaro sapore della sconfitta. In tutta onestà, non sapeva se sarebbe mai riuscita a mandare giù quel boccone. Forse era questo che aveva provato Shuichi alla morte di Akemi, solo ora riusciva a capirlo con esattezza.

    - Allora ti riaccompagno a casa, così puoi cambiarti e prepararti per andare al lavoro- interruppe i suoi pensieri il compagno.
    - Non credo ci andrò- scosse la testa - Non ne ho la minima voglia-
    - Sicuramente si parlerà del processo, James vorrà preparare una nuova strategia- cercò di farle capire che la sua presenza era indispensabile e che non era la sola a desiderare ardentemente la vittoria contro il nemico.

    In tutta risposta, si limitò a stringere le spalle, come se la cosa non la riguardasse. Sapeva benissimo che anche James desiderava fare giustizia e che di certo non si sarebbe dato per vinto, ma in quel momento James aveva una cosa che lei, invece, aveva perso lungo il cammino: la forza di rialzarsi e combattere.

    - D’accordo, allora ti riaccompagnerò a casa e resterai lì a riposarti per oggi. Però dovrai telefonare a James per spiegargli come mai oggi sarai assente al lavoro. Ricordati che è il tuo capo oltre che essere preoccupato per te a livello personale- concluse, alzandosi dal tavolo e portando le tazze nel lavello.
    - Lo farò- annuì.

    Si alzò anche lei e andò fino al bagno, dove si sciacquò il viso. Restò per qualche istante a fissare la sua immagine riflessa nella specchiera: la totale assenza di trucco, le occhiaie abbozzate e quell’espressione da cane bastonato la rendevano piuttosto sciatta, alla pari di quelle ragazze con cui nessuno vorrebbe uscire. Si era lasciata andare e non riusciva a trovare la motivazione per fare anche solo il minimo sforzo e reagire. Non era certo un atteggiamento da agente dell’FBI, ma quel giorno lei aveva deciso di non essere un agente dell’FBI.

    - Sei pronta?- sentì la voce di Shuichi fuori dalla porta del bagno.
    - Sì, arrivo-

    Fu così che lasciarono l’appartamento di Akai, dirigendosi verso il suo che si trovava nemmeno troppo distante.
    Quando furono arrivati, scese dalla macchina e si girò un’ultima volta verso quello che da sempre considerava il suo angelo custode.

    - Grazie di tutto Shu. E scusami se sono stata sgradevole ieri fuori dal tribunale- abbassò lo sguardo.
    - Non ti abbattere, Jodie. Se persino un agente dell’FBI perde fiducia nella giustizia, il mondo è destinato a crollare-

    Il vecchio e saggio Akai… aveva sempre la frase giusta al momento giusto. Come ci riuscisse era ancora un mistero, anche dopo tutti quegli anni trascorsi insieme. Si sorrisero a vicenda, senza aggiungere altro. Poi Suichi la salutò con un cennò del capo, alzò il finestrino e partì diretto alla sede dell’FBI.


    ---------------------

    Parcheggiò la macchina, entrò e si diresse con passo tranquillo ma non troppo lento verso l’ufficio di James. Lo trovò, come previsto, alla sua scrivania, intento a leggere fascicoli e scartoffie molto probabilmente legate a Vermouth.

    - Posso entrare?-
    - Oh, Akai, buongiorno. Vieni pure-
    - Volevo solo comunicarti che Jodie non verrà al lavoro oggi. Ha detto che ti avrebbe chiamato lei, ma mi riservo il dubbio che possa non farlo-
    - Lo immaginavo- rispose semplicemente il suo superiore, togliendosi gli occhiali e stringendosi gli occhi rispettivamente con il pollice e l’indice - Come sta?-
    - Ha visto giorni migliori. Il suo umore potrebbe fare concorrenza persino al mio- cercò di sdrammatizzare.
    - Non so come comportarmi con lei- ammise James.
    - Che ne dici di concedere a Jodie un po’ di ferie? Visto tutto il duro lavoro degli ultimi mesi e lo stress accumulato, forse staccare la spina le farebbe bene- suggerì.
    - Potrebbe essere una buona idea- accettò - Vedrò di comunicarglielo stasera o al più tardi domani. Tuttavia non credo che qualche settimana di vacanza basterà a rimettere a posto le cose-
    - Ti riferisci a quello che ha detto ieri in tribunale?-
    - Non avrei mai creduto di sentirla parlare così… Proprio lei, che voleva essere un agente dell’FBI fin da bambina-
    - Non dare troppo peso alle sue parole, in questo momento non è lucida. Dalle tempo e tornerà- lo rassicurò.
    - Spero sia come dici tu-

    Si congedò con un cenno del capo, chiudendosi la porta alle spalle. Fino a quel momento il suo ruolo era stato abbastanza marginale nella preparazione del processo contro Vermouth, il suo compito era stato semplicemente quello di fornire informazioni raccolte durante i suoi anni come infiltrato. D’altra parte non era mai stata Vermouth il suo principale obiettivo, perciò aveva preferito lasciare tutto in mano a Jodie e James. Ora che però il filo che li legava sembrava essersi in qualche modo spezzato, era arrivato il suo turno di entrare in scena. Anche se quella donna non era il suo obiettivo, era pur sempre l’ultimo tassello che restava di quell’Organizzazione che gli aveva portato via un padre e che aveva costretto la sua famiglia a nascondersi. Era arrivata l’ora di chiudere i conti una volta per tutte.
    Ignorando anche il povero Camel che lo chiamava dal corridoio per salutarlo, si diresse nell’archivio, l’unico posto dove era possibile fare una telefonata senza che troppe orecchie sentissero. Cercò il numero in rubrica, premette il tasto verde e attese in linea.

    - Pronto?- rispose infine la voce dall’altro capo.
    - So che ti sembrerà strano, ma avrei bisogno del tuo aiuto. O meglio è Jodie quella che ne ha bisogno. Te la senti di darmi una mano?-


    ANGOLO DELL’AUTORE

    Ciao a tutti! Spero vi ricordiate ancora di me, è passato quasi un anno dall’ultima volta che ho postato un capitolo di questa storia (e che ho pubblicato storie in generale)! Mi scuso per l’enorme ritardo e per essere sparita, ma purtroppo tra lavoro, fidanzato, mancanza di voglia e ispirazione e tante altre cose, non ho avuto modo di pubblicare prima. Non so se riuscirò a postare un altro capitolo in tempi più brevi, non mi sento di promettere nulla, ma spero che ci sia ancora qualcuno che si ricorderà e leggerà la mia storia.
    Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate se vi va!
    Grazie a tutti! ♥
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19 replies since 5/2/2016, 12:03   882 views
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